Chi sono i “pedofili virtuosi”? L’urgenza della prevenzione

 

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Immagine realizzata da Heber D’Alberto

“Nessuno è colpevole per le sue preferenze sessuali, ma tutti sono responsabili per le loro azioni”

Si chiama Adam, è americano e a 16 anni ha realizzato di essere attratto sessualmente dai bambini. La sua storia è stata raccontata dal giornalista Luke Malone per la sua tesi sui giovani pedofili alla Columbia University Graduate School of Journalism. Adam non ha mai provato a molestare un bambino, ma doveva lottare giorno per giorno contro l’irrefrenabile voglia di vedere filmati pedopornografici e contro le sue stesse fantasie sessuali, che lo facevano sentire un mostro.

Max invece è un ragazzo tedesco di 30 anni, di lui ci ha parlato il giornalista Damien McGuinnes e anche lui non ha mai molestato nessuno, benché fosse irrimediabilmente attratto da bambine tra i 6 e gli 11 anni. Per entrambi è stato difficile ammettere di provare questi desideri e ancor di più provare a reprimerli, senza mai riuscirci del tutto. E ancora più arduo deve essere stato chiedere aiuto, in una società in cui la pedofilia è quanto desta più orrore, disprezzo e spirito di vendetta nei confronti degli abusanti.

Come loro, migliaia di persone sono attratte dai bambini ma si sforzano di tenere sotto controllo i propri impulsi. Secondo McGuinnes, tali “pedofili virtuosi” costituiscono una fetta di popolazione molto più ampia di quanto potremmo immaginare. Ricerche recenti attestano una percentuale di uomini tra il 3 e il 5 per cento attratti dai bambini.

Ma che cos’è la pedofilia? Il DSM 5 (Diagnostic And Statistical Manual of Mental Disorders, 2013) ha proposto l’etichetta “pedophilic disorder” (tradotta in “disturbo pedofilico”) relativa a coloro che presentano un’attrazione sessuale verso i bambini in età prepuberale agita o solamente fantasie sessuali. Nella discussione riportata nel manuale, compare l’espressione “orientamento sessuale pedofilico”. Essa ha suscitato molto clamore e ha suggerito l’impressione di una legittimazione, come se si potesse porre la pedofilia sullo stesso piano dell’orientamento eterosessuale o omosessuale. Allo sdegno pronunciato da parte della comunità scientifica è seguito un comunicato ufficiale da parte dell’APA (American Psychiatric Association) volto a fugare ogni dubbio: l’intento non era quello di ridimensionare la portata psicopatologica del comportamento pedofilico, e a prova di ciò l’espressione sarà sostituita in “interesse sessuale pedofilico”. Se questo ha sollevato in parte l’opinione pubblica, altri autori ritengono che questa inversione di rotta sia un errore, e che sarebbe invece necessario distinguere l’attrazione sessuale verso bambini in età prepubere e dunque la componente mentale della pedofilia, dal vero e proprio abuso sessuale.

Per quanto riguarda l’origine della pedofilia, molte sono le ipotesi formulate e, come per spiegare qualsiasi psicopatologia, è necessario ricorrere a un modello multidimensionale, che non riconduca linearmente il comportamento a una singola causa, sia essa biologica, psicologica o ambientale. Molti studiosi ritengono che i pedofili nutrano sentimenti di profonda inadeguatezza rispetto a un partner adulto, e che tale confronto che essi percepiscono come pericoloso li conduca a cercare dei partner più deboli, che non li facciano sentire giudicati o respinti.

Una delle teorie più note è quella dell’“Abusato-Abusatore” (cfr. Groth, 1979; Garland e Dougher, 1990), secondo cui il pedofilo, abusato nel passato, tenta attraverso la violenza sessuale di invertire i ruoli di quella che è stata la situazione traumatica che ha subìto, ottenendo una sorta di trionfo, una vendetta attraverso cui trasformare il passato e ridurre il senso di impotenza. L’abuso sarebbe in realtà un atto “pseudosessuale”, non di natura autenticamente sessuale.

Per quanto riguarda l’approccio neurobiologico, alcune ricerche individuano un emisfero sinistro più piccolo rispetto a quello destro negli individui pedofili (cfr. Wright, 1990), altre concludono che un fattore scatenante potrebbe essere una disfunzione cerebrale (cfr. Scott 1984) o un livello anormale di ormoni (prolattina, cortisolo e androsterone) (cfr. Flor-Henry 1991).

Infine, secondo il modello del Sexual Learning (cfr. Howells, 1981), il fatto che i bambini frequentemente siano coinvolti in varie forme di attività sessuale con i coetanei potrebbe stabilire una risposta sessuale a lungo termine nei confronti di soggetti prepuberi. Tale associazione potrebbe persistere in età adulta, stabilendo un processo d’apprendimento distorto. Qualora poi l’adolescente si sentisse ansioso rispetto allo stabilire contatti con un individuo più maturo, questo condizionamento a lungo termine ne sarebbe ulteriormente rinforzato.

Ma cosa succede quando un pedofilo vuole chiedere aiuto? Come possono i “pedofili virtuosi” combattere contro lo stigma sociale, la vergogna e il senso di colpa? Proprio per costoro che hanno il coraggio e la volontà di cambiare è stato attivato in Germania, nel 2005, il Dunkelfeld Prevention Project che fino al 2015 ha accolto più di 5000 persone richiedenti aiuto. Lo slogan con cui è stato promosso il progetto nel 2013 è stato: “Nessuno è colpevole per le sue preferenze sessuali, ma tutti sono responsabili per le loro azioni”. Tale claim solleva molti interrogativi e sottolinea l’importanza della distinzione tra pensiero e azione, del confine tra l’attrazione e la molestia. Un aspetto controverso del progetto è l’apertura del centro anche a pedofili che hanno commesso violenze nel passato ma che non sono stati denunciati. Anna Knonrad, una psicologa che segue il progetto, puntualizza che non si tratta di aiutare i criminali a discapito delle vittime, ma di attuare una politica di riduzione del danno ed evitare che tali atti continuino a perpetrarsi. I medici del centro seguono il segreto professionale e gli è richiesto di non denunciare gli atti. Questo, nei progetti dei direttori, dovrebbe servire ad aggirare le resistenze dei pedofili a chiedere aiuto e dunque diminuire i casi di violenza che si sarebbero verificati in futuro.

Elisabeth Letourneau, direttrice del Moore Center for the Prevention of Child Sexual Abuse fondato nel Maryland nel 2012, insiste con forza sull’imprescindibilità di un intervento di prevenzione sui pedofili, e ha effettuato per questo un programma per giovani al di sotto dei 17 anni con tali tendenze.

Eppure, al di là di questi interventi isolati, non esistono né in America né in Italia centri specializzati per trattare in tempo i potenziali pedofili adolescenti. Tuttavia questa è un’età cruciale: sembra che i primi istinti di questo tipo si sviluppino proprio tra gli 11 e i 16 anni. Tutto questo dovrebbe condurci a pensare che non basta sbigottirci di fronte ad atti così tragicamente devastanti sui bambini, provare sdegno e orrore: è necessario agire ex ante, predisporre dei luoghi appositamente pensati per gli adulti pedofili, in cui essi non si sentano condannati alla forca ma in cui sia valorizzato il loro desiderio di cambiare. Solo così sarà possibile ridurre un crimine talmente lacerante per la vita di un bambino.

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Marta Di Grado

Info

 

 

 

Bibliografia

Cotza L. (2014), Un figlio pedofilo, The Post Internazionale, 2014.

Groth N., Gulotta G., e Vagaggini M. (1981), Il trauma sessuale nella vita di violentatori e corruttori di fanciulli, in: Dalla parte della vittima, Giuffrè, Milano, 1981.

Dettore G., Fulgini C. (1999), L’abuso sessuale sui minori, McGraw-Hill.

Sitografia

I centri per i ‘pedofili virtusi’, in Il Post, 2015: http://www.ilpost.it/2015/07/14/il-centro-per-i-pedofili-virtuosi/

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