Da sempre alterità e mostruosità sono state accostate, quasi a formare un binomio tanto inscindibile quanto irrazionale. Molteplici sono le definizioni che ad esempio il dizionario Zingarelli ci fornisce della voce “mostro”: prima fra tutte «personaggio mitologico e leggendario che presenta forme strane e innaturali» e poi «un essere umano o animale di conformazione assolutamente anormale», ma anche «persona molto brutta e deforme», «persona che possiede determinate caratteristiche positive o negative in sommo grado» e infine «chi si è macchiato di crimini particolarmente efferati, specialmente a sfondo sessuale». Una mostruosità che quindi può essere legata non solo ad una natura fantastica (flora e fauna), ma anche ad un’umanità fisicamente o moralmente eccezionale.
Tutte queste definizioni rimandano comunque ad un’alterità spesso percepita come una forma di anormalità, sia in termini positivi che negativi. A questo punto sorge forse spontaneo provare a riflettere su cosa sia la normalità e quale sia il possibile termine di paragone a cui riferirsi per definire il concetto di “mostruoso”. In tal senso ci può essere utile l’analisi dell’immaginario ebraico in Italia a cavallo tra il medioevo e l’età moderna popolato da un nutrito numero di figure mostruose, molte delle quali condivise con la cultura cristiana allora dominante.
Il mondo favoloso degli ebrei non differiva molto da quello dei loro contemporanei cristiani ad eccezione di qualche leggenda più specificamente legata all’ambito religioso, come nel caso del mito medievale delle dieci tribù perdute di Israele. Tale racconto, che preannunciava l’imminente arrivo delle dieci tribù perdute allo scopo di redimere i loro fratelli dal giogo cristiano, assunse così, soprattutto a partire dal difficile periodo dell’istituzione dei ghetti (1555), una connotazione politica di riscatto del mondo ebraico nei confronti della cultura dominante che lo costringeva a sottostare a continue vessazioni e violenze (cfr. Toaff, 1996).
Per il resto, diffusa e condivisa era la credenza in mostri fantastici quali grifoni, fenici, unicorni, cammelli volanti, piante parlanti e carnivore, mandragore e minerali dalle proprietà incredibili e misteriose, tutti illustrati in bestiari, erbari e lapidari dove erano descritti a scopi didascalici spesso contenenti riferimenti biblici ed escatologici. Tra i testi più noti si possono menzionare il Bestiario di Aberdeen risalente al XIII secolo (Inghilterra), oggi conservato nella Biblioteca dell’Università di Aberdeen e quello di Ashmole, del 1511, conservato presso la Bodleian Library di Oxford. Quasi tutti i resoconti di viaggiatori erano infarciti con descrizioni dettagliate di figure mitiche allo scopo di alimentare leggende che poi sarebbero confluite in cicli narrativi in grado di stimolare la curiosità dei lettori. Particolarmente popolare era il Romanzo di Alessandro, testo all’interno del quale il protagonista, Alessandro Magno, era impegnato in avventure che lo vedevano combattere con animali spaventosi e spingersi temerariamente in regioni ignote. Altro celebre esempio è Il Milione di Marco Polo, volume che narra del viaggio intrapreso in Asia dal mercante veneziano insieme al padre e allo zio e di ciò che essi videro, mostri compresi.
Tali narrazioni di commercianti e viaggiatori diretti in paesi lontani contribuirono a diffondere l’idea che queste creature favolose vivessero in India, terra dai confini geografici imprecisi, ritenuta trovarsi tra le attuali India, Arabia ed Etiopia (termine comunemente usato nel medioevo per riferirsi al continente africano). Una collocazione vaga, questa, dove tutto era possibile e che rappresentava la concretizzazione di fantasie e paure. Qui trovava spazio il desiderio di un mondo esotico rovesciato nel quale regnava incontrastata un’umanità incivile ma felice che ignorava il peccato originale e che viveva istintivamente affiancata da una fauna ibrida e selvaggia dalle facoltà mirabili e da una flora rigogliosa e favolosa (Ibidem).
Creature deformi e orribili erano, insieme alle Amazzoni, una sublimazione delle paure più recondite, ma anche di desideri virili repressi.
Non a caso le Amazzoni, donne bellissime e sensuali che si pensava abitassero terre lontane e oscure, attiravano l’uomo promettendogli incredibili prestazioni sessuali, ma allo stesso tempo lo repellevano perché portatrici di comportamenti e caratteristiche fisiche decisamente mascoline in netto contrasto con l’ideale femminile in voga all’epoca che prevedeva nella donna atteggiamenti dolci e remissivi, volti all’appagamento senza repliche di ogni desiderio maschile. (Ibidem)
La mostruosità umanizzata non era presente solo nell’immaginario collettivo, ma si oggettivava anche in alcune anomalie fisiche che apparivano sul corpo dei nuovi nati. Tali nascite straordinarie richiamavano l’attenzione di tutti, compresa quella delle massime autorità civili e religiose che tentavano di dare spiegazioni al fenomeno. Ancor più di quella dei cristiani, la vita per gli ebrei era continuamente sottoposta ad analisi e ogni segno era da interpretare; segni astrali e cosmici, siccità, alluvioni, peste, guerre e carestie agli occhi di alcuni ebrei potevano quindi assumere valenze e significati messianici e apocalittici, ma anche essere visti come punizioni celesti inflitte agli uomini o presagi di ulteriori infelicità. Parimenti alle calamità naturali, anche la nascita di bambini deformi era interpretata come un segno della maledizione divina e della riprovazione sociale per la malvagità e la turpitudine di cui si erano macchiati i genitori.
Ma quale era dunque questa colpa terribile per la quale venivano così duramente condannati? Secondo gli ebrei le cause delle mostruosità fisiche erano molte, una delle quali da imputare alle visioni orrende della madre «nel momento del concepimento o durante la gravidanza» che producevano «una sorta di effetto fotografico sul parto» [Toaff, 1996:149]. Altro possibile motivo di tale “disgrazia” era rintracciabile in una sessualità eccessivamente licenziosa e incontrollata che riduceva l’efficacia del seme maschile trasformandolo in una sorta di virus che, a contatto col corpo femminile, influiva negativamente sulla conformazione del feto. Un atto venereo sfrenato poteva produrre non solo figli «dementi, degeneri e dal fisico deforme» [Ivi, p. 166], ma poteva anche portare ad altri esiti altrettanto nocivi quali ripercussioni fisiche negative sugli amanti (e principalmente sull’uomo) oltre che l’eterna maledizione divina (fustigazione perenne ad opera di schiere di angeli e demoni armati di verghe infuocate).
Per evitare di incorrere in tali castighi esisteva una letteratura ebraica, per sole donne, che produceva veri e propri manuali dispensatori di consigli in materia sessuale. La scelta delle condizioni (tempi e modi) del congiungimento erano quindi di fondamentale importanza; era consigliata l’unione carnale a stomaco vuoto e preferibilmente alla mezzanotte perché si riteneva che in quel momento della giornata Dio fosse adagiato sul suo trono e ben disposto ad ascoltare le suppliche rivoltegli dagli uomini, comprese quelle relative al concepimento di figli maschi e sani. Infatti «la nascita di figli maschi sani, cioè il coronamento supremo dell’accoppiamento fisico, era il giusto premio per l’uomo che si asteneva da ogni forma di intemperanza erotica e dallo ‘scandalo’ dello sperpero incosciente e bestiale dello sperma» [Ivi, pp. 172-73].
Per concludere, tornando al quesito iniziale rimasto in sospeso: che cosa è normale e cosa invece può, in antitesi, essere definito mostruoso? A tale domanda non corrisponde né può esistere una risposta univoca in quanto, se pure venisse formulata, non terrebbe conto delle specificità culturali, geografiche e storiche che costituiscono la chiave di lettura di una data realtà sociale. La risposta si può dunque tentare solo all’interno di una precisa contestualizzazione dai chiari confini spazio-temporali.
Il mondo ebraico italiano tra medioevo ed età moderna ci offre quindi la sua ‘’personale’’ risposta a tale interrogativo attraverso una miriade di resoconti di viaggiatori e di fonti di varia natura scritti da letterati, ecclesiastici e autorità civili.
I documenti dunque, sostituendosi agli uomini, parlano e ci dicono che creature mitiche e leggendarie insieme a uomini deformi o moralmente corrotti erano considerate alterità mostruose, “materializzazioni” delle paure più intime, ma anche delle fantasie più sfrenate che una realtà quotidiana, spesso problematica e incerta, contemporaneamente reprimeva e induceva a produrre.
Annalisa Puggi
Bibliografia
Siegmund, S., “La vita nei ghetti”. In Vivanti, C., (a cura di), Storia d’Italia, Annali 11, Gli ebrei in Italia, I : Dall’alto Medioevo all’età dei ghetti, Einaudi, 1996
Toaff, A., Mostri giudei. L’immaginario ebraico dal medioevo alla prima età moderna, il Mulino, 1996
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