Qualche tempo fa è uscita l’immagine di Kim Kardashian e Emily Ratajkowski (modelle e attrici) che si sono fotografate insieme a seno nudo e con i medi alzati alla scritta “Have nothing to wear”. C’è chi considera questi atti come sintomo di emancipazione e c’è chi invece li considera l’ennesimo sintomo di disparità di genere. Le autrici sostengono che le loro azioni dovrebbero aiutare le donne nel processo di empowerment femminile.
Ma che cos’è l’empowerment?
La parola empowerment in italiano non detiene un significato univoco e può indicare un percorso di miglioramento di sé e del gruppo. A sua volta basato sull’incremento della stima di sé, dell’autoefficacia e dell’autodeterminazione in modo da far emergere le risorse individuali che portino a dominare il proprio potenziale.
Fin dagli anni Sessanta il costrutto dell’empowerment è cruciale nei movimenti politici femministi. In quelli liberali si cercava di modificare la comune idea secondo cui le donne sono radicalmente diverse ed inferiori all’uomo e costrette alla cura dell’altro. Usando una chiave di lettura psicologica, e nello specifico della psicologia sociale, e del comportamento politico l’intento delle femministe è quello di modificare l’identità sociale della donna. Questo per far sì che le differenze tra i due generi siano ridotte e le somiglianze enfatizzate, remando contro i meccanismi di categorizzazione tra gruppi descritti da Tajfel nella Social Identity Theory (1974; 1984). Oggi il femminismo è cambiato e ormai i movimenti si concentrano sull’esaltare le peculiarità delle donne piuttosto che l’uguaglianza. Tra le autrici degli anni sessanta si annoverano Kate Millett o Anne Koedt mentre tra le più moderne spiccano Christina Hoff Sommers, Mary Lefkowitz e Cathy Young.
Un altro concetto fondamentale è la definizione della parola “genere”, spesso usata impropriamente.
Quando si fanno discorsi riguardanti il genere, è proprio la definizione di quest’ultima parola a sfuggire a molti. Il genere definisce una parte dell’identità di un individuo sia nella sua unicità che nella collettività. È un costrutto socialmente determinato, che categorizza e separa la donna dall’uomo.
Il genere è il ruolo sociale, non solo il sesso biologico nonostante all’apparenza sembrino sovrapponibili. Il primo viene definito e insegnato nell’atto di socializzazione e di crescita dell’individuo come costrutto culturale, infatti i bambini, dato il loro livello di determinazione sociale inferiore agli adulti, riescono più facilmente a vedere l’altro sesso come uguale a loro; il secondo invece è determinato dal corredo biologico e dai cromosomi che casualmente si fondono nell’atto procreativi (cfr. Sartori, 2009).
È stato ed è tutt’ora fondamentale per le donne fare empowerment su loro stesse, soprattutto in Italia in cui una realtà maschilista è ancora molto presente, per valorizzare le proprie risorse ed uscire dalla costrizione del ruolo che socialmente viene loro attribuito. Un’evidenza riguarda ad esempio il numero di donne nel mondo del lavoro che occupano delle posizioni apicali. Tale numero oggigiorno è notevolmente aumentato rispetto a cinquant’anni fa, ma le donne stanno ancora combattendo contro il “glass ceiling”, il soffitto di cristallo in cui l’avanzamento degli individui viene impedito a causa di discriminazione razzista o sessista, ancora molto presente nelle organizzazioni (cfr. Camussi, 2011). (Per approfondire, Cecilia Ridgeway (2001) contribuisce a meglio spiegare i numerosi ostacoli che le donne devono superare causate dalle aspettative sociali differenti tra i due sessi e Gherardi (1997) a delineare degli archetipi di “donne al lavoro”.)
A questa problematica si aggiunge quello dell’autoesclusione delle donne per cui molte si valutano solo come carenti piuttosto che consapevoli delle proprie competenze e potenzialità. Una maggiore presenza di donne ai vertici dovrebbe essere la normalità. Intervenire dall’esterno appare essere l’unica soluzione per stimolare una maggiore visione paritetica e di empowerment della donna nelle proprie capacità rendendole esplicite. Azioni politiche di pari opportunità sono state messe in pratica negli ultimi anni riguardo il livellamento della presenza di figure femminili nelle organizzazioni, le quali vogliono spingere per una maggiore rappresentanza della donna nel mondo del lavoro. Un incremento che adesso è determinato dall’alto dovrebbe divenire nel tempo una visione normale, o almeno questo è l’obiettivo che ci si augura di raggiungere presto (cfr. Sartori, 2009).
Il lavoro da fare per promuovere lo sviluppo dell’empowerment si basa, secondo Dallago (2006), sulla base della condivisione di alcune caratteristiche nei gruppi sociali e di lavoro:
- Lavorare considerando più aspetti del problema;
- Valorizzare il gruppo e gli individui rafforzandone le competenze relazionali e di cooperazione;
- Valorizzare le esperienze di vita e di lavoro, attraverso l’uso di metodi e attività coinvolgenti;
- Favorire la partecipazione attiva dei soggetti interessati, aumentare la motivazione, creando spazi per la condivisione di idee e abilità;
- Creare reti di istituzioni e di individui in grado di condividere sforzi, risorse e idee, e di diventare nuova risorsa per la comunità;
- Promuovere la cultura della valutazione, indicando l’importanza della raccolta dei dati sui processi e sui risultati delle attività;
- Fare in modo che il lavoro continui e diventi patrimonio della comunità.
Il costrutto di emancipazione femminile vuole promuovere un modello di realtà paritetico per cui si valorizza come le relazioni di genere dovrebbero essere, piuttosto che di come esse sono nella quotidianità (Francescato & Burattini, 1997). In seguito alla Piattaforma di Pechino nel 1995 la parola empowerment ha assunto la sua ufficialità nel promuovere e implementare politiche di parità e di pari opportunità tra i due sessi, in modo da realizzare uno sviluppo politicamente più equo. Le donne devono valorizzare le loro capacità, competenze ed esperienze che hanno e che hanno costruito da sole per riuscire a prevaricare un sistema in cui maggiori responsabilità e attribuzione di potere possono avvenire solo da una concessione data loro da una posizione superiore (cfr. Sartori, 2009).
Le politiche e l’emancipazione al femminile devono concorrere alla costruzione di un concetto di uguaglianza di genere condivisa. Questo non significa che si è uguali in senso stretto ma che date le caratteristiche singolari dell’individuo si sia valutati in modo paritetico. Nonostante tutti gli impegni degli ultimi decenni, si è ancora lontani dalla parità tra i due sessi.
Tornando alla foto delle due showgirl: non dovrebbe essere contestata la libertà di eseguire certi scatti, ma domandarsi se il messaggio che veicolano è davvero quello che è stato illustrato precedentemente. Quale sarebbe il valore aggiunto dato da questi post su instagram nella valorizzazione del ruolo femminile all’interno della società?
La preoccupazione principale di Kim ed Emily nella foto è cosa indossare. Questo rappresenta uno degli stereotipi che il genere femminile ha cercato di combattere per decenni: la donna come consumista e vanitosa, che dipende dal giudizio degli altri per essere apprezzata, la cui unica preoccupazione è quella di apparire. Ostentare i canoni di bellezza, dettati dagli stereotipi quali la magrezza e la prorompenza dei seni, con migliaia di euro investiti in trucchi, acconciature e abbigliamento, non si annovera come emancipazione femminile quanto piuttosto come autosegregazione nel ruolo del sesso debole. Bisogna distinguere tra la consapevolezza della propria sessualità e la categorizzazione del ruolo sociale della donna. Le due showgirl riescono benissimo nel primo intento, per cui qualunque sia la condizione della donna ha il diritto di poter fare con il proprio corpo quello che crede sia giusto, ma male nel secondo. La rappresentazione sociale che ne risulta non viene associata alla rivendicazione della libertà femminile, ma piuttosto ad un uso del proprio corpo e nome come brand che porta il nome Kardashian & Ratajkowski. Questo costrutto si ritrova nella teoria delle rappresentazioni sociali descritto da Moscovici che si compone (1) dall’ancoraggio il quale classifica, denomina e spiega qualcosa di non familiare e (2) dall’oggettivazione che consiste nel dare corpo concreto a schemi e concetti astratti. Esso rende familiare ciò che è estraneo; rende vicino alla propria esperienza ciò che è distante; ed infine permette una continuità tra ciò che è vecchio e ciò che è nuovo.
Questa continuità provoca una variazione di valori e sentimenti nel tempo e nelle persone che riescono a modificare la propria rappresentazione sociale (Colucci, 1998). Infatti, il mondo è mutato a seguito dei movimenti femministi e delle rappresentazioni sociali che ne sono conseguite. Nella fotografia scattata delle due donne non vi è una modificazione né una nuova visione della rappresentazione sociale dell’emancipazione al femminile.
Concludendo possiamo considerare come la foto di Kim ed Emily non mostri una donna che si sta svincolando da un ruolo segregato alla mera apparenza. Molti sostenitori di questi comportamenti possono giustificarli attraverso il loro legame consapevole con il proprio corpo e la propria sessualità. Infatti, in questa sede non si vuole dare un giudizio di valore alla loro scelta, ciononostante tale foto appare come un’azienda che sta investendo sulle proprie risorse. Un’azione che trae i propri ricavi dall’atto stesso di postare foto su instagram piuttosto che di un’azione emancipatoria.
Bibliografia
Camussi, E. (2011). Donne in pubblico: il rapporto con le altre
Colucci, F. P. (1998). “Limiti e potenzialità della teoria di Moscovici sulle rappresentazioni sociali”. In Giornale italiano di psicologia, 25(4)
Dallago, L. (2008). Che cos’è l’empowerment? Roma, Carocci.
Francescato, D., & Burattini M. (1997). Empowerment e contesti psicoambientali di donne e uomini d’oggi. Roma, Aracne.
Gherardi, S. (1997) Il Genere e le organizzazioni. Cortina
Ridgeway, C. L. (2001). “Gender, status, and leadership”. In Journal of Social Issues, 57(4)
Sartori, F. (2009). Differenze e disuguaglianze di genere. Il mulino.
Tajfel, H. (1974).” Social identity and intergroup behavior”. In Social Science Information 13(2)
Tajfel, H. (1984). “Intergroup relations, social myths and social justice in social psychology”. In The social dimension (Cambridge: University Press) 2
Zimmerman, M.A. (2000). “Empowement Theory. Psychological,Organizational and Community Levels of Analysis”. In Rappaport,J., Seidman, E., Handbook of Community Psychology. New York: Kluwer Academic/Plenum Publishers
Sitografia
http://educard.scandiccicultura.eu/educarsi-alle-differenze-di-genere/