Uno dei maggiori ostacoli riscontrati nel percorso di disintossicazione da sostanze, sono i ricordi legati alla dipendenza. Queste memorie inducono alla tentazione di arrendersi e cedere alla ricaduta, anche e soprattutto dopo un faticoso percorso che ha portato ad accumulare con successo qualche anno di sobrietà. Tuttavia, un team di ricerca appartenente allo Scripps Research Insitute sembra aver trovato una via per poter eliminare il ricordo associato alla dipendenza in maniera selettiva, concentrandosi in particolare sui processi legati all’abuso dello psicostimolante metanfetamina.
Il team in questione suggerisce che questa scoperta potrebbe essere utile per costruire nuovi percorsi terapeutici allo scopo di eliminare questo tipo di ricordi specifici. Inoltre, aggiungono che il trattamento risulterebbe così efficace da lasciare intatte tutte le altre memorie non connesse all’uso di droghe: “Ora abbiamo un obiettivo praticabile e agendo su questo, possiamo distruggere e potenzialmente eliminare il ricordo specifico, lasciando gli altri intatti.” dice oggi Curtney Miller, professore associato dell’istituto Scripps, dopo la scoperta avvenuta in data 4 Agosto 2015.
In realtà, lo studio nasce da un’intuizione precedente, che il Professor Miller ebbe nel 2013 nel suo laboratorio, dove venne scoperta la possibilità di intervenire sui ricordi associati all’uso di sostanze grazie all’actina, proteina utilizzata dal nostro cervello. Tuttavia all’epoca, il potenziale terapeutico sembrò limitato dal fatto che essendo la beta-actina essenziale in più occasioni e processi; inibirla avrebbe comportato rischi insostenibili: prendere una pillola che andrebbe ad agire genericamente come inibitore della proteina in questione potrebbe anche rivelarsi fatale.
La speranza che il professore portava con sé, tuttavia, era che combinando le tradizionali terapie di riabilitazione e quelle di astinenza, si potesse ridurre o eliminare del tutto il rischio di ricaduta di chi fa uso di metanfetamina, con un singolo tentativo che prevede appunto la rimozione alla base di ciò che ha il potere effettivo di scatenare il comportamento disfunzionale legato al processo di ricaduta, ovvero il ricordo. Questa determinazione condusse i ricercatori ad un giro di boa. In un nuovo studio recente, realizzatosi nell’agosto 2015, Miller ed il suo team hanno raggiunto un coraggioso traguardo: la scoperta di una via sicura per eliminare il ricordo specifico, creando un composto che agisce su questa proteina in maniera istruita.
Durante le sperimentazioni a sostegno della ricerca – pubblicata in ogni dettaglio sulla rinomata rivista Molecular Psychiatry di Nature – i ricercatori hanno studiato l’effetto di una singola iniezione su cavie animali sottoposte ad uso di droga. La sostanza iniettata, chiamata Blebbistatin, sarebbe di fatto un composto di inibitori molecolari con un’importante affinità per la miosina IIB.
Una singola dose, in questo caso, andrebbe ad agire sulla proteina di beta-actina presente nel cervello attraverso la miosina IIB- non muscolare: la beta-actina, come già accennato, è una proteina che supporta i meccanismi mnestici nel cervello, mentre la miosina, come fosse un motore molecolare, coadiuva e agisce durante la formazione della memoria. Sorprendentemente, i risultati di questo studio hanno mostrato che la sostanza blebbistatin ha distrutto con successo i ricordi associati all’uso di droga e che inoltre previene la ricaduta nelle cavie per almeno 30 giorni.
Come è possibile tutto ciò? Ripercorrendo lo studio nel dettaglio, Miller ed i suoi, nel momento in cui nel 2013 si trovarono di fronte all’ipotesi di depolimerizzare – cioè scomporre – la beta-actina nel complesso basolaterale dell’amigdala, furono ad un punto cieco. Questa proteina infatti, come già accennato, svolge molte funzioni essenziali in tutto il corpo, che rendono impraticabile la sua scomposizione. La vera svolta è stata quando di recente, i ricercatori hanno aggirato l’ostacolo, pensando appunto di agire invece sulla miosina IIB, molecola che nel sistema limbico (porzione del diencefalo che integra tra le sue funzioni quelle di memoria, regolazione emotiva, dell’umore e del comportamento, etc.) contribuisce alla polimerizzazione dell’actina e dunque alla formazione del ricordo.
E’ qui che allora entra in gioco il composto blebbistatin, che agendo come bloccante della miosina IIB per cui presenta forte affinità, inibisce l’azione della beta-actina esclusivamente in quella sede, impedendo la formazione della memoria connessa all’uso di sostanza, senza ripercussioni.
I ricercatori associati sostengono che quello che rende la miosina IIB un brillante assistente terapeutico è che l’iniezione del composto molecolare, ad una singola somministrazione, elimina le memorie associate all’uso dell’anfetamina; ciò considerato che solitamente le sostanze che prendono di mira la beta-actina devono essere iniettate direttamente nel cervello.
Il composto blebbistatin, invece, raggiunge il cervello anche se l’iniezione è somministrata in una qualsiasi area periferica del corpo ed oltretutto le cavie non hanno subito scompenso alcuno. In aggiunta, le altre memorie sono rimaste illibate, tant’è che gli animali erano perfettamente in grado di formulare reminiscenze.
Questa scoperta allora, ci pone senz’altro di fronte all’ipotesi di uno sviluppo futuro: queste piccole molecole inibitrici potranno diventare una potenziale strategia terapeutica per prevenire il formarsi di circoli viziosi legati a qualsiasi tipo di dipendenza anche nell’uomo?
Di fatto, grazie a questa ricerca, possiamo dire che è possibile immaginarlo per quando riguarda l’uso di metanfetamina; il ricordo legato ad essa si genera in modo diverso da quello legato ad emozioni connesse ad altri disturbi relativi alla dipendenza – come gli attacchi di panico o i disordini alimentari. Per quello che concerne paura e soddisfazione infatti, l’actina ha un ruolo più fugace, mentre per la sostanza stupefacente il ricordo si fissa dopo un’attività prolungata dell’actina, che agisce rimodellando le spine dendritiche e quindi le sinapsi. E’ proprio questa azione prolungata della proteina in questione che, attraverso il motore molecolare per trasporti intercellulari che è la IIB, fornisce una finestra d’azione al nuovo composto.
Risulta tuttavia prematuro, come la stessa rivista si premura di far sapere, pensare all’uso di questo trattamento sugli uomini; inoltre la stessa miosina IIB, sebbene non nelle stesse quantità dell’actina, è presente altrove nel nostro corpo e ciò potrebbe comportare rischi collaterali: per ora dunque possiamo solo limitarci a sperare.
Bibliografia
Paradiso, M., Mark F. B. (2007), Neuroscienze. Esplorando il cervello. Elsevier
Sitografia
The Scripps Research Institute, http://www.scripps.edu/news/press/2015/20150804miller.html
Nature, http://www.nature.com/mp/journal/vaop/ncurrent/full/mp2015103a.html