Chi è il bravo insegnante? Excursus tra storia ed attualità

 

insegnante

Riparte l’anno scolastico con i dubbi, le speranze, le preoccupazioni ed i timori di sempre. Cosa significa essere un buon insegnante? Sarà l’insegnante giusto per mio figlio? Sarò in grado di aiutare mio figlio nel suo nuovo percorso scolastico? E se non andrà bene a scuola?

Insegnare non è solo trasmettere nozioni, saperi o competenze, non bastano le parole raffinate, le argomentazioni ineccepibili. La cultura non è erudizione. S’insegna anche con la testimonianza di vita, con la coerenza, con l’esempio, con la competenza che porta a trasmettere poche cose, ma belle e necessarie, piuttosto che molte, di poco conto e inutili. L’allievo presta attenzione a quello che un insegnante fa piuttosto che a quello che dice.

La parola che viene appresa è quella che, detta a un bambino o a un ragazzo, viene capita senza bisogno di difficili spiegazioni. La prima regola di un insegnante è farsi capire dai suoi allievi e quindi usare un lessico che possa essere comprenso da tutti i suoi alunni.  Se la cultura dell’insegnante fa parte del suo stile di vita, egli usa parole comuni per esprimere concetti articolati e difficili, insegna con sicurezza e con chiarezza anche quando trasmette conoscenze complesse, che diventeranno poi degli importanti valori, trasmessi con un’anima piena di calore umano e passione.

Nel XXI secolo sembra che il fine della scuola sia solo trasmettere conoscenze e per questo il rapporto pedagogico tra docente e alunno viene ridotto ad un puro addestramento. Si imbottisce l’allievo di nozioni mentre, come diceva Rabelais:  «Il discepolo non è un vaso da riempire, ma una fiamma da suscitare»  e se si risveglierà in lui la passione per l’apprendimento, sarà capace di agire da solo in base all’esigenza .

Si tenta inoltre di insegnare sempre più e in anticipo nozioni astruse e complicate. Il precocismo scolastico è un grave errore perché non tiene conto dei ritmi di sviluppo di ciascun bambino, soprattutto per quanto concerne il momento dell’acquisizione della lettura e della scrittura. A tal riguardo le Linee guida del Miur 2011 (http://1.flcgil.stgy.it/files/pdf/20110909/decreto-ministeriale-5669-del-12-luglio-2011-linee-guida-disturbi-specifici-di-apprendimento.pdf) affermano che «Occorre tuttavia porre attenzione a non precorrere le tappe nell’insegnamento della letto-scrittura, anche sulla scia di dinamiche innestate in ambiente familiare o indotte dall’uso di strumenti multimediali. La Scuola dell’Infanzia, infatti, esclude impostazioni scolasticistiche che tendono a precocizzare gli apprendimenti formali. Se, ad esempio, in quella classe si è fatto ricorso a metodologie non adeguate, senza prestare la giusta attenzione alle esigenze formative ed alle ‘fragilità’ di alcuni alunni, avremo non soltanto perduto un’occasione preziosa per far sviluppare le migliori potenzialità di quel bambino, ma forse avremo anche minato seriamente il suo percorso formativo».

Quindi se da un lato è importante l’attesa paziente, dall’altro è importante percepire il momento favorevole  per promuovere un intervento educativo personalizzato.

Per essere un buon insegnante non è quindi sufficiente conoscere la propria materia di insegnamento. Non basta sapere per saper insegnare. Le competenze della professionalità docente, dunque, si allargano fino a comprendere nuove competenze relative alla buona relazionalità, alla capacità progettuale ed organizzativa e al lavoro in team. Perciò  l’insegnante ha il dovere di riqualificare la sua professionalità di docente, lavorando su se stesso per rendere ancora più efficace la sua azione didattica.

A questo scopo rispondono i numerosi studi riguardanti la Didattica, con la quale si indica un’aerea di ricerca e di conoscenza nell’ambito delle scienze dell’educazione che ha il compito di creare situazioni atte a migliorare l’insegnamento. Il termine deriva dal greco “didaskein” che vuol dire insegnare.  Nel corso del tempo, questo termine ha assunto diversi significati. In epoca greca e romana il termine designava un genere letterario, come il poema didascalico di Esiodo “Opere e giorni” e  le didascalie in versi di Pomponio Attico.

Il termine torna alla ribalta in senso pedagogico nel XVII secolo quando Comenio nel 1657 nell’opera “Didactica magna” definisce la didattica come “arte dell’insegnamento” e, da quel momento, questo termine non è più scomparso dalla letteratura pedagogica, anche se il suo significato ha continuato a subire varie oscillazioni, in riferimento alle diverse teorie didattiche:

  • Idealistico-gentiliana, centrata sull’insegnante e sull’insegnamento;
  • Positivistico-sperimentalista, impegnata ad elaborare delle tecniche di insegnamento sempre più raffinate e rigorose (apprendimento cooperativo, simulazione di ruoli);
  • Attivistica, attenta alla partecipazione attiva e diretta dello studente e al suo processo di apprendimento;
  • Strutturalista-cognitivista, interessata alla struttura evolutiva della mente;
  • Comportamentistico-tecnologica, attenta alle tecniche didattiche supportate dalle tecnologie dell’istruzione, come per esempio l’uso della lavagna multimediale, del tablet e del libro di testo in formato pdf.
  • Inclusiva, rivolta a tutti gli studenti con bisogni educativi speciali (B.E.S), con cui si intende i diversamente abili, gli immigrati, i dislessici, i discalculici, i disgrafici,i disortografici e gli studenti con svantaggio socio-culturale. L’insegnante deve essere in grado di programmare e declinare la propria disciplina in modo inclusivo, adottando una didattica creativa, adattiva e individualizzata.

Questi cambiamenti hanno modificato la funzione del bravo insegnante, il quale oltre a conoscere la materia e a saper comunicare con chiarezza i contenuti, deve essere accogliente, disponibile, incoraggiante, capace di variare le proposte e di agire al momento opportuno.

A questo proposito l’autrice Isabella Milani nel libro “L’arte di insegnare. Consigli pratici per gli insegnanti di oggi”, pubblicato nel 2013, ha elaborato un manuale in cui raccoglie le buone pratiche per star bene in cattedra e sviluppare una nuova didattica. In una lunga intervista rilasciata al quotidiano Repubblica, Isabella Milani, dopo trent’anni di insegnamento, ha sintetizzato i suoi consigli in un decalogo:

  1. Prima date e poi chiedete: rispetto, attenzione, coerenza, comprensione.
  2. Entrate in classe pieni di entusiasmo: l’entusiasmo è contagioso. Come la noia.
  3. Ricordate che anche i ragazzi difficili sono vostri alunni: non sono maleducati, ma male educati. Hanno bisogno di aiuto più degli altri.
  4. Mettetevi sempre in discussione. Aggiornatevi, leggete, studiate, confrontatevi.
  5. Fate sentire ai ragazzi che volete aiutarli e che vi interessano. Diteglielo.
  6. Date molta importanza alle regole e rispettatele voi per primi.
  7. Cercate di avere una buona autostima: gli alunni vi vedono come vi vedete voi. Se non vi stimate non vi stimeranno neanche loro.
  8. Privilegiate concetti e metodi: i puri contenuti si trovano anche nel web.
  9. La lezione perfetta è quella che costruite insieme agli alunni. È un dialogo, non un monologo. Non si può apprendere senza partecipare.
  10. Per essere autorevoli dovete essere preparati e guadagnarvi la fiducia e il rispetto dei ragazzi.

 

In conclusione è possibile affermare che un bravo insegnante deve appassionare la classe e sviluppare il piacere di apprendere insieme, curando il pensiero, la riflessione ed il dialogo anziché solo il sapere. In tal modo lo studio non sarà vissuto come una punizione o un obbligo, ma come una gioia.

 

Coppolecchia Francesca 

 

Bibliografia

Laneve C., (2011), Manuale di didattica, Editrice La scuola, Brescia

Aleandri, G., Gemma C., (2012), Come preparo la lezione, Armando Editore, Roma

Zin, E., (2015), “Contributo per una buona scuola”, in Scuola Italiana Moderna, n.7

Decreto Ministeriale 5669 del 12 luglio 2011 – Linee guida disturbi specifici di apprendimento

Milani, I., (2013), L’arte di insegnare. Consigli pratici per gli insegnanti di oggi, Vallardi Editore, Milano

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