Ipnosi: mito o realtà?

 

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L’ipnosi è un argomento che da sempre suscita curiosità sia nell’ambito scientifico che in veste di credenza popolare. Ma in cosa consiste esattamente l’ipnosi e quali sono le possibili conseguenze?

Quanto c’è di vero e di utile in questa procedura e quanto invece rappresenta una speculazione o una forzatura?

Per definizione stessa dell’American Psychological Association (2003) essa può considerarsi uno stato alterato di vigilanza provocato da tecniche suggestive, le quali agiscono sul sistema percettivo, motorio, emotivo e immaginativo. In tale processo le componenti razionali riscontrabili nello stato di veglia vengono allentate.

Il primo psicoanalista ad applicare tale metodologia è stato Freud, insieme al suo collega Breuer. Tramite l’ipnosi essi credevano di poter debellare i sintomi nevrotici dei pazienti, salvo poi rendersi conto che l’induzione ipnotica provocava solo una remissione temporanea di tali manifestazioni, che poi si ripresentavano a distanza di tempo. Fu così che il metodo venne abbandonato e accantonato per la prima metà del ‘900 lasciando il posto alla nascente psicoanalisi. Sarà lo psichiatra Milton Erickson a riprendere quest’interessante filone proponendo la tecnica sotto diversi auspici. Egli innanzitutto riconduce l’ipnosi ad un evento del tutto naturale, riscontrabile nella vita di tutti i giorni (come ad esempio quando si è assorti nella lettura di un libro e ci si estranea dal mondo esterno). Proprio in virtù della sua normalità può essere attivata in contesti non convenzionali, attraverso un particolare stile comunicativo. Tale fenomeno di conseguenza si può collocare in una conversazione psicoterapeutica: l’ipnosi nell’accezione di Erickson non è prodotta da tecniche suggestive classiche ma dal tipo di interazione che si instaura tra paziente e conduttore.

Nello specifico, le suggestioni di orientamento classico sono formulate in maniera diretta mentre Erickson propone tecniche indirette. Le prime contemplano delle vere e proprie istruzioni di comportamento poste in maniera esplicita, come ad esempio i comandi, che vengono ribaditi più volte perché il loro effetto è correlato alle ripetizioni. L’ipnosi promossa da Erickson cerca invece di eludere la dimensione conscia della mente esprimendo la richiesta in termini indiretti e veicolandola anche attraverso il canale non verbale. Tra le forme linguistiche essa include metafore, citazioni, paradossi o modi di dire tipici del paziente. Una frase di questa tecnica può essere, ad esempio: «Mi chiedo se lei possa riuscire a rilassarsi in questo momento…», accompagnata da espressioni facciali o corporee che sostengono la comunicazione in atto. Tali stratagemmi, non assumendo il carattere di ordine, agiscono in maniera più sottile ma comunque efficace sulla mente del soggetto.

La maggiore ricettività insita nella trance ipnotica di Erickson si pone l’obiettivo di destrutturare gli schemi disadattivi e rigidi per svilupparne altri più adeguati; ogni persona infatti è caratterizzata da modelli di comportamento stabili, che possono essere più o meno funzionali nella gestione della vita quotidiana. Tali modelli sono conservati e riprodotti abitualmente perché vanno a costituire delle mappe cognitive cui l’individuo attinge nel corso delle sue esperienze. E’ il paziente stesso, attraverso la momentanea sospensione delle sue consuete modalità di pensiero, a rinnovarsi trovando dentro di sé risorse e potenzialità latenti. Viene dunque meno la visione del soggetto ipnotizzato come mero recipiente passivo totalmente in balia dell’onnipotenza del terapeuta. Ne consegue che l’ipnosi può essere adottata in una molteplicità di ambiti: da quello medico, per indurre effetti analgesici, a quello psicosomatico per placare stati di ansia, mal di testa, gastrite; fino al suo impiego nel trattamento delle fobie. Può inoltre rappresentare un valido aiuto nell’estirpare condotte nocive come il fumo o un’alimentazione compulsiva e nel campo pubblicitario per il suo potere persuasivo. Infine sembra essere d’ausilio nell’incremento dell’autostima e delle prestazioni sportive, favorendo le performance degli atleti e supportandoli nella gestione dello stress che le gare agonistiche comportano.

L’ipnosi può essere applicata non solo per promuovere il benessere dell’individuo ma anche per affrontare traumi rimasti irrisolti. In particolare è il caso dell’ipnosi regressiva, pratica tuttora molto contestata per le controversie cui dà adito. Essa è utilizzata per far emergere eventi passati, di natura traumatica, che il paziente ha rimosso ma che condizionano la sua vita. Una volta affiorati, possono essere affrontati e risolti restituendo serenità all’individuo. Le critiche su tale metodo vertono soprattutto sulla possibilità di generare i cosiddetti “falsi ricordi”, ovvero memorie passate che si affacciano alla mente del paziente ma che non corrispondono al vero. Tali immagini vengono spiegate come il prodotto dei suggerimenti del conduttore il quale, anche non intenzionalmente, influenza l’individuo. La corrente dell’ipnosi regressiva, pur non essendo riconosciuta dalla comunità scientifica, ha trovato molti proseliti, tra i quali addirittura alcuni sostengono che essa può rievocare avvenimenti di presunte vite precedenti. Tuttavia lo stesso Erickson non condivideva quest’ultima ipotesi, asserendo che l’ipnosi regressiva può consentire un recupero di ricordi attinenti a periodi lontani, anche infantili, ma non certo appartenenti ad altre esistenze. Queste ultime teorie, non essendo supportate da alcune prove tangibili, dobbiamo (almeno per ora) continuare a relegarle nell’immaginario collettivo ma, come abbiamo visto, l’ipnosi offre anche molte applicazioni terapeutiche consolidate da tempo.

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Bibliografia

D’Ambrosio, A., Supino, P., (2014). La sindrome dei falsi ricordi. Franco Angeli, Milano

Del Castello, E., Casilli, C., (2008). L’induzione ipnotica. Franco Angeli, Milano

Gordon, D., Meyers-Anderson, M., (1984). La psicoterapia ericksoniana. Astrolabio, Roma

Weiss, B. (1996) . Molte vite, un solo amore. Mondadori, Milano

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