Europa senza Schengen: è un futuro possibile?

 

Immagine realizzata da Chanzj, disponibile su www.pixabay.com

L’Unione Europea, con il Trattato di Amsterdam nel 1997, viene definita spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Il trattato che ha contribuito alla creazione e valorizzazione di questo spazio è il trattato di Schengen, da tempo oggetto di discussione tra i Paesi europei. Cosa prevede, effettivamente, il trattato in questione?
Firmato a Schengen nel 1985 da Francia, Germania, Lussemburgo, Belgio e Olanda, ha visto l’adesione dell’Italia solo cinque anni dopo e allo stato attuale conta 26 Paesi europei aderenti.

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Immagine di: Schengen_brochure

Persegue vari obiettivi:

  • abbattimento delle frontiere interne tra gli stati aderenti al trattato, garantendo, in tal modo, la libera circolazione dei mezzi e delle persone indipendentemente dalla loro nazionalità.
  • collaborazione tra le forze dell’ordine dei Paesi sottoscrittori al fine di combattere i crimini transnazionali e evitare che questi rimangano impuniti.
  • cooperazione giudiziaria internazionale e adozione di politiche comuni in materia di visti e di ammissione sul proprio territorio.

L’attenzione si sta concentrando, soprattutto, sul primo punto: attualmente l’Europa sta valutando la proposta di sospendere l’efficacia del trattato per un lasso di tempo ancora da definirsi con esattezza.

Mentre 20 anni fa si è rinunciato al controllo sistematico, alle frontiere comuni, delle autorizzazioni per il trasporto professionale di persone su strade, dei trasportatori di merci che non violassero la normativa in materia di scambi, preferendo una semplice sorveglianza visiva all’interno e trasferendo i controlli alle frontiere esterne, oggi si presenta la possibilità di cancellare questi 20 anni. La ragione di tale proposta risiede nella volontà di intensificare i controlli e garantire maggiore sicurezza. Eppure è lo stesso trattato, all’art. 7 titolo I, ad elencare tra le motivazioni della sua stesura ed approvazione la necessità di garantire la protezione degli stati dall’immigrazione clandestina e da quelle attività che potrebbero minacciare la sicurezza. Per le stesse motivazioni 20 anni prima si adotta un accordo e 20 anni dopo si intende sospenderlo.

Da un punto di vista strettamente sociologico, intensificare i controlli sul territorio vuol dire, realmente, aumentare la sicurezza?

Quando pensiamo a una maggiore presenza delle forze dell’ordine rispetto al consueto, alla presenza dell’esercito nelle strade, ci sentiamo sicuri oppure avvertiamo la sensazione allarmante che qualcosa sia accaduto o debba accadere? Può apparire paradossale ma è quest’ultima la reazione automatica che scatta nella mente umana come studi sociologici e sul controllo sociale insegnano. In un’intervista del 27 Dicembre 2015 a Open Migration, Zygmunt Bauman, uno dei più importanti sociologi contemporanei, ha dichiarato: «Moltiplicando le misure eccezionali e mettendo da parte i valori che si vorrebbero difendere, anzi introducendo tali misure in nome di quei valori, si spiana la strada alle forze anti-occidentali. Un obiettivo che queste forze non sarebbero in grado di raggiungere da sole». E ancora: «Gli stati-nazione indipendenti sono incapaci ormai di affrontare da soli i problemi derivanti dall’interdipendenza globale. Con la globalizzazione del potere che lascia indietro la politica locale, gli strumenti disponibili di azioni collettive efficaci non corrispondono alla misura dei problemi generati dalla nostra condizione globalizzata. Per citare Ulrich Beck stiamo già in una situazione cosmopolita ma ci manca drammaticamente una consapevolezza cosmopolitica. Abbiamo fallito nella capacità di costruire con serietà istituzioni destinate a gettare le fondamenta di tale consapevolezza».

In questo clima di sfiducia più totale nei confronti dell’altro, siamo certi che la sospensione del Trattato di Schengen sia la soluzione utile al fine di sentirci più sicuri e protetti?

Tralasciando gli aspetti e le reazioni dell’uomo, in termini pratici, la sospensione del trattato comporta non solo una riduzione della libertà di circolazione per tutti i cittadini europei chiamati a prestarsi ad ulteriori verifiche, ma lascia una corposa gestione del fenomeno dell’immigrazione nelle mani dei Paesi dotati di frontiere esterne all’Unione, prime destinazioni dei barconi di migranti e luoghi sempre più difficili da controllare: Italia, Spagna e Grecia, in particolar modo. Le vicende recenti mostrano continuamente l’incapacità di poter accogliere e dare assistenza a tutti coloro che fuggono da realtà completamente distanti da quelle occidentali, l’incapacità di poter arginare, contenere e risolvere la questione.
È pur vero che il cuore dell’Europa è diventato facile bersaglio di attentati, zona di possibile reclutamento per le cellule terroristiche, focolaio di sospetto, risentimento, xenofobia  e per la maggior parte della popolazione, ossessionata dalla precarietà della propria condizione sociale, riprendendo le parole di Bauman: «Questi afflussi significano un’incertezza più profonda e una diminuzione delle possibilità di miglioramento della propria vita, producendo uno stato mentale politicamente esplosivo».
Esiste una problematica che richiede, urgentemente, risposte e se l’Unione Europea nasce come progetto di collaborazione e aiuto tra gli stati che ne fanno parte, l’abolizione del trattato di Schengen è utile? Può favorire o renderà più difficile la cooperazione per la lotta al terrorismo?

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Mara Orefice

Sitografia

Schengen, Europa, Trattato: http://www.camera.it/_bicamerali/schengen/fonti/ACCSCHEN/infdx.htm

Bauman, Zygmunt, Open Migration: http://openmigration.org/idee/intervista-a-zygmunt-bauman/

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