Intelligenza emotiva: cos’è e perché la scuola dovrebbe insegnarla

 

zinna

Siamo abituati a pensare a emozioni e intelligenza come a due caratteristiche ben distinte, anzi, del tutto opposte: da una parte l’intelligenza guida razionalmente le nostre azioni, mentre le emozioni ci spingono a comportamenti impulsivi e verso mete irrazionali.

Ma questa distinzione ha davvero senso?

Nel novecento Gardner ha proposto una concezione poliedrica dell’intelligenza, identificandone varie tipologie e distinguendo vari stili cognitivi individuali, in contrapposizione alla prospettiva monodimensionale del suo predecessore Piaget. Il successo di tale teoria e la recente esplosione di studi scientifici sull’emozione hanno permesso di introdurre nella letteratura scientifica il concetto di intelligenza emotiva.

Goleman, principale esponente di questo filone di studi, sostiene che l’intelligenza emotiva consista nella capacità di identificare, esprimere le emozioni, di negoziare soluzioni, di analizzare la situazione sociale e di mantenere l’autocontrollo. Secondo l’autore, infatti,  alcuni  comportamenti  tipici  di  quest’epoca  (preferenza  a  restare  soli,  il sentirsi tristi, ma anche i fenomeni di delinquenza e aggressività, bullismo, dipendenza da alcool e droghe) sarebbero il risultato di un diffuso analfabetismo emozionale, ovvero un importante segnale del bisogno di lezioni su come gestire le emozioni e imparare ad andare d’accordo con esse. Ciò confermerebbe anche quanto sostiene la Arnold secondo la quale l’intelligenza accademica (cioè quella valutata a scuola) non offrirebbe alcuna preparazione per superare i travagli e cogliere le opportunità della vita, capacità che, invece, possiedono coloro che risultano essere competenti sul piano emozionale.

Quindi si ritiene necessario che la principale organizzazione del sistema educativo formale, ovvero la scuola, risponda a tale bisogno.

A tal proposito esistono diverse sperimentazioni, fra queste l’istituzione della disciplina “La scienza di sé” presso la scuola Nueva Learning Center di San Francisco, disciplina che si è diffusa negli ultimi anni in diverse scuole degli Stati Uniti. L’obiettivo di tale disciplina è quello di alzare  il  livello  della  competenza  emotiva  nei  ragazzi  come  parte  della  loro istruzione regolare e si rivolge a tutti gli studenti, non solo ai ragazzi “in difficoltà”. L’alfabetizzazione emozionale entra così a scuola come una vera e propria materia di insegnamento dalla quale gli studenti non imparano ad evitare i conflitti, bensì a risolvere i contrasti prima che degenerino in uno scontro.

Quanto detto avviene per esempio con il gioco dei Quadrati di collaborazione, nel quale i ragazzi si dividono in gruppi per comporre dei puzzle e collaborano tra loro. Il gioco dell’ABC permette, invece, di sviluppare la capacità di riconoscere le emozioni costruendo un vero e proprio vocabolario, di coglierne i nessi con pensieri e comportamenti e di saperli gestire. L’ Augusta Lewis Troup Middle School di New Haven propone ulteriori attività  come  il  Cubo  delle  emozioni,  nel  quale  gli  studenti  pensano  a  delle situazioni in cui hanno provato specifiche emozioni, e lo Stop luminoso, una sorta di semaforo che insegna come controllare la rabbia e la collera. Anche il progetto “Educazione   alle   emozioni   come   fattore   di   protezione   delle   dipendenze patologiche” finanziato nel 2005 dalla Regione Lazio, va nella stessa direzione. Infatti, la formazione specifica dei docenti, la precocità dell’intervento (applicato già alla scuola d’infanzia) e il coinvolgimento dei genitori hanno permesso agli studenti, tramite appositi laboratori, di sviluppare al meglio l’autostima, l’autonomia e la capacità di costruire e mantenere relazioni affettivamente significative, tutti elementi importanti per prevenire i comportamenti devianti.

Questi progetti mettono in evidenza come il format educativo della Didattica delle emozioni sia un orizzonte importante su cui lavorare se si vuole da un lato promuovere benessere a scuola e dall’altro prevenire il disagio in età evolutiva. Il successo raggiunto tramite queste attività dipenderebbe dal diverso approccio che, per usare le parole di Mariani e Schiralli, consiste nell’ “essere nella prevenzione”, cioè nel costruire attivamente e costantemente nel tempo valori in grado di accompagnare i ragazzi verso l’adultità, responsabilizzando insegnanti e genitori a costruire per primi rapporti validi e fondati sull’ascolto e sul tempo significativo da dedicare.

Valeria Zinna

 

Bibliografia

Goleman D., Intelligenza emotiva, Bur, Milano, 2011.

Mannucci A., Landi M., Collacchioni L., Per una pedagogia e una didattica delle emozioni, Edizioni del Cerro, Firenze, 2006.

Mariani  U.,  Schiralli  R.,  Intelligenze  emotiva  a  scuola,  Edizioni  Erickson, Trento, 2012

Sitografia

Mencaroni   F.,   “Progetto   sperimentale   “Didattica   delle   emozioni”,   in : http://www.convegni.erickson.it/qualitaintegrazione2013/atti/75.pdf.

Schiralli R., “Promuovere il benessere a scuola: la didattica delle emozioni” in : http://www.educazioneemotiva.it/articoli/promuovere-il-benessere-a-scuola:-la-didattica-delle-emozioni%C2%AE_51.htm

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