Il matrimonio rappresenta per molti il coronamento di un romantico sogno d’amore. Infatti di solito, dopo una valida e salda conoscenza reciproca, accade che i “promessi sposi” (per dirla alla Manzoni) decidano di vincolare il loro amore sulla base di una promessa assumendo l’impegno di sposarsi. Questo impegno è noto nel linguaggio giuridico come promessa di matrimonio.
Sicuramente si spera che i futuri sposi possano vivere la loro fiaba d’amore per sempre felici e contenti ma cosa accade se, all’improvviso, questa fiaba si trasforma in un’illusione? Se questa promessa viene infranta, come cambia la situazione tra i due ex promessi sposi?
La legge considera questa ipotesi e dedica a ciò gli articoli 79, 80 e 81 del codice civile. Nello specifico, il legislatore dalla rottura della promessa di matrimonio prevede la nascita dei seguenti obblighi:
- restituzione dei doni;
- restituzione di altri effetti personali;
- risarcimento del danno a carico del fidanzato che è venuto meno ingiustificatamente alla promessa o ha dato all’altro un giustificato motivo per interromperla.
Quali doni ed effetti personali restituire e perché? Sicuramente lo sono quelli ricevuti in occasione della promessa di matrimonio: l’anello di fidanzamento costituisce l’esempio per eccellenza; al contrario non sono soggette a restituzione altre liberalità che i fidanzati sono soliti scambiarsi in occasione di alcune ricorrenze, ad esempio il classico regalino per la festa degli innamorati o per la festività del Natale.
Per quanto riguarda gli effetti personali, tipici esempi possono essere le fotografie, le lettere d’amore o altri oggetti simili riproducenti certi aspetti della persona che i fidanzati sono soliti scambiarsi, quale può essere un grande collage fotografico raffigurante la love story dei due innamorati.
L’obbligo di restituire i doni e gli effetti personali trova le sue radici nel costume sociale che richiede l’eliminazione dei segni di un rapporto rimasto incompiuto al fine di poterne ricostruire uno nuovo senza alcun ricordo del precedente. D’altronde, chi bacerebbe il nuovo partner portando al dito l’anello che prometteva un matrimonio poi non andato a buon fine?
Infine il legislatore prevede un’altra regola importante: la risarcibilità del danno. Per chiedere il risarcimento del danno a causa della rottura della promessa di matrimonio devono ricorrere alcuni presupposti:
- una promessa bilaterale, la quale esprima la volontà di convolare a nozze da parte di entrambi i fidanzati;
- promessa stipulata per scrittura privata, atto pubblico o, in mancanza, è necessario che risulti dalle pubblicazioni di matrimonio. Il requisito della forma è rispettato anche in presenza di una scrittura non creata per documentare l’avvenuta promessa: un esempio potrebbe essere la corrispondenza tra i due fidanzati, lettere d’amore in cui entrambi manifestano il forte desiderio di volersi unire in matrimonio, purché l’assunzione dell’impegno di sposarsi risulti con certezza e chiarezza.
- la rottura non deve essere ingiustificata e, dunque, non possono essere addotte ragioni infondate o pretestuose. Si pensi al fidanzato che, paradossalmente, decida di interrompere la promessa a causa del colore dei capelli della propria compagna: “Tu sei castana, non posso sposarti perché io preferisco le bionde”. Al contrario, sarà sicuramente giustificata la rottura da parte del fidanzato che viene meno per quelle circostanze sconosciute o sopravvenute rispetto alla promessa (la scoperta di non poter avere figli o l’infedeltà del proprio partener).
- la richiesta da parte del danneggiato deve essere tempestiva.
Il legislatore precisa che l’onere della prova dell’esistenza di una causa giustificatrice è a carico del fidanzato che la invoca.
La domanda di risarcimento deve essere proposta, a pena di decadenza, entro un anno dall’avvenuto rifiuto di rispettare la promessa. Il risarcimento comprende sia le spese sostenute che le obbligazioni assunte per la promessa ed il futuro matrimonio; quindi non solo quelle sostenute nell’l’interesse di entrambi i fidanzati (come ad es. quelle per il viaggio di nozze, i festeggiamenti ecc..) ma anche quelle affrontate dal singolo fidanzato per il matrimonio: si pensi all’acquisto dell’abito da sposa/o non altrimenti utilizzabile.
È importante sottolineare che non c’è danno se le spese affrontate risultano ugualmente utili anche in mancanza di matrimonio.
La legge però, se da un lato censura il comportamento irresponsabile di chi rompe la promessa di matrimonio, dall’altro non riconosce il risarcimento del danno morale. La conferma di tale tesi si evince dalla lettura della sentenza della Corte di Cassazione n. 9 del 2 gennaio 2012. Nello specifico la vicenda si è svolta nella provincia di Catania: l’aspirante sposa, lasciata due giorni prima della data fatidica, si è rivolta al tribunale per ottenere giustizia nella convinzione di aver diritto non solo al risarcimento delle spese sostenute per la cerimonia ma anche a un indennizzo del danno morale per la sofferenza subita. Gli Ermellini hanno ammesso che in questo caso è evidente la violazione di regole di correttezza e auto-responsabilità, tuttavia non esiste una norma che giustifichi il ristoro al fidanzato “sedotto e abbandonato”. La ragione di tale impostazione è quella di salvaguardare fino all’ultimo la piena e assoluta libertà di ognuno di contrarre o non contrarre le nozze, mentre l’assoggettamento a un regime di piena responsabilità risarcitoria potrebbe in realtà tradursi in una forma di indiretta pressione sul promittente nel senso dell’accettare a tutti i costi un legame non voluto.
Bibliografia
Auletta, T., (2014), Diritto di famiglia, Torino, Giappichelli
Sitografia
Leggi, sentenze e svolgimento dell’attività giudiziaria
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