Come affermato dal noto antropologo esperto del mondo mesoamericano Miguel Leon Portilla «[…] per i mesoaméricani per esistere bisognava osservare il cielo. Senza gli osservatori del cielo non si sarebbe sviluppato l’ethos di questo popolo, lo spirito che lo contraddistingue, il suo genio particolare» [Aveni, 1993:217].
Le grandi società precolombiane che occupavano la grande area culturale chiamata Mesoamérica (comprendente la parte centro-meridionale dell’odierno Messico, Belize, Guatemala, Honduras, Costarica e Nuova Guinea) erano fortemente influenzate, praticamente ossessionate, dal tempo. Presso i Maya e gli Aztechi il calendario ha infatti raggiunto una delle forme più complesse della storia umana e rappresenta proprio una delle massime realizzazioni intellettuali dei popoli nativi (cfr. Lupo, 2002).
In qualsiasi iscrizione Maya le prime informazioni sono sempre riferimenti temporali.
Sembra che i sovrani usassero proprio il tempo, le conoscenze calendariali e tutti i relativi indicatori naturali come veicoli per legittimare il proprio potere. L’ordine della natura era reso manifesto attraverso il governo della società (cfr. Aveni, 1993); «le èlites governanti equiparavano l’ordine sociale a quello cosmico, costruendo giustificazioni trascendenti in grado di legittimare il proprio status di garanti di tale ordine» [Lupo, 2002:22]. Risulta evidente la comparazione con l’occidente, dove il potere politico veniva definito proprio “temporale”, ad indicare la delega al governo degli uomini in base a una forza ultraterrena, quindi divina.
Le prime forme di calendario mesoamericano risalgono probabilmente al primo millennio a.C. per opera degli Olmechi e Zapotechi che parallelamente svilupparono la numerazione vigesimale*. «Il sapere calendariale scaturiva soprattutto dall’osservazione dei corpi celesti e dal calcolo matematico con il quale si pretendeva di sviscerare le leggi e le sequenze delle azioni divine» [Lopez Austin, in Lupo, 2002:5].
Il giorno rappresentava l’unità fondamentale di tempo e ancora oggi viene chiamato Kin (in lingua Maya), termine che indica in maniera onnicomprensiva anche il sole e il tempo in generale. «Il tempo è il ciclo stesso del sole, non un’entità separata […]» [Aveni, 1993:226].
I Maya, già prima degli Aztechi, credevano che le transazioni celesti del sole (alba e tramonto) governassero il loro destino e addirittura il singolo giorno veniva concepito come manifestazione di una divinità. Esistevano pertanto in base a queste considerazioni giorni buoni, giorni nefasti e giorni adatti per svolgere determinate attività (Ibidem).
Dai reperti inoltre notiamo come le persone portassero assieme al loro nome anche delle date. Probabilmente si trattava delle date di nascita, proprio perché avendo ogni giorno una sua influenza e una sua rilevanza risultava di particolare importanza “il giorno in cui “ci si presentava al mondo”, il momento in cui ci si esponeva alle forze del cosmo (cfr. Lupo, 2002).
Come si strutturava il calendario?
Si basava (e in un certo senso si basa ancora, visto che anche oggi gli indovini, che perpetrano e mantengono vive alcune delle pratiche rituali del passato, utilizzano come riferimento proprio il calendario “originale”) sulla sovrapposizione di due diversi cicli: quello solare di 365 giorni, il cosiddetto “anno vago” (Haab in lingua Maya o Xihutl in azteco) e quello sacro, rituale, di 260 giorni (Tzolkin in maya o Tonalpohualli in lingua azteca). I due diversi sistemi calendariali non agivano in successione ma contemporaneamente, vanno considerati quindi in parallelo (è come se il calendario rituale si ripetesse quasi una volta e mezzo all’interno di quello solare), pertanto ogni singolo giorno veniva contraddistinto da due diverse tipologie di coordinate, quelle dell’anno solare e quelle del ciclo rituale.
Anno di 365 giorni:
Composto da 18 mesi di 20 giorni ciascuno ai quali vanno aggiunti sul finire dell’anno 5 giorni intercalari reputati infausti (18×20 = 360, 360+5 = 365 giorni). Questo anno viene definito vago in quanto risulta più breve rispetto l’esatta durata di quello astronomico (cfr. Lupo, 2002). Al contrario di altre popolazioni risulta evidente come il ciclo annuale solare non venisse suddiviso esattamente seguendo il ciclo lunare, infatti il mese lunare non dura solo 20 giorni. Probabilmente queste popolazioni sono rimaste fedeli al conteggio vigesimale e hanno ripetuto tante volte 20 fino ad approssimarsi il più possibile con i 365 giorni effettivi, aggiungendo poi i 5 giorni rimanenti, come fosse un mese supplementare, periodo ritenuto infausto proprio perché al di fuori dell’ “anno normale” (cfr. Aveni, 1993).
Anno di 260 giorni:
Composto dalla combinazione di 13 numeri (giorni) con 20 simboli, o nomi calendariali (ad esempio “1-alligatore”, “2-vento”, “5-serpente”, ecc.), dove il primo simbolo dava il nome all’intera tredicina, nonostante poi i singoli giorni venissero accostati ai singoli simboli. Interessante notare come essendo un sistema di combinazioni sequenziali affinché si ripresentasse ad esempio la data “1-giaguaro” della tredicina del giaguaro doveva trascorrere un ciclo completo che comprendesse tutte le 260 combinazioni possibili, ciclo che quindi terminava per ricominciare ogni 52 anni. (cfr. Lupo, 2002). Il periodo di 52 anni era chiamato “legatura degli anni” e aveva una grande importanza religiosa. Al suo scadere venivano celebrate cerimonie volte a scongiurare il pericolo che il mondo avesse fine. Gli Aztechi credevano infatti che le ere precedenti (se ne contano quattro) fossero state distrutte in corrispondenza della fine di uno di questi cicli dai cataclismi prodotti dalle diverse divinità (Ibidem).
Perché i 260 giorni? Due sono le ipotesi più accreditate.
La prima si rifà direttamente al profondo rapporto che esisteva tra la natura e le popolazioni della Mesoamérica precoloniale. Già gli Olmechi identificavano il potere del re con la capacità di mediare con le divinità naturali, essendo la società ancora e soprattutto agricole; il ciclo vegetativo era un elemento fondamentale le divinità erano spesso raffigurate proprio con elementi vegetali. Tra questi elementi vegetali ce ne è uno che prevale sugli altri, il Mais, ed è proprio di circa 260 giorni il tempo necessario alla sua maturazione (cfr. Earle-Snow, 1985; Lupo, 2002; Aveni, 1993).
La seconda teoria invece si basa sulla durata della gestazione umana. Dal momento della prima mancata mestruazione al parto infatti trascorrono circa 9 mesi che corrispondono appunto a 260 giorni. Appare subito evidente la forte connessione che viene a generarsi tra il microcosmo interno di un singolo individuo e il macrocosmo esterno (Ibidem).
Si può desumere dalle precedenti considerazioni come il calendario mesoamericano non fosse soltanto concepito come sistema di registrazione e misurazione del tempo o di fenomeni astronomici. É importante ricordare come la costruzione di senso intorno al calendario ruotasse sicuramente intorno alla produzione agricola, che andava protetta e curata, sia praticamente che simbolicamente, in quanto mezzo di sostentamento indispensabile e necessario per la comunità, non potendo contare su allevamenti intensivi di grandi animali. Tuttavia parliamo soprattutto di un sistema in grado di conferire senso alla realtà e agli eventi partendo dal presupposto che ognuno dipendesse da influssi di forze extraumane. Il fluire del tempo veniva concepito come una successione di divinità, scandita proprio dall’ordine calendarico, ognuna delle quali imprimeva la propria essenza. Proprio tramite la conoscenza dell’ordine che regolava le azioni divine l’uomo riusciva ad adeguare la propria condotta. Non vi era nessun luogo e nessun momento che non ricadesse sotto l’influenza delle forze divine, e che quindi fosse privo di significato, di senso, il calendario non serviva a tanto a conoscere il giorno ma piuttosto “che tipo di giorno” (cfr. Lupo, 2002).
Dario Bettati
* un tipo di numerazione “a base venti”, quindi non decimale. Probabilmente basata sul conteggio totale delle dita delle mani e dei piedi di una persona.
Bibliografia
Aveni, A., Gli imperi del tempo, Ed. Dedalo, 1993
Lupo, A., Scansione del tempo e calendario: l’esempio mesoamericano, (Corso di Laurea in Teorie e Pratiche dell’Antropologia, a.a. 2002-2003, Edizioni della Facoltà di Lettere e Filosofia La Sapienza – Roma) Ed. a cura di Biblink Service, Roma
Earle, D., M. e Snow, D., R., “The origin of the 260-day calendar: the gestation hypothesis reconsidered in light of its use among the Quiche-Maya”. In Greene Robertson, M., (a cura di), Fifth Palenque Round table, San Francisco, 1985
Gell, A., The antrophology of time. Cultural construction of temporal maps and images, Oxford, 1992
Murk, J. (a cura di),, The Codex Fejevary-Mayer, Smashwords Edition, 2014