Cosa hanno in comune Ross e Rachel di Friends, Chuck e Blair di Gossip Girl, JD e Elliot di Scrubs, e Ted e Robin di How I met your mother?
Oltre ad essere i protagonisti di serie tv di grande successo, queste coppie rappresentano esempi perfetti di quello che Bowlby, psicoanalista inglese, definì attaccamento evitante. L’amore rappresentato in queste storie si caratterizza per la ripetizione di un pattern ben preciso: uno dei due personaggi, improvvisamente, si sente ferito/ rifiutato e, di conseguenza, si allontana. L’amore romantico, come viene dipinto non solo da serie tv, ma anche da film (es. Harry ti presento Sally, Notting Hill, One day … ), canzoni, romanzi, nient’altro è che un finale positivo (ma non sempre) ad una serie ripetuta di fughe e riconciliazioni.
Nelle vicende amorose hollywoodiane non è raro che, tra una riconciliazione e una fuga, si collochi un intermezzo di gelosie ingiustificate, esplosioni di aggressività, avvicinamenti non richiesti che sfiorano lo stalking, chiamate nel cuore della notte, insistenza in generale (es. Cinquanta sfumature di grigio, Vanilla Sky, Twilight …), che sono, invece, caratteristiche dell’attaccamento preoccupato. Quelli che, in una relazione reale, potrebbero essere definiti comportamenti di abuso e dipendenza, nei film vengono solitamente idealizzati come atti di eroismo e dimostrazioni di “vero amore”. Ma cosa si dovrebbe pensare se ci si imbattesse in comportamenti del genere nella vita reale, e non in un film? Quale interpretazione potremmo dare a relazioni amorose di questo genere?
Una possibile chiave interpretativa ci viene fornita dalla teoria di John Bowlby.
Una prospettiva sull’amore: la teoria dell’attaccamento
La teoria dell’attaccamento, proposta da Bowlby (1973), tenta di spiegare per quale motivo gli esseri umani si leghino tra loro.
L’autore sostiene che l’essere umano abbia una predisposizione innata a sviluppare legami significativi con alcune figure specifiche. Tali relazioni, dette relazioni d’attaccamento, servirebbero a garantire la sicurezza e la protezione dai pericoli. Fin dalla prima infanzia, attraverso la relazione con i genitori o le figure di accudimento, l’individuo si creerebbe una serie di aspettative implicite riguardo a se stesso (“Sono meritevole di amore?”) e a chi lo accudisce (“Posso fidarmi di lei/lui, se le cose vanno male?”) (cfr. Bowlby, 1973). Tali aspettative, racchiuse dentro a ogni essere umano, costituiscono quelli che Bowlby definisce modelli operativi interni, una sorta di chiave di lettura personale delle relazioni, e governano il modo in cui le persone comunicano agli altri (o meno) i propri bisogni.
Quando un bambino si trova nella condizione di avere costante supporto in momenti di difficoltà, egli impara che i propri segnali (es. di paura) sono percepiti e provocano risposte nel prossimo. Questo apprendimento lo porterà a esibire modalità di comunicazione efficaci e chiare. Quel bambino diventerà, quindi, un adulto capace di comunicare ed esprimere bisogni e sentimenti in modo chiaro: una persona dall’attaccamento sicuro. Diversamente, se una persona ha avuto in passato genitori incapaci di rispondere adeguatamente ai suoi segnali di bisogno (es. ignorandoli), probabilmente finirà per adottare strategie meno efficaci e meno comunicative (es. chiudersi emotivamente invece di parlare apertamente della propria rabbia), che rientrano nei pattern insicuri di attaccamento. (cfr. Seedall & Wampler, 2016).
Tali modalità di relazione non solo si trasmettono all’età adulta, ma hanno un grandissimo impatto sulle relazioni di coppia dell’individuo (Wampler, Riggs e Kimball, 2004). Nello specifico, si possono evidenziare diverse modalità di attaccamento insicuro a seconda degli autori che ne parlano, ma le seguenti due, oltre ad essere molto condivise, sono anche le più facili da riscontrare nelle narrazioni del cinema.
Lo stile di attaccamento insicuro evitante/ distanziante
Modalità di relazione che nasce da un’interazione non calorosa tra madre e bambino. Un bambino che esperisce una madre rifiutante dal punto di vista fisico ed emotivo (es. evita lo sguardo del figlio; lascia piangere il bambino a lungo prima di intervenire), si convincerà che, richiedendo esplicitamente aiuto, non solo non avrà risposta da parte del genitore, ma addirittura verrà rifiutato.
La strategia di risposta più adattiva in una situazione del genere è, per un bambino, ricercare l’autosufficienza a tutti i costi, chiedere il meno possibile.
Da adulti, gli insicuri evitanti manifestano comportamenti di chiusura nei confronti delle proprie emozioni e, di conseguenza, appaiono poco empatici anche con gli altri. Di fronte a situazioni di conflitto o alla sofferenza, possono “sparire” per molto tempo, isolandosi dal rapporto di coppia. La loro “fuga” può anche non essere fisica, possono semplicemente apparire indifferenti di fronte a situazioni emotivamente intense (ciò non significa che non provino emozioni, ma spesso queste persone privilegiano il lato razionale a quello affettivo).
Un’altra opzione per la persona evitante è sopperire al proprio senso di “non amabilità” personale tramite intercorsi sessuali emotivamente distaccati con una moltitudine di persone apparentemente intercambiabili. Non è una modalità solo maschile (diversi stili di attaccamento non sono tipici di uomini o donne), anche se nel cinema e nei telefilm viene spesso rappresentata come tale: pensiamo a Chuck di Gossip Girl e Barney di How I met your mother … Mille altri esempi sono riscontrabili nel cinema: solo per citarne alcuni, i protagonisti di Hitch, e What women want corrispondono molto bene a questo stereotipo.
Lo stile di attaccamento insicuro ambivalente/ preoccupato
Modalità derivante dal comportamento contraddittorio e incostante di un genitore: a volte può ignorare le richieste del bambino, altre volte può essere iperprotettivo o intrusivo, offrendo aiuto anche quando non è ricercato (Baldoni, 2010). In questo caso, il bambino (e successivamente, l’adulto) si sentirà intensamente angosciato al momento della separazione dalla figura d’attaccamento, e non si tranquillizzerà facilmente, proprio per via del senso di imprevedibilità trasmessogli. I “preoccupati” cercano di stimolare l’attenzione degli altri e convincerli del proprio punto di vista, in modo ossessivo. Possono mentire sistematicamente, privilegiano l’emotività alla logica. Adottano tentativi di controllo degli altri (messaggi continui, intrusioni nella privacy) per evitare l’abbandono, che temono più di ogni cosa. In una discussione, tendono a considerare solo il proprio punto di vista, enfatizzando le esperienze negative e ponendosi nel ruolo di vittime.
All’interno delle narrazioni cinematografiche, generalmente questo ruolo è assegnato alle donne. I personaggi ambivalenti possono arrivare, nelle trame, ad atti estremi di gelosia e rabbia, come far schiantare una macchina in corsa con l’amato dentro (Cameron Diaz in Vanilla Sky). Anche l’incapacità di tollerare la separazione viene rappresentata implicitamente, ad esempio con frasi che, a prima vista, potrebbero sembrare romantiche dichiarazioni d’amore: pensiamo a Christian Grey che, dopo averla portata in casa propria in stato di incoscienza, dice alla sua bella “sei qui perché non riesco a lasciarti da sola” (Cinquanta sfumature di grigio).
Conclusione
Le conseguenze dell’attaccamento insicuro sulle relazioni di coppia sono davvero problematiche, per molte persone e coppie. E’ curioso, tuttavia, che i media tendano a sorvolare sul primo tipo di attaccamento, quello sicuro. Le persone con attaccamento sicuro/ equilibrato hanno buone capacità empatiche e riflessive e sono in grado di esprimere le emozioni in modo adeguato alla situazione. Gli “amori sicuri” si caratterizzano per equilibrio e fiducia reciproca, mancano quindi di tutto quel susseguirsi di abbandoni e abusi psicologici che provocano sofferenza alle persone coinvolte, nei film e nella vita.
Le narrazioni a cui assistiamo al cinema possono invece favorire la convinzione che l’amore, per essere tale, debba includere alti e bassi vertiginosi.
Bandura (1997) sostiene che alcuni dei nostri apprendimenti di vita avvengano in maniera indiretta, ovvero tramite l’osservazione di ciò che fanno altre persone. Anche ciò che osserviamo in molti film nel corso della nostra vita può, quindi, influenzare grandemente la nostra concezione di ciò che è desiderabile o meno, in una relazione. E’ desiderabile avere grosse delusioni da una persona, se poi, alla fine, vengono ripagate con una dichiarazione strappalacrime di fronte ad una folla che acclama, o con una corsa dell’ultimo minuto in aeroporto.
Sarebbe, invece, così sterile utilizzare lo spunto delle relazioni sicure in un’opera artistica come un film? L’attaccamento sicuro, l’amore stabile (non in assoluto, ma privo di minacce costanti) è davvero così piatto, confrontato al controllo ossessivo e agli abbandoni ripetuti?
Si potrebbe lasciare queste domande senza risposte, se non “provare per credere”. La buona notizia, infatti, è che, secondo alcuni studi, l’attaccamento insicuro non è una condanna, ma può modificarsi grazie alle esperienze di coppia positive e alla psicoterapia. Esiste infatti un tipo di attaccamento, chiamato da Patricia Crittenden (2000) sicuro guadagnato, che racchiude quelle persone che hanno sperimentato sì situazioni di pericolo durante l’infanzia, ma, in seguito ad esperienze adulte e maturazione personale, sono riuscite a riorganizzare le proprie aspettative riguardo agli altri.
Un attaccamento sicuro permette alle persone l’atto della comunicazione. Proprio la comunicazione, forse, è il tassello mancante a tutte le trame più drammatiche e teatrali dei nostri tempi.
Bibliografia
Baldoni, F. (2010). La prospettiva psicosomatica. Bologna, Il Mulino
Bandura, A. (2000). Autoefficacia: teoria e applicazioni. Edizioni Erickson, Trento
Bowlby, J. (1973). Attachment and loss: Vol.2. Separation. New York: Basic Books.
Crittenden, P.M. (2000). A dynamic-maturational approach to continuity and change in pattern of attachment. Cambridge, Cambridge University Press.
Seedall, R.B., & Wampler, K.S. (2016). Couple emotional experience: Effects of attachment anxiety in low and high structure couple interactions. The Association for Family Therapy and Systemic Practice, 38
Wampler, K.S., Riggs, B., & Kimball, T.G. (2004).” Observing attachment behaviour in couples: the Adult Attachment Behaviour Q-Set (AABQ)”. In Family Process, 43