La nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, contenuta nella Legge n. 247 del 31 dicembre 2012, ha inciso nel profondo sullo svolgimento della pratica legale, in particolar modo coi Titoli II e IV, dando avvio a un animato dibattito tra gli studenti di Giurisprudenza e i praticanti, al fine di vedere tutelati i loro diritti.
Ciò che emerge seguendo la discussione è una forte confusione in merito a cosa ha effettivamente comportato la riforma per coloro che intendono intraprendere questo percorso, quali novità sono attualmente già vigenti e quali non ancora.
Proviamo quindi a fare chiarezza sui punti principali della normativa.
1.Durata: l’art. 41, comma 5, ha ridotto la durata del tirocinio a diciotto mesi, a fronte dei due anni precedentemente richiesti. Questa previsione è stata l’unica contenuta nella riforma, come esplicitato nell’art. 48 che detta la disciplina transitoria, ad entrare in vigore immediatamente e ne beneficiano gli studenti che, laureandosi nel semestre primaverile, hanno la possibilità di sostenere l’esame di stato con un anno di anticipo.
2.Semestre anticipato: sempre l’art. 41 permette di anticipare i primi sei mesi di tirocinio durate l’ultimo anno del corso di laurea in Giurisprudenza, a condizione di essere in regola con la carriera accademica ed aver dato un certo numero di crediti nelle materie più importanti del corso di laurea (diritto civile, diritto processuale civile, diritto penale, diritto processuale penale, diritto amministrativo, diritto costituzionale, diritto dell’Unione Europea).
Questa possibilità è però subordinata alla stipulazione di una Convenzione quadro tra il Consiglio Nazionale Forense e la Conferenza Nazionale dei Direttori di Giurisprudenza e Scienze Giuridiche e ad ulteriori convenzioni applicative sottoscritte dalle singole facoltà e dai rispettivi Consigli dell’Ordine. Tale Convenzione è stata sottoscritta solo il 24 febbraio 2017 con la conseguenza che solo a partire dall’anno accademico 2017/2018 – a cinque anni dalla riforma – si potrebbe essere ammessi a svolgere il praticantato prima di aver conseguito il titolo universitario. Il condizionale è d’obbligo stante che, per rendere effettiva questa possibilità, è necessario attendere che ciascun Ordine stipuli le necessarie convenzioni con le università locali; tale autonomia sta creando disuguaglianze tra gli studenti dei diversi atenei, poiché ad alcuni è già consentito anticipare la pratica. Tale opportunità al momento, è garantita, tra le altre, dall’Università degli Studi di Milano e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
3.Svolgimento della pratica legale: il comma 6 del summenzionato articolo stabilisce che il tirocinio forense dovrà essere svolto presso un avvocato iscritto all’albo da almeno 5 anni o presso l’Avvocatura dello Stato.
Ai praticanti è data la possibilità di svolgere la loro formazione presso l’ufficio legale di un ente pubblico o un ufficio giudiziario, per un periodo non superiore ai dodici mesi, e presso un professionista legale in un altro Paese dell’Unione Europea, il cui titolo sia equivalente a quello di avvocato.
Il diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali è inoltre valutato ai fini del compimento del tirocinio per il periodo di un anno.
Qualora il tirocinante decida di approfittare di tali opportunità alternative, almeno sei mesi di formazione legale dovranno comunque essere svolti presso un avvocato iscritto all’Ordine o l’Avvocatura di Stato.
4.Praticanti abilitati al patrocinio: a tale argomento è dedicato il titolo II e il XII comma dell’art. 41 della legge contenente la nuova disciplina dell’ordinamento forense, i quali hanno penalizzato e declassato tale figura. La riforma ha infatti introdotto, in sostituzione del precedente, l’istituto del cosiddetto “patrocinio sostitutivo” con la conseguenza che il praticante non può più avere cause proprie od essere inserito nel mandato difensivo precedentemente infatti, al termine del primo anno di tirocinio, il praticante poteva continuare la pratica al di fuori dello studio dell’avvocato trattando, entro determinati limiti di valore e competenza, un certo numero di procedimenti in proprio quale difensore di fiducia.
Ad oggi invece il praticante, trascorsi sei mesi dall’iscrizione nel registro può presentare domanda per ottenere l’abilitazione al patrocinio e, una volta assunto l’impegno solenne davanti al Consiglio dell’Ordine, esercitare attività professionale in sostituzione dell’avvocato presso il quale svolge la pratica e, comunque, sotto il controllo e la responsabilità dello stesso anche se si tratta di affari non trattati direttamente dal medesimo. Tale capacità è limitata alle cause civili istaurate innanzi al Tribunale e al Giudice di Pace e in ambito penale nei procedimenti di competenza del Giudice di Pace, in quelli per reati contravvenzionali e in quelli che, in base alle norme vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 51 del 19 febbraio, rientravano nella competenza del pretore. È stata eliminata la limitazione relativa al valore delle cause, mentre a livello territoriale l’attività è circoscritta all’ambito del distretto di appartenenza e l’abilitazione dura al massimo cinque anni dalla delibera di iscrizione nell’apposito registro.
Da una parte è stato quindi anticipato il momento in cui è possibile richiedere l’abilitazione da dodici a sei mesi dall’inizio del praticantato, ma dall’altro è stata ridotta la durata sua da sei a cinque anni.
Tra le modifiche apportate al tirocinio forense questa è evidentemente una delle più negative per chi si avvicina a tale professione: non poter patrocinare cause proprie significa essere penalizzati sul piano della formazione effettiva, che traeva giovamento dalla possibilità di gestire in maniera autonoma cause di valore e difficoltà limitati, e viene rimandata di parecchi anni l’effettiva entrata nel mondo del lavoro, con conseguenze negative anche da dal punto di vista dell’autonomia economica. Il praticante diventa un mero sostituto del dominus, aggravando quella posizione di dipendenza e subordinazione che, almeno formalmente, era negli intenti del legislatore eliminare.
5.Accesso alla professione forense: l’art. 46 ha rinnovato le modalità dell’esame di stato per l’abilitazione alla professione; l’entrata in vigore di tale previsione è stata rinviata, con l’approvazione nelle settimane scorse del Decreto cd. “Milleproroghe” all’esame del 2018, per cui ancora in concreto non si conosco le conseguenze per chi si troverà a sostenerlo.
Le novità introdotte sono:
- l’inserimento dell’obbligo di utilizzo per le prove scritte dei soli testi di legge privi di commenti e citazioni giurisprudenziali;
- la riduzione del tempo effettivo a disposizione per la prova scritta, da sette a sei ore;
- l’aumento delle materie da preparare per l’orale, da cinque a sette.
Tali modifiche sono state oggetto di critica, in particolare in relazione all’utilità del togliere i codici commentati: all’avvocato, nello svolgere il suo lavoro non è infatti richiesto di conoscere a memoria orientamenti dottrinali e giurisprudenziali di ogni materia ma, al contrario, è chiamato a svolgere una ricerca approfondita tra leggi, dottrina e giurisprudenza al fine di formulare una posizione coerente nell’interesse del proprio cliente. È il ragionamento e non la memoria la capacità che si deve valutare nell’abilitazione. E allora quale è il significato di tale previsione?
Formalmente lo scopo è proprio quello di favorire una maggiore preparazione e uno sviluppo della capacità di ragionamento dei candidati, a fronte di un lavoro di copia e incolla a cui negli anni passati aveva condotto l’abuso dei codici commentati.
Per raggiungere questo obbiettivo, ed evitare che la norma non si traduca in un’ulteriore ostacolo all’accesso alla professione, è però necessario introdurre anche un differente sistema di formulazione delle tracce e di valutazione degli elaborati finali basato maggiormente sul contenuto dei codici piuttosto che sulla ricerca di sentenze.
Allo stato attuale mancano però indicazioni precise al riguardo, rendendo necessario un intervento del legislatore per dare risposte certe ai giovani aspiranti avvocati chiamati a sostenere l’esame il prossimo anno.
6.Corsi di formazione: altra novità è introdotta dall’art. 43, il quale statuisce la frequenza obbligatoria e con profitto, per un periodo pari a quello della pratica, di corsi di formazione tenuti da Ordini e associazioni forensi.
Dovrà essere il Ministro della Giustizia, sentito il Consiglio Nazionale Forense, a disciplinare con regolamento le modalità di tali corsi.
Il necessario parere del C.N.F. si è dimostrato fortemente favorevole alla loro istituzione: essi dovranno garantire l’insegnamento di un elenco di materie ivi indicato, conoscenze di deontologia e di redazione degli atti, la loro durata non dovrà essere inferiore a centosessanta ore distribuire nei diciotto mesi, mentre l’iscrizione sarà aperta almeno ogni sei mesi al fine di garantire la maggiore vicinanza possibile con l’iscrizione al registro dei praticanti.
I soggetti abilitati ad organizzare i corsi (C.N.F., Scuola superiore dell’Avvocatura, Consigli dell’Ordine, associazioni forensi e altri) potranno prevedere la corresponsione di una quota di iscrizione e l’accesso ai corsi dovrà basata su criteri di merito.
Al termine dei primi due semestri sono previste delle verifiche, mentre al termine del periodo (aggiungerei una virgola) e previo superamento delle verifiche intermedie, i partecipanti al corso dovranno sostenere una prova finale che simulerà l’esame di stato.
Benché nelle osservazioni generali il Consiglio statuisca il dovere dei molteplici soggetti legittimati ad organizzare i corsi ad uniformare ed armonizzare il contenuto degli stessi, nella realtà si sta sviluppando la tendenza opposta.
Posto che il Regolamento del Ministero della Giustizia ad ora manca, alcuni Ordini hanno già provveduto ad organizzare tali corsi, in particolare gli Ordini di Capua Vetere, Trani, Perugia e Velletri:
L’esistenza di differenti percorsi pregiudica l’omogeneità e crea disuguaglianze tra i praticanti appartenenti ai diversi ordini nell’accesso alla professione, alcuni dei quali saranno costretti a ritardare l’ammissione all’esame di stato, sostenere costi e superare prove non richieste rispetto ai colleghi “più fortunati”.
7.Indennità e retribuzione: ultimo aspetto da trattare, e ulteriore occasione persa per tutelare il praticante, è stata l’omissione dell’introduzione di un vero e proprio obbligo di retribuzione in favore dello stesso. L’undicesimo comma dell’art. 41 descrive come “dovuto” il rimborso spese e, trascorso il primo semestre, “possibile” il riconoscimento di un compenso per l’attività svolta per lo studio e l’utilità effettivamente portata. Non un obbligo quindi ma una mera facoltà. Inoltre nessuna sanzione al dominus che si rifiuta di corrispondere indennità o un compenso quando sarebbe dovuto, lasciando l’unica e debole conseguenza l’eventuale avvertimento stabilito dall’art. 26 del Codice Deontologico.
Sembra il colmo che, in una professione chiamata a tutelare i diritti altrui, manchi un adeguato sistema di garanzia nei confronti di chi si avvicina ad essa.
Al termine di questo breve excursus, meritano una menzione le reazioni che la riforma in oggetto ha scatenato tra gli studenti di Giurisprudenza e i giovani praticanti, i quali, uniti in un comitato nazionale, si sono resi promotori di una petizione volta ad abolire gli aspetti penalizzanti della riforma e di numerosi interventi e incontri per diffondere la conoscenza delle conseguenze della stessa tra le giovani leve e tra le istituzioni, ben consapevoli del malcontento dilagante, e a proporre valide proposte alternative capaci di premiare il merito e garantire un nuovo sviluppo della professione.
È infatti ormai risaputo che l’avvocatura sta vivendo un periodo di crisi e non rappresenta più quella professione prestigiosa e allettante che era nel passato, ma è anche vero che esistono ancora molti giovani che intraprendono questo percorso, nonostante le difficoltà, spinti dalla passione e da un puro senso di giustizia.
Purtroppo gli interventi normativi degli ultimi anni, tra i quali la riforma forense del 2012, sembrano scoraggiare e rendere sempre più complessa l’entrata nella professione, a garanzia di chi invece già la esercita.
Agendo in questo modo però non si penalizzano solo i praticanti ma tutta l’Avvocatura e, in definitiva, tutti i cittadini perché se i soggetti che si occupano di garantire i diritti restano privi di tutela, anche il risultato finale del loro lavoro risulterà compromesso.
Gaia Nova
Normativa di riferimento
Legge n. 247/2012. Diponibile in rete all’indirizzo: http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2012-12-31;247
Decreto attuativo della riforma forense n. 48/2016. Disponibile in rete all’indirizzo: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/04/07/16G00057/sg%20
Decreto del Ministero della Giustizia n. 70/2016. Disponibile in rete all’indirizzo: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/05/19/16G00081/sg%20
Sitografia
Parere CNF del 18.03.2016: http://www.giurdanella.it/wp-content/uploads/2016/04/parere-cnf.pdf
Altalex.it. Esame di avvocato: Cnf dà l’ok sui corsi obbligatori a numero chiuso: http://www.altalex.com/documents/news/2016/04/06/esame-di-avvocato-parere-positivo-del-cnf-sui-corsi-obbligatori-e-a-numero-chiuso
Studiocataldi.it. Esame avvocati: riforma rinviata al 2017. Restano i codici commentati. Di Crisafi, Marina, 21 febbraio 2015: http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_17670.asp