Il disagio sociale: anoressia sul web

 

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Il mondo virtuale inteso come spazio sociale libero, come luogo accogliente ed egalitario è denso di messaggi tutt’altro che positivi e funzionali. I siti Pro-Anoressia, conosciuti anche come Pro-Ana, ne sono un esempio. Nati negli Stati Uniti intorno agli anni 90, si sono diffusi in maniera capillare nel continente europeo ed in particolare in Inghilterra, Francia e Spagna, per poi raggiungere solo negli anni 2002-2003 il nostro paese.

Fenomenologia dei siti Pro-Ana

Il mondo Pro-Ana è costellato da regole, consigli ed elenchi che le ragazze scrupolosamente si scambiano tra loro, per controllare la fame ed evitare di insospettire gli altri. Il decalogo anoressico, inteso come stile di vita, campeggia su ognuno di questi siti per ricordare ad ognuna l’obiettivo da raggiungere. Alcuni enunciati riguardano la valorizzazione della magrezza, come: “Essere magri è molto più importante che essere sani” “Non essere magri vuol dire non essere attraenti” o “Quello che dice la bilancia è la cosa più importante”. Uno degli aspetti peculiari dell’anoressia, è che l’insistenza della domanda genera sempre una resistenza: più la famiglia si focalizza sul tema alimentare, impone alla ragazza di mangiare, più l’ostinazione di quest’ultima prende la forma del rifiuto, il desiderio di non mangiare nulla, di staccarsi dalla presa asfissiante della domanda dell’altro. Proprio per questo motivo all’interno dei siti Pro-Ana, sono riportati una serie di stratagemmi per evitare che amici e familiari si accorgano ed etichettino dei comportamenti come strani o preoccupanti. Tra le strategie è possibile leggere: “Entra ed esci spesso dalla cucina. Questo darà l’idea che mangi” “Lascia resti di cibo o piatti sporchi in giro” (prepara qualcosa e buttalo via, gli altri penseranno che lo hai mangiato) o ancora “Cerca di mangiare solo quando i tuoi familiari o amici sono con te” (e usa il tempo in cui sei sola per non farlo). All’interno di questi spazi virtuali è possibile trovare inoltre delle chat, dove le ragazze postano in maniera dettagliata le quantità di cibo, gli episodi di vomito, di restrizione e l’attività fisica a cui si sono sottoposte durante la giornata.

La dimensione psicologica e sociale dei blog Pro-Ana

Secondo i dati dell’Eurispes, l’età media delle Pro-Ana addicted coincide con la fase adolescenziale, momento evolutivo denso di contraddizioni, richieste e necessità di definirsi da un punto di vista identitario. Considerare l’anoressia come una “sindrome culturale” (Vandereycken e Van Deth) consente di leggere in maniera tutt’altro che banale l’impatto che il sociale ha nel nostro quotidiano, soprattutto nell’era di internet. La cura del corpo, costruito, modellato, trattato chirurgicamente, costituisce oggi un imperativo categorico, che sembra voler abolire ogni imperfezione, omologando tutti “alla cultura sociale del bello”. Nell’anoressia, oltre ad un corpo che si nientifica, c’è un disprezzo profondo e radicale, un rifiuto, che costituisce il modo per arginare e deragliare sul corpo sensazioni, tensioni che il soggetto sperimenta ma non riesce a gestire. Come sottolineato da Goodsitt (1983): «Essi cercano di soffocare questi sentimenti angosciosi per mezzo di frenetiche attività d’autostimolazione. Questo è il denominatore comune di attività come il digiuno adoltranza, il vomitare e l’iperattività. I sintomi sono quindi dei tentativi sviati di organizzare in modo sensato gli affetti e gli stati interni»1 (crf. Goodsit, 1983)

Affermare che il culto del corpo anoressico è epidemico (cfr. Camassa, 2010) significa considerare il duplice significato della parola epidemia: il quale per un verso rimanda al contagio, per l’altro si affianca invece al concetto di sacrificio. Nella teofania antica le epidemie erano infatti dei sacrifici offerti alle divinità. Coloro che desideravano diventare ninfe di Artemide ad esempio preservavano il loro corpo incorrotto e puro. Se trasliamo quanto detto nel mondo del web, Ana diviene dunque un significante simbolico, una divinità del nostro tempo, da esaltare e a cui indirizzare le proprie condotte sacrificali ed autodistruttive. La familiarità quasi colloquiale risulta evidente nelle intestazioni dei blog, le quali affermano in maniera netta “Ana non è una malattia è uno stile di vita”.

Ciò che emerge negli spazi Pro-Ana è un Sé corporeo imperfetto, deformato e da tenere a bada. Citando Mara Selvini Palazzoli: “Il corpo della ragazza anoressica non contiene l’oggetto cattivo, più precisamente è l’oggetto cattivo”2. Mangiare un boccone di più si configura quindi come una disfatta, come la possibilità di far crescere questo oggetto interno, ed è per questo che il controllo, caratteristica peculiare della patologia anoressica si ritrova nei post di queste ragazze, attraverso un linguaggio concreto, autocentrato e svuotato di qualsiasi altra valenza. Altro aspetto interessante riguarda il suo carattere egosintonico3. Il soggetto anoressico nella corsa affannosa verso la magrezza non ha percezione del suo essere malato, bensì entra in un rapporto dispercettivo con la propria immagine. Ciò che lo psicoanalista Jacques Lacan ha chiamato “Luna di miele dello stadio dello specchio” è il momento più euforico della patologia, quello in cui la ragazza attraverso i suoi post comunica alle altre di padroneggiare il suo corpo in ogni modo, non mangiando, sforzandosi di camminare, correre e di espellere tutto.

Come sottolineato da Massimo Recalcati4, purtroppo questo momento idilliaco si tramuta prima o poi nella caduta bulimica, nel momento in cui la pulsione a divorare ha la meglio. Osservando alcuni commenti, le ragazze in corrispondenza dell’inciampo raccontano con intensa angoscia di essere state misere, di aver fallito, di non valere nulla. Il gruppo che assume la dimensione di una setta privata funge allora da contenitore all’interno del quale veicolare angosce, contenuti primitivi e disgreganti, consentendo al tempo stesso di rispondere ai bisogni più profondi di affiliazione e confronto. Seppur in maniera disfunzionale, la rete costituisce una modalità protetta di relazionarsi con gli altri. Il web consente quindi di incontrare “qualcuno alla pari”, qualcuno che condivide lo stesso stile di vita. All’interno degli spazi Pro-Ana, l’anoressia cessa di essere una patologia assumendo lo statuto di un’insegna identificatoria, diventa quindi per il soggetto il solo modo per “nominarsi, riconoscersi ed essere”, mentre gli angoli Pro-Ana diventano “comunità virtuali identitarie”. Diversamente dalle comunità che hanno come scopo dichiarato quello di fornire supporto nel processo di guarigione o riabilitazione, è il caso degli Alcolisti Anonimi, nei siti Pro-Ana vige una logica mortifera ed autosegregativa volta a rafforzare il pensiero disfunzionale e la passione per le ossa. Molti paesi europei hanno avviato delle iniziative per censurare ed oscurare questi siti, soprattutto a causa del valore “imitativo” che per gli adolescenti potrebbero avere messaggi in cui si promuove la magrezza a tutti i costi. Di diverso avviso è però Giovannini, ricercatore italiano che per primo si è occupato di questo fenomeno, il quale ha più volte sottolineato l’importanza di monitorare e comprendere questa nuova forma di disagio.

Giuseppe Costa

2 Il termine egosintonico rimanda non ad una categoria di disturbo psichiatrico quanto piuttosto ad una qualità che qualsiasi disturbo può assumere. Il sintomo anoressico nella sua egosintonicità, non crea disagio, anzi l’ostinazione, il rifiuto del cibo danno una parvenza di compattezza al soggetto, il quale si sente coeso e forte. Proprio per questo, alcuni autori tra cui Domenico Cosenza, hanno parlato di “Muro dell’anoressia”, poichè da queste ragazze spesso gravemente deperite non proviene alcuna domanda d’aiuto, nessuna richiesta di cura.

3 Lo psicoanalista Massimo Recalcati evidenzia la presenza di un circuito anoressico-bulimico. Il primo tempo è caratterizzato dalla padronanza dell’ideale della magrezza sulla pulsione (ragion per cui la ragazza si sente euforica proprio perché in grado di controllare ogni pulsione), mentre il secondo tempo implica un ribaltamento, in cui è la pulsione a dominare completamente sull’ideale. Ed è proprio in questo secondo momento che si verificano le abbuffate ed i sentimenti di svalutazione e vergogna.

Bibliografia

Camassa, P. (2010), Anoressia: un’epidemia del corpo come “oggetto superiore”, Rivista di Psicoanalisi, 56

Cosenza, D. (2008). Il muro dell’anoressia. Astrolabio-Ubaldini, Roma

Recalcati, M. (1997), L’ultima cena: Anoressia e bulimia, Bruno Mondadori, Milano, 2007

Selvini Palazzoli, M. (1963), L’anoressia mentale: Dalla terapia individuale alla terapia familiare, Raffaello Cortina, Milano, 2006

Taylor, G.L., Bagby, R.M., Parker, J.D.A. (1997), I disturbi della regolazione affettiva, Fioriti, Roma, 2000

Vandereycken, W., Van Deth, R. (1995), Dalle sante ascetiche alle ragazze anoressiche. Il rifiuto del cibo nella storia, Raffaello Cortina, Milano

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