Nell’ambito della riabilitazione psicologica ed educativa sono molte le figure che ruotano intorno alla persona che presenta un disagio; le famiglie si trovano catapultate spesso in un circuito fatto di medici e specialisti vari, ma sempre più spesso si avverte l’esigenza di una persona che si accosti diversamente ai problemi familiari e che in qualche modo sia più vicina alla realtà concreta e quotidiana dell’utente.
Non di rado le famiglie si trovano davanti a momenti di impasse e di scoraggiamento che a lungo andare possono diventare deleterie per tutti i membri che la compongono; è proprio per rispondere a questa esigenza che è stata elaborata la strategia educativa del compagno adulto, una strategia di stampo psicodinamico diffusasi negli ultimi anni nell’intervento psicopedagogico. In realtà però, le prime applicazioni di questa metodologia risalgono agli anni Ottanta, con le prime esperienze all’interno dell’Istituto di Neuropsichiatria Infantile dell’Università La Sapienza.
Ma di cosa si tratta?
Quello del Compagno Adulto è, più che una figura, un ruolo svolto da un professionista esperto di processi educativi, il quale accompagna la persona con disagio in un percorso mirato al miglioramento di alcuni aspetti fondamentali della vita quali la socializzazione, l’autonomia, il benessere psicofisico. Il Compagno Adulto non sostituisce le figure terapeutiche necessarie e/o già presenti, bensì va a costituire un’integrazione che funge in qualche modo da mediazione, svolgendo il suo operato nel contesto quotidiano dell’utente, partecipando e agendo proprio sulla realtà che appartiene a quest’ultimo. E cosa si intende invece per persona con disagio? Con questa espressione generica raccogliamo una vasta gamma di difficoltà, che vanno dalla disabilità psicofisica al deficit sensoriale (visivo, uditivo), alla patologia psichiatrica, senza escludere i ritardi di apprendimento o un particolare momento della vita caratterizzato da un malessere psicologico che va ad intaccare le normali attività legate alla quotidianità (studiare, uscire con gli amici, praticare degli hobby).
Il Compagno Adulto, esperto della relazione, può diventare quindi un vero e proprio riferimento sia per la persona che vive il problema sia per tutto il nucleo familiare, poiché va ad instaurare un rapporto di fiducia fatto di collaborazione e reciprocità. Questa forma di alleanza terapeutica, secondo gli studi e le esperienze condotte, trova la sua migliore applicazione con utenti nella fascia di età evolutiva, indicativamente tra i 10 e i 20 anni, ma non si escludono esperienze significative anche con utenti adulti in età più avanzata che, ad esempio, hanno bisogno di reintegrazione sociale (pensiamo ad esempio ad ex detenuti) o di un supporto nell’inserimento lavorativo.Le tempistiche dell’intervento del Compagno Adulto devono essere individualizzate a seconda delle esigenze dell’utente ma possono variare all’incirca da 1 a 4 volte a settimana per una durata di un paio di ore per ogni incontro.
Ma vediamo ora nel dettaglio e nella pratica alcune attività che il Compagno Adulto attua con gli utenti:
-
Uscite esterne nel paese/quartiere/centro, mirate all’acquisizione o al recupero della socializzazione attraverso la conoscenza del proprio territorio
-
Utilizzo dei mezzi pubblici, favorendo l’autonomia negli spostamenti
-
Relazionarsi con i servizi che il territorio offre (bar, negozi, associazioni, strutture sanitarie ecc.)
-
Supporto per un inserimento graduale in un gruppo di pari
-
Qualora l’utente frequenti la scuola, supporto all’autonomia nelle attività didattiche attraverso l’uso di nuove strategie di apprendimento (questo aspetto non deve essere confuso con i servizi di doposcuola poiché in questi ultimi l’attività riguarda prettamente lo svolgimento dei compiti scolastici)
-
Mediazione familiare, senza interferire con il ruolo genitoriale, attraverso il dialogo empatico, mettendo in condizione le parti di comunicare tra loro in maniera costruttiva
Chiaramente il senso del lavoro del Compagno Adulto non può esaurirsi in un semplice elenco di compiti ma va tenuto presente che alla base del suo operato c’è la costruzione di una relazione affettiva significativa per l’utente, il quale gradualmente si affiderà all’educatore, riconoscendolo interiormente come figura di riferimento e di esempio, con cui potrà sentirsi libero di esprimere i propri malesseri, i propri limiti e disagi, in prospettiva di un’elaborazione di questi come importante passo verso il miglioramento delle proprie condizioni. E’ chiaro che quello del Compagno Adulto e del suo utente è un percorso ad ostacoli, tutt’altro che lineare, in cui solo attraverso un mix di pazienza, costanza, capacità di non scoraggiarsi ed un’ottima preparazione professionale dell’operatore si può giungere a risultati concreti a favore del benessere dell’utente e dell’intero contesto familiare. E’ frequente, infatti, dopo un periodo di “accompagnamento”, che le famiglie comincino ad avvertire sensazioni di alleggerimento del carico sia interiore che in termini pratici. Questo carico, solitamente vissuto in maniera profonda e non sempre esplicitato, deriva dalla condizione di dover affrontare da soli ed in maniera spesso frammentaria le problematiche e gli interventi di cui necessita il familiare bisognoso.
Le esperienze condotte dalla cooperativa “Rifornimento in Volo di Roma, depositari del marchio Compagno Adulto, sulla scia degli studi effettuati dall’ARPAd (Associazione Romana della Psicoterapia dell’Adolescenza) hanno messo in luce come, dopo un periodo di contatto con il Compagno Adulto, gli utenti si mostravano più distesi e propensi verso le attività riabilitative, imparavano ad instaurare un rapporto emotivamente significativo basato sulla fiducia verso l’adulto ed iniziavano a conciliare la loro realtà interna con quella esterna. Solo così cominciavano a vivere la loro realtà utilizzando le proprie risorse e migliorando i rapporti con l’ambiente circostante (familiare, sociale). Le diverse esperienze condotte, alla luce di quanto sopra descritto, portano pertanto a concludere che la presenza di una figura di “raccordo” e di supporto come quella del Compagno Adulto sia di beneficio anche all’intera famiglia, sollevandola spesso dall’onere di occuparsi di aspetti particolarmente ostici nel percorso educativo del loro familiare; cosa che non equivale ad una de-responsabilizzazione dei ruoli dei membri familiari ma ad una possibilità ad essere guidati, attraverso l’instaurarsi di un rapporto di fiducia e di reciproca collaborazione.
Bibliografia
A.A.V.V., “Il compagno adulto per adolescenti e adulti con sindrome di Asperger e Autismo ad Alto Funzionamento”, in Autismo e disturbi dello sviluppo, rivista scientifica Erickson, Vol. 10, n. 1, 2012
G. Montinari (a cura di), Rifornimento in volo, Franco Angeli, Roma, 2006
S. Cordiale, G. Montinari (a cura di), Compagno Adulto, Nuove forme dell’alleanza terapeutica con gli adolescenti, Franco Angeli, Roma, 2012
One Reply to ““Da solo non riesco.” E se ci fosse un… Compagno Adulto?”