E’ possibile oggi imparare ad invecchiare bene? Si può parlare di una pedagogia dell’invecchiamento?
Seneca, in un suo famoso scritto, diceva che «la vecchiaia sorprende gli uomini quando nello spirito non sono ancora cresciuti, e li coglie impreparati ed inermi».
Già Giovanni Gentile tentò di estirpare il pregiudizio dell’educazione focalizzata esclusivamente sull’infanzia, affermando che essa non abbia un inizio e una fine, perché l’uomo in quanto essere spirituale è in continuo divenire di sviluppo e, dunque, di formazione. Durante il ciclo vitale dell’uomo esistono degli apprendimenti necessari per un maggior benessere, legati alla piena realizzazione di sé e delle proprie personali capacità e quindi anche nell’età anziana si parla di pedagogia.
La pedagogia dell’invecchiamento ha come fine pedagogico quello di dare un accompagnamento educativo alla persona ad ogni età, mettendola nelle condizioni favorevoli per esprimere le proprie potenzialità, in quanto l’uomo, durante tutto il corso della sua vita, modifica continuamente i propri schemi cognitivi, le emozioni, il ruolo, le aspettative, le attività, le competenze, il corpo. L’educazione alla vecchiaia, quindi, si configura come nuova frontiera pedagogica, che risponde con specifiche forme e modalità educative ai bisogni e alle richieste delle persone anziane in direzione di equilibri nuovi.
I repentini cambiamenti della società odierna e l’allungamento delle aspettative di vita comportano un mutamento anche nell’immaginario collettivo della figura dell’anziano: la vecchiaia, infatti, è interpretata sia come occasione per realizzare aspirazioni accantonate per anni, sia come sostentamento economico e di cura per figli e nipoti in una società caratterizzata da precarietà soprattutto economica. E’ consuetudine ormai vedere le persone anziane nelle vesti di nonno-vigile davanti alle scuole, ballerini in sale da ballo, studenti in università della terza età, promotori del volontariato, in associazioni, circoli ricreativi, partecipanti a corsi di cucina, di nuoto, di soggiorni climatici, protagonisti di programmi televisivi, fruitori delle nuove tecnologie e attivi sui social media.
A fronte di ciò va sottolineato che esistono tuttora clichè mentali vividi in alcuni atteggiamenti radicati nella nostra quotidianeità, che spesso mostra disinteresse e produce emarginazione – educativa prima ancora che sociale – nei confronti dell’invecchiamento, vere e proprie piaghe sociali che configurano gli anziani come soggetti vulnerabili : vittime di furti e truffe, di depressione senile, di apatia, della solitudine di chi non sa più dialogare con il proprio mondo “che non è più quello di una volta”. L’isolamento può insorgere dalla mancanza di attività, dal trovarsi soli per lunghe ore della giornata e spesso nel cuore dell’anziano fa capolino una domanda seria e pericolosa per le sue conseguenze: “Servo ancora a qualcosa a qualcuno?” oppure “C’è ancora qualcuno cui io interesso?”. Inoltre, la paura e la sensazione di non essere più autosufficienti e padroni di sé e dei propri atti può generare atteggiamenti che, agli occhi di chi circonda l’anziano, possono sembrare improvvisamente capricciosi, testardi, poco collaborativi.
Nella sua teoria sui cicli della vita (1982) Erikson include la vecchiaia fra le fasi evolutive ritenendo che il soggetto che invecchia debba ancora integrare le dimensioni psicologiche dell’integrità e della disperazione. Infatti, l’uomo che invecchia fra salute e malattia, che destruttura il suo ruolo precedente ed elabora una nuova identità, diventa consapevole e responsabile di un percorso di formazione continuo che sviluppa una personalità aperta, dinamica, disponibile al cambiamento e a nuove forme di apprendimento, che consente di ri-appropriarsi creativamente del tempo e dello spazio di vita, delle relazioni.
La senilità è il periodo della vita che lancia una nuova sfida alla capacità di crescita umana e, qualora la terza età non fosse vista non come un periodo di sviluppo, si correrebbe il rischio di trascorrerla nella depressione e/o nella disperazione, sentendosi finiti, dimenticati, insignificanti, incompresi e alla fine inutili.
Gli interventi educativi rivolti agli anziani – che siano attuati in centri ricreativi, case albergo, residenze protette ( R.S.A.), oppure in famiglia – devono porre l’enfasi sulla “creatività”, per esprimere e realizzare al meglio le potenzialità. Tra le finalità:
- agevolare i processi di comunicazione e socializzazione , favorendo l’assunzione di un ruolo:
- sollecitare nuovi interessi e impegni per superare il tempo vuoto;
- adattare le attività quotidiane ai nuovi ritmi personali;
- attuare interventi di neurobica finalizzata a mantenere agile l’attività cerebrale e a preservare le capacità mnemoniche per tenere viva l’attenzione e sviluppare curiosità attivando le energie psicofisiche;
- mantenere, per quanto possibile, la propria autosufficienza.
Di rilevanza strategica in ottica intersettoriale sono gli eventi di educazione alla salute, organizzati dalle Aziende Sanitarie Locali, rivolti alla popolazione nella fascia di età tra i 65/75 anni e agli Operatori, Educatori di istituzioni, di associazioni di servizi di cura e socio-educativi e ai caregiver familiari. Si tratta di percorsi educativi /formativi che mirano a promuovere l’acquisizione di conoscenze ed atteggiamenti volti al miglioramento degli stili vita e di valorizzare le capacità psicofisiche e sociali.
Oggi, rispetto al passato, dobbiamo essere più che mai consapevoli che ognuno “invecchia” a suo modo, anche in base al grado e alla qualità di sostegno, di sollecitazioni dell’ambiente. E’ perciò importante un approccio interdisciplinare – nell’ottica pedagogica del life long learning – che a partire dalla trattazione delle dimensioni proprie di questa età (quella fisico-motoria, quella cognitiva e metacognitiva, quella emotivo-affettiva e quella linguistico-comunicativa) sappia garantire dignitosa attenzione all’anziano, riscattandolo, in quella che è una continua occasione di sviluppo e di educazione.
Bibliografia
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