Persone-oggetti: la deumanizzazione che legittima la violenza

 

10 ottobre 2010, Milano: il tassista Luca Massari investe accidentalmente un cane, scende dall’auto per scusarsi ma viene aggredito dalla proprietaria, dal fidanzato e dal fratello che lo uccidono al termine di un violentissimo pestaggio. Come è possibile essere talmente violenti fin quasi a non riconoscere nella vittima un altro essere umano? Come si può non provare alcuna emozione di pietà nei suoi confronti? Che fondamento psicologico ha l’espressione “trattare l’altro come un oggetto” fino ad arrivare a distruggerlo? 

Riconoscere un essere umano in chi abbiamo di fronte significa dotare quella persona di soggettività, con la conseguenza di riuscire a provare empatia nei suoi confronti, immedesimarsi pertanto nelle sue emozioni, capirle ed esserne influenzati.

Quando questo meccanismo viene reso inoperante è possibile agire in comportamenti estremamente violenti caratterizzati dalla deumanizzazione della vittima.

Il processo di deumanizzazione è in grado di privare un essere umano delle due qualità fondamentali che lo rendono tale:

  1. l’identità, che consente di individuare nell’altro una persona autonoma, capace di agire e titolare di diritti;
  2. la comunità, ricollegata all’appartenenza ad un gruppo di individui che si prendono cura gli uni degli altri.

Se si priva un soggetto di tali caratteristiche lo si “spoglia” del suo status umano fino ad arrivare a permettere che venga trattato come un oggetto.

Albert Bandura ha affrontato questi temi nella teoria del disimpegno morale. L’autore partendo dal presupposto che ogni individuo interiorizza nel corso del suo sviluppo morale diversi standard etici ha affermato che nel momento in cui questi vengono meno, i soggetti compiono azioni in contrapposizione ad essi e si creino quattro forme di disimpegno morale: la prima tende a ridefinire i comportamenti aggressivi giustificandoli o compiendo dei confronti vantaggiosi per diminuirne la gravità; la seconda opera una diminuzione della responsabilità dell’agente attribuendo il peso delle azioni ad entità superiori (il gruppo) oppure “diluendo” la stessa nel concorso di più persone attraverso la dislocazione della responsabilità; la terza indebolisce il controllo morale distorcendo o minimizzando le conseguenze delle azioni compiute; la quarta riguarda le vittime che vengono incolpate di quanto subiscono.

La deumanizzazione costituisce pertanto un processo di disinnesco delle sanzioni morali in quanto se l’altro venisse percepito come un essere umano, nei suoi confronti si proverebbero delle reazioni empatiche tali da rendere difficile fargli del male senza provare angoscia, stress e senso di colpa.

Applicando quanto affermato al tema della violazione dei diritti umani, Susan Opotow ha definito i processi di esclusione morale come quelli in cui determinati gruppi sociali vengono posti al di fuori dei confini di applicazione di valori morali, norme e considerazioni di giustizia. Questi soggetti vengono così percepiti come entità non meritevoli di tutela verso le quali è accettabile compiere violenze.

Davide Cardilli

Bibliografia

Crisp R. J., Turner R., N., Mosso C.,  (a cura di), Psicologia sociale, Utet, Novara, 2013

Ponti, G., Merzagora Betsos I., Compendio di criminologia, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2008

Volpato C., Deumanizzazione, Laterza, Roma, 2011

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