Domenica 5 Ottobre 2014, da Aosta a Palermo, un’ondata di protesta contro il disegno di legge Scalfarotto sull’omofobia ha coinvolto 100 piazze italiane, dove uomini e donne con un libro in mano, davanti a cattedrali e municipi, han rivendicato “la libertà d’espressione, per affermare – dicono gli organizzatori – che il matrimonio è soltanto tra un uomo e una donna.” La prostesta è stata promossa dal movimento delle “Sentinelle in piedi”, che si autodefinisce come “una resistenza di cittadini che vigila su quanto accade nella società e sulle azioni di chi legifera denunciando ogni occasione in cui si cerca di distruggere l’uomo e la civiltà” (dal sito ufficiale del movimento).
Sono passati già cinquant’anni dal 1973, quando l’omosessualità è stata rimossa della lista delle malattie mentali, ed è stata invece riconosciuta la sua natura come variante non patologica del comportamento sessuale. Ciò nonostante, il dibattito scatenato dalla contro-protesta, organizzata invece in favore dei diritti per gli omosessuali e contro ogni forma di omofobia, è tuttora il fulcro di uno dei più caldi impasse socio-culturali italiani.
Il concetto di omofobia, secondo Gregory M. Herek – professore di Psicolgia alla University of California at Davis – potrebbe definirsi come “il pregiudizio individuale e istituzionale contro lesbiche e gay” espresso come “disgusto, ostilità o condanna dell’omosessualità.
Le dinamiche dell’omofobia sono spesso caratterizzate da variabili demografiche, sociali e psicologiche:
- un basso livello di istruzione;
- scarsi contatti personali con persone omosessuali;
- un atteggiamento conservatore rispetto ai ruoli di genere;
- un forte indottrinamento religioso.
Questi sono gli aspetti fondamentali di una società prettamente eterosessista, ovvero quel sistema ideologico che rifiuta ogni forma di omosessualità, la cui manifestazione si estende sia sul piano individuale che su quello culturale, dai costumi alle istituzioni sociali: sistemi giuridici che non riconoscono gli stessi diritti civili, le varie forme di discriminazione nelle carriere militari e negli ambienti lavorativi, la presenza ancora oggi in alcuni paesi degli USA di una legislatura conto i rapporti omosessuali.
Gli effetti di quest’asimmetria, si ripecuotono profondamente sulla qualità della vita di un omosessuale: varie ricerche empiriche dimostrano infatti che gli attacchi dei quali spesso sono vittime variano dall’offesa verbale fino all’aggressione fisica (cfr. D’Augelli e Grossman, 2001).
E’ da qui che prende piede il concetto di “omofobia interiorizzata” (o “eterosessismo interiorizzato” secondo altri autori), ovvero l’interiorizzazione, da parte degli omosessuali degli atteggiamenti e delle assunzioni negative della società riguardanti l’omosessualità. Questo sembra avere un ruolo cruciale come fattore patogeno: alti livelli di omofobia interiorizzata sono infatti significativamente legati a condizioni di disagio psicologico come bassa autostima e accettazione di sé (cfr. Nicholson & Long, 1990), scarso supporto sociale (cfr. Ross & Rosser, 1996), vari sintomi depressivi (cfr. Szymanski e Chung, 2003) e frequenti tentativi di suicidio (cfr. Rotheram-Borus et al., 1994).
Lo scenario che il 5 Ottobre ha presentato alle varie piazze del Paese, è perfettamente in linea con le dinamiche sociali discusse finora e risulta chiaro, in coclusione, quanto imponente sia l’incidenza di un’omofobia culturale che stringe, pregiudica e, al massimo, tollera ma non naturalizza.
Pier Paolo Pasolini, la cui omosessualità fu più volte oggetto di critiche, in Lettere Luterane scriveva: «io sono come un negro in una società razzista che ha voluto gratificarsi di uno spirito tollerante. Sono, cioè, un tollerato […] Il fatto che si tolleri qualcuno è lo stesso che lo si condanni».
Bibliografia
Herek G.M. (1984), “Beyond “homophobia”: A social psycholo- gical perspective on attitudes towards lesbians and gay men”, Journal of Homosexuality.
Montano A. (2000), Psicoterapia con clienti omosessuali, McGraw-Hill, Milano.
Montano A. (2007), “L’omofobia interiorizzata come problema centrale del proceso di formazione dell’identità omosessuale”, Riv. Sessuol. – Vol. 31
“Il fatto che si tolleri qualcuno è lo stesso che lo si condanni“..quanta verità
L’omofobia non esiste. Se introduciamo questo termine allora dovremmo dire che Dio stesso è omofobo.
L’inquadramento dell’omosessualità come malattia o meno non potrà derivare se non da considerazioni ideologiche e non certamente scientifiche, perché riguarda la sfera etica e non sanitaria.
l’elencazione di Herek è un esempio di giudizio ideologico antiscientifico dato che tutte le conclusioni, a parte il basso livello di istruzione, sono contenute nella premessa.
L’omosessuale è un peccatore in maggiore gravità dell’assassino, che in accordo con le scritture: “è abbandonato ad un’ intelligenza depravata che gli impedisce di conoscere Dio” e sopratutto l’elementare conoscenza di sé stesso.
Di questa intelligenza depravata, ne abbiamo avuto più che abbondanti dimostrazioni.
Dall’abominio della Rivoluzione Francese in poi, continua, anche per opera della pubblicazione di articoli come questo, quell’azione di catalisi di processi finalizzati alla crescita dell’entropia gnoseologica e dell’entropia modale che non potrà non condurre se non alla morte spirituale ed in seguito materiale (come ogni forma di entropia)
Le Scritture d’altronde attestano dover avvenire queste cose prima della tribolazione. E noi che ne assistiamo né vediamo coscientemente il rapporto di causa ed effetto.
Partendo dalla sua premessa: dunque non esisterebbe nemmeno il razzismo?
L’inquadramento dell’omosessualità come malattia o meno non potrà derivare se non da considerazioni ideologiche e non certamente scientifiche, perché riguarda la sfera etica e non sanitaria. >>> Il fatto che l’omosessualità non sia più considerata malattia è un chiaro riconoscimento di questo stato di cose. Scopo dell’etica non è decretare cosa è sano e cosa è malato, ma cosa è lecito o illecito.
Considerazioni scientifiche possono solo rendere vera l’affermazione “l’omosessualità è una malattia”, nel caso questa venisse trattata come teorizzazione. L’inverso, rendere vera l’affermazione “l’omosessualità NON è una malattia”, avviene automaticamente in mancanza di tali prove, ed è qui che entra in gioco l’ideologia con il concetto di liceità, non prima.
L’elencazione di Herek non è un giudizio ideologico, perché si limita a descrivere l’omofobia. Al massimo è una concettualizzazione opreativa (non un ragionamento deduttivo come lei presume, e di conseguenza è insensato applicare i concetti “conclusione” e “premessa”) e quindi non ha senso applicarvi criteri di scientificità.
Mi interesserebbe ora capire meglio come sia possibile chiamare “abominio” la Rivoluzione Francese, che è il punto di partenza per la dichiarazione dei diritti dell’uomo, per la contrattualità tra stato e popolo, e alla fine per la moderna democrazia.
Riccardo Calandra
Premetto di trovare interessante il fatto che un articolo del genere possa coltivare del terreno fertile, nel quale nasce la possibilità di generare nuovi dibattiti (stricto sensu). Credo, inoltre, sia lecito da parte mia -in quanto autore dell’articolo- avanzare un tentativo di risposta.
A scanso di equivoci: il problema gnoseologico non mi compete. Non intendo con ciò prendere le distanze da esso. Intendo invece non pretendere di possedere delle “verità” sui due elementi di cui esso si occupa: oggetto conosciuto e soggetto conoscente. Non tanto per il primo quanto invece per il secondo.
Il binomio omosessualità-malattia, in primo luogo, ha generato per molti anni morti, sofferenze ed ingiustizie sociali. La differenziazione tra i due termini è, quindi, prima di tutto una conquista sia storica che civile. Tentarne la riunificazione necessita, se non altro, minimi requisiti di coscienza storica e, come già detto, civile. Ritengo sia utile. Umile, anche.
In secondo luogo, ciò che una sistema societario e sanitario ingloba nella classificazione delle malattie (e dunque qualcosa per la quale sia ipotizzabile una cura) va ad interagire, inevitabilmente, con la cornice teorico-ideologica di riferimento, influenzandosi a vicenda. Negare questo rapporto bidirezionale non sarebbe leale.
Non ci sono inoltre i presupposti, se non ideologici, per reinserire l’omosessualità nella vasta gamma delle malattie mentali. Forzare questa associazione per un atto di fede a qualsiasi tipo di ideologia non ha nulla a che vedere con la salute ed il benessere dell’essere umano. Le azioni ed i comportamenti che derivano da questa presa di posizione, sono ciò che viene denominato Omofobia. Il termine è chiaramente una semplificazione e rimanda a dinamiche molto più complesse, le quali si presentano sotto forma di discriminazioni dell’orientamento sessuale. Introduco per tale ragione questo termine e, seguendo la premessa secondo la quale “allora dovremmo dire che Dio stesso è omofobo”, non posso che attribuire ad essa veridicità.
N.B. Riguardo l’affermazione “L’omosessuale è un peccatore in maggiore gravità dell’assassino, che in accordo con le scritture: “è abbandonato ad un’intelligenza depravata che gli impedisce di conoscere Dio” e soprattutto l’elementare conoscenza di sé stesso. Di questa intelligenza depravata, ne abbiamo avuto più che abbondanti dimostrazioni” non credo di potermi esprimere senza mancare di rispetto al credo religioso che ne sta alla base.
Cordialmente,
Roberto Gammeri