A chi di noi non è mai accaduto di non sentirsi capito a dovere? Che fossimo nella posizione di figlio, genitore, insegnante, studente, collega, amico o compagno poco importa: si tratta con ogni probabilità di un’esperienza universale. Nonostante ciò, comprendersi e comprendere, è uno dei primordiali gesti d’amore che si possono intraprendere – che significa “prendere parte” e “farsi coraggio”, iniziare un’opera impegnativa nei confronti di se stessi e degli altri. Comprendere infatti è anche fatica: è un gesto d’amore che implica una decisione, da “de-cidere”, dove “cidere-cedere” significa proprio “tagliare via” una parte, subire una perdita parziale di sè in favore dell’altro. E viene da chiedersi: se non è questo un difficile processo, cosa lo è?
Sentire l’altro (to feel someone) diventa allora sinonimo del prendersi cura: si tratta proprio di compiere una scelta quotidiana che a volte tende a perdersi in alcuni spazi non ben definiti, di quelli che separano due differenti generazioni come tra genitori e figli, o tra differenti posizioni come quelle di due colleghi, o ancora diversi punti di vista come quelli di due amici o amanti. In quei casi, quando non si riesce a trovare un punto d’incontro fra i bisogni reciproci, il profondo legame che ci tiene uniti può farsi emozionalmente fragile, fino a subire delle piccole fratture temporanee, che possono anche divenire solchi e inibire lo scambio comunicativo a tempo indeterminato. Capirsi infatti predispone che la comunicazione reciproca sia efficace, poiché essa è prima di tutto espressione di sé e dei propri bisogni, che A. H. Maslow, psicologo statunitense, suddivide in categorie ordinalmente predisposte:
- I bisogni primari, quelli fisiologici (fame, sere, ecc.), seguiti da quelli di salvezza, sicurezza e protezione
- I bisogni di appartenenza, di affetto ed identificazione
- I bisogni di stima, prestigio e successo
- I bisogni legati alla realizzazione di sé, quindi delle proprie aspettative e della propria posizione sociale
Ai bisogni, data l’estrema urgenza che possono assumere, conseguono sempre delle emozioni e l’altro a cui ci rivolgiamo è colui che ha il potere di considerare o inibire proprio queste sensazioni che nascono a partire da essi. Solo un ascoltatore consapevole risulta qualcuno a cui poter affidare noi stessi, con le nostre vulnerabilità quotidiane, scongiurando il rischio di favorire distanze emotive.
Ma come ci si predispone all’ascolto?
Esso deve prima di tutto sotto-intendere approvazione e accettazione, unite alla consapevolezza che questo gesto, il più delle volte, non è solo un attitudine naturale, ma anche qualcosa che va introiettato, appreso e possibilmente perfezionato; lasciare davvero spazio all’altro implica anche un’astensione dal giudizio, così come teorizzata dal filosofo E. Husserl che la promuove come il tentativo di sospendere ogni parere sulle cose, in modo da permettere ai fenomeni che giungono alla coscienza di essere considerati senza alcuna visione preconcetta (come se li si considerasse per la prima volta).Thomas Gordon ha speso tutta la sua esistenza ad insegnare il segreto della felice comunicazione, unico modo per la risoluzione di conflitti fra genitori e figli, insegnanti e studenti, dirigenti e dipendenti, donne e uomini, giovani ed anziani. Lo statunitense e psicologo teorizza a questo proposito due tipologie di ascolto: quello passivo, fatto di silenzio che previene qualsiasi interruzione, a garanzia di fluidità e libertà di espressione dell’altro, che possa sentirsi accolto e non giudicato; quello attivo, che prevede una sorta di pacata restituzione continua del messaggio all’interlocutore, di modo che questo sia valorizzato. È importante sottolineare che non si tratta di riflettere semplici parole ma sentimenti in filigrana, cioè un vissuto emotivo. Secondo lo psicologo queste pratiche, se messe correttamente in atto possono prevenire incomprensioni, fraintendimenti e la creazione di “barriere comunicative” L’Ascolto inoltre, quando si fa pedagogico, diviene uno strumento efficace per favorire l’apprendimento, creare un clima sociale in cui ci si senta liberi di pensare, di porre questioni, di esplorare. Aiuta anche a fronteggiare le proprie emozioni senza temerle, senza aver paura dei propri sentimenti; con la disponibilità ad affrontare le difficoltà e ad ascoltare gli altri; non si può quindi fare a meno dell’empatia: l’abilità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona.
Sempre nell’ambito della pedagogia, empatia è sinonimo semantico di “portare dentro”. A volte però è facile che questa operazione diventi una scusa, un espediente che lascia spazio ad un processo di “riduzione” dell’altro a noi o che si riveli un’altra fatica che non si è sempre disposti a fare, finendo per chiudersi e non sentire pur di preservarsi.
Ecco alcuni esempi:
1) A: “Wow, oggi ho preso un ottimo voto!”
B: “Bene, è il tuo dovere.”
2) C: “Dopo tre anni, la mia storia d’amore si è conclusa oggi: sono disperata.”
D: “Si, ti capisco: anche a me è successo, ma non è nulla, è passato nell’arco di poco tempo.”
3) E: “Ciao, sono tornato!”
F: “Tutto ok?”
Nel primo caso è evidente il tentativo di B di minimizzare lo stato emotivo altrui senza rispecchiarlo. Nel secondo siamo di fronte ad un caso di “riduzionismo”: D presume di aver provato le stesse cose di C, eppure D e C non sono lo stesso individuo e sarebbe opportuno rispettare questa diversità; non è detto che D e C vivano le proprie esperienze allo stesso modo. Nel terzo ed ultimo esempio, F rivolge ad E una domanda “chiusa” che potrebbe suggerire una risposta che si limiti facilmente ad un “si” o ad un “no”, che non avrebbero avuto ragione d’essere di fronte invece ad un “Com’è andata?”. Per non incappare in simili situazioni, è bene essere consapevoli che l’empatia non è un’abilità presuntuosa, ma piuttosto consapevole: comprendere tutto e tutti è impossibile. Il più delle volte è sufficiente che si faccia il tentativo di sentire l’altro, accogliendo la sua emozione invece di minimizzarla, o credere che avendola già vissuta in prima persona per gli altri sia la medesima cosa.
G: “Oggi ho discusso irrimediabilmente con un caro amico, tutto ciò è tristissimo.”
H: “Che peccato! Non riesco nemmeno ad immaginare il dispiacere: ti va di raccontarmi?”
L’esempio sopra è semplicemente un invito a riflettere, per non cedere alla possibilità che si configura nel tempo di costituire muri tra noi e chi ci è vicino, che impediscono di sentirsi, vedersi, fino a creare fratture impalpabili. Il rischio di un ascolto improprio, come sostiene Michela Marzano, filosofa e docente di filosofia morale, è quello di cancellare l’Alterità e così impedire la comunicazione: “[…] anche quando quello che l’altro vuole dirci è insopportabile, il vero dialogo si ri-crea solamente mettendoci in pausa.” Una pausa da noi stessi in realtà, poiché per comprendere non basta capire, ma bisogna appunto sentire, ospitare qualcuno dentro di sè, intraprendere un gesto d’amore.
Federica Mozzali
Bibliografia
Maslow, A., H., Motivazione e Personalità, Armando Editore, 1992.
Husserl, E., Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Einaudi, Torino, 1965
Gordon, T., Insegnanti Efficaci, Giunti Editore, 2013
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