Come acquisiamo i principi che regolano la nostra vita sociale?

 

Immagine di Enrica Falco

La nostra vita nel mondo sociale è guidata da una serie di principi morali, che ci permettono di distinguere tra giusto e sbagliato e ci fanno scegliere di intraprendere o no una certa azione. Come abbiamo interiorizzato questi principi? Si tratta di un percorso che è iniziato nelle prime fasi della vita. I bambini apprendono come autoregolare i propri comportamenti attraverso le prime relazioni, ricercando un equilibrio tra sé e l’ambiente. I genitori, dunque, svolgono un ruolo cruciale nello sviluppo della capacità autoregolatoria del bambino.

Certamente anche il fattore genetico conta, infatti esistono bambini più o meno reattivi, ovvero che reagiscono in modi diversi agli stimoli esterni. Inoltre ogni bambino gestisce diversamente le proprie esperienze: alcuni riescono a calmarsi mettendo in atto strategie augoregolatorie più di altri, ad esempio succhiando la mano. Tuttavia, qualunque sia la reazione del bambino, è fondamentale che la risposta del genitore sia efficace e modulata in base alla situazione.

Autoregolazione del comportamento

Le prime fasi di vita sono caratterizzate essenzialmente da scambi faccia a faccia, è attraverso il tono di voce e l’espressione facciale, che i genitori possono aiutare il figlio a ritrovare la calma, ad esempio tenendolo in braccio, cullandolo o accarezzandolo e parlandogli affettuosamente. In questo modo, offrono il primo sostegno nella capacità di autoregolare il proprio comportamento.

Durante i normali scambi, avvengono spesso episodi di mancata sintonia tra madre e bambino. Ad esempio, può succedere che la mamma si lasci prendere dall’entusiasmo durante il gioco ed il bambino non riesca a gestire quel momento di eccessivo eccitamento, quindi chiuda gli occhi cercando di evitare il contatto. Questi momenti sono molto frequenti e sono grandi opportunità per il bambino il quale impara cosa significa provare le emozioni. A quel punto la mamma dovrà mettere in atto dei comportamenti che rassicurino il piccolo, con il tono della voce o espressioni del volto, in modo da consentirgli di ristabilire l’equilibrio. Tendenzialmente, tutto ciò avviene istintivamente da parte del genitore, che proverà a modificare il gioco e tranquillizzare il bambino. La risoluzione di questi episodi di “mancata sintonia” avrà un effetto sulla formazione del futuro senso di sé del bambino. Egli, infatti, se incontrerà una madre responsiva, cioè in grado di rispondere in modo adeguato alle sue richieste, valuterà il buon risultato come un merito personale, dunque si riterrà in grado di influenzare positivamente la realtà. Ciò avviene perché il bambino si trova in una fase di egocentrismo, ovvero la condizione nella quale il piccolo valuta la realtà in base all’unica cosa che conosce, cioè il suo punto di vista.

Altri momenti che offrono occasioni di autoregolazione sono il gioco fisico e il gioco della lotta. Essi rappresentano ottime occasioni per il bambino di imparare la conseguenza delle proprie azioni, per sperimentare momenti di potenziale paura, gestire situazioni di potenziale rischio e apprendere ad astenersi dal compiere azioni che potrebbero fare male fisicamente. Egli dovrà riuscire a controllare  la sua eccitazione mettendo in atto delle strategie, ad esempio, distogliendo lo sguardo dal genitore o prendendosi delle pause. È importante che i genitori monitorino le reazioni del figlio e prendano anch’essi delle pause quando si rendono conto che il gioco sta diventando troppo intenso. È utile, ad esempio, che il papà esca per un attimo dal suo personaggio e torni ad essere “papà”. Come nel caso degli episodi di mancata sintoni, questi atteggiamenti vengono messi in atto in modo naturale dai genitori, che devono prestare attenzione per cogliere i segnali di richiesta di aiuto che invia il bambino.

L’autocontrollo intenzionale

L’autocontrollo intenzionale si sviluppa a metà del primo anno di vita, dopo che il bambino ha sperimentato già diverse occasioni di autoregolazione. Si tratta di un’abilità importante perché prevede che il bambino metta in atto uno sforzo attivo per riuscire a neutralizzare l’impulso di agire istintivamente per compiere azioni che non sono gratificanti nell’immediato. È in questa fase che il bambino impara ad obbedire ai divieti e ad adempiere alle richieste dell’adulto.

Può succedere, però, che il bambino non rispetti alcune regole e compia azioni non desiderabili. Dunque, il genitore deve sapere gestire i comportamenti di ribellione del bambino e far in modo che egli soddisfi le richieste con entusiasmo e disponibilità, come se fosse una collaborazione con il genitore e non in modo meccanico, semplicemente perché gli viene imposto. È importante, quindi, spiegare le regole, non imporle, ma piuttosto fare in modo che il bambino le comprenda e decida spontaneamente di agire nel rispetto di esse. In questo modo, si stimolerà nel bambino un’obbedienza di tipo collaborativo, che risulta predittrice della successiva interiorizzazione delle norme, attraverso cui il bambino agirà in base a regole che si è costruito autonomamente e non per imposizione esterna. Un modo per incentivare l’obbedienza di primo tipo è cercare di trasformare l’obbedienza in collaborazione. Ciò non dovrebbe essere complicato perché i bambini piccoli sono molto curiosi, quindi se i genitori si presentano con un atteggiamento affettuoso, saranno disposti a collaborare e a soddisfare le loro richieste. Inoltre è molto importante che i genitori offrano una spiegazione del divieto in quanto l’uso del ragionamento è un elemento cruciale per sviluppare l’obbedienza di tipo collaborativa. Non bisogna limitarsi a dire che cosa si deve o non si deve fare, ma occorre fornire una spiegazione dei vantaggi e delle conseguenze delle azioni.

Immaginiamo ad esempio un bambino che sta mangiando la pappa e rovescia di proposito il cibo sul tavolo. A quel punto la mamma potrebbe scegliere di arrabbiarsi e sgridare il bambino oppure potrebbe cogliere quel comportamento come un’opportunità per insegnargli affettuosamente che quell’azione ha delle conseguenze. Potrebbe fargli notare che il cibo dovrebbe stare nel piatto, invece che sul tavolo e poi potrebbe prendere uno straccio per pulire. In quel caso, è probabile che il bambino sia incuriosito dall’azione della mamma e voglia aiutarla. Ecco un esempio di collaborazione volontaria che soddisferà entrambi i partner. Trasformare le opposizioni del bambino in collaborazioni è sempre una buona idea. Anche durante il bagnetto, che è un’attività non sempre apprezzata dal bambino. Se la si rende un momento di gioco, il bambino apprezzerà. Inoltre, per rendere più semplici alcune attività quotidiane, è opportuno creare delle routine, in modo che il bambino sappia cosa aspettarsi e sia più propenso ad aspettare. Il bambino, infatti, è portato istintivamente ad imitare l’adulto e ad associare un evento con l’altro. Di conseguenza, impostare delle routine aiuterebbe il bambino a creare delle associazioni tra gli eventi della vita quotidiana, rendendole prevedibili. Tutto ciò gli consentirà di sentirsi più sicuro e limiterà i suoi capricci.

Nel momento della pappa, per esempio, per i bambini è difficile attendere. Ma se conoscono la routine, cioè sanno che dovranno aspettare che la mamma rimescoli, poi scaldi, infine assaggi la pappa, riescono a sopportare l’attesa. Anche per l’addormentamento è utile creare delle routine, come leggere una favola, in modo che la storia venga associata al momento della nanna.

Come gestire la disobbedienza

Le disobbedienze dei bambini sono sempre più presenti tra i 2 e i 4 anni e tenderanno a diminuire progressivamente quando il bambino avrà imparato a regolare il comportamento. Il successo dell’interiorizzazione delle norme dipende in larga parte dallo stile educativo del genitore. Hoffmann individua tre modalità: disciplina basata sul potere, sull’amore e quella induttiva.

  • Disciplina basata sul potere. Questa modalità può essere sintetizzata con “si fa così perché lo dico io” e si caratterizza per un’imposizione di regole priva di spiegazioni. Essa viene recepita dal bambino come una limitazione della sua libertà, che può essere enfatizzata dal vedere che altri non hanno lo stesso divieto. Di conseguenza potrebbe generare rabbia che ostacolerebbe il successo dell’interiorizzazione. In questo caso, il rispetto delle regole sarebbe mosso dalla paura di essere scoperti e puniti, non dal reale interesse a compiere un’azione giusta. In alcuni casi, però, tale modalità può essere usata nei casi di emergenza, cioè quando una certa azione sarebbe realmente pericolosa per il bambino.
  • Disciplina basata sull’amore. Questa modalità usa la disapprovazione come arma per ottenere l’obbedienza. Ad esempio, potrebbe ignorare il figlio nel caso non condivida la sua azione. La conseguenza è quella di generare ansia che spinge il bambino a scegliere tra rispettare le norme del genitore oppure secondo i propri principi e “perdere l’amore”. Anche in questo caso, non si arriva all’interiorizzazione delle norme perché il bambino non agisce autonomamente, ma per soddisfare il genitore.
  • Disciplina induttiva. Quest’ultima modalità consiste nell’attivare nel bambino una reazione empatica. I genitori comunicano la loro disapprovazione, non ritirando l’amore, bensì sviluppando nel bambino la sua capacità di mettersi nei panni dell’altro. Ad esempio, se il proprio figlio si comportasse male offendendo un amichetto, i genitori che usano questo stile educativo cercherebbero di far riflettere il figlio su come si sentirebbe se si trovasse dall’altra parte, ovvero se fosse lui la “vittima”. In questo modo, il bambino comprenderà la conseguenza della sua azione e sarà portato a non ripeterla in futuro. Attraverso questa modalità, dunque, il bambino impara a generalizzare una regola e ad interiorizzare le norme.

Occorre sottolineare che non esistono genitori che usano un solo stile educativo, ma in molti casi uno dei tre viene usato con più frequenza.

Dunque, è fondamentale tenere in mente che l’obiettivo del genitore deve essere quello di crescere un figlio che agisca in base alle regole in modo autonomo, ovvero che abbia interiorizzato tali norme e non semplicemente che compia o non compia una determinata azione.

Per concludere, ecco i 5 punti, proposti da Schaffer, che possono fungere da linee guida per promuovere lo sviluppo morale:

  1. Comunicare i principi e regole chiare: non bisogna limitarsi a dire che cosa si deve o non si deve fare, ma occorre fornire una spiegazione dei vantaggi e delle conseguenze delle azioni.
  2. Porre un’adeguata enfasi emotiva sui comportamenti desiderabili: non si deve comunicare in modo freddo una regola, ma bisogna arricchirla con i sentimenti del genitore.
  3. Attribuire qualità prosociali al bambino: bisogna contribuire alla formazione di un’immagine di sé positiva.
  4. Fornire esempi concreti: i bambini apprendono per imitazione, quindi i genitori devono mettere in atto comportamenti congrui con i principi che insegnano.
  5. Avere nei confronti del bambino modalità di attenzione e di cura empatica: è importante che le norme vengano trasmesse in un ambiente caratterizzato da relazioni positive e affettuose.

Debora Mauri

Info

 

 

 

Bibliografia

Barone, L., Bacchini, D. (2009), Le emozioni nello sviluppo relazionale e morale, Milano, Raffaello Cortina Editore.

Murray, L. (2014), The psychology of Babies, Uk, Robinson.

Schaffer, R. (1998), Lo sviluppo sociale, Milano, Raffaello Cortina Editore.

Sitografia

http://www.gioiedimamma.it/bambini/come-organizzare-la-routine-dei-bambini.html

http://www.crescita-personale.it/atteggiamento/2488/egocentrismo-infantile/2938/a

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