Lo scorso 27 giugno, dopo oltre 10 anni di indagini, la Commissione europea ha comminato nei confronti di Google la sanzione (più aspra di sempre) di € 2,4 miliardi per abuso di posizione dominante nel mercato dei servizi di acquisti comparativi. Il gigante della digital economy avrebbe sfruttato l’acclarata posizione dominante nel mercato dei motori di ricerca allo scopo di acquisire, altresì, una posizione di dominanza nel mercato a valle dei servizi di acquisti comparativi attraverso il servizio Google Shopping, violando l’art. 102 del TFUE.
Google Shopping è uno dei servizi meno conosciuti del gruppo Google. Esso consente ai consumatori di raffrontare i prodotti e i prezzi online di qualsiasi prodotto e individuare offerte proposte da rivenditori di tutti i tipi. Il guadagno di Google è incentrato sui click degli utenti sui singoli prodotti visualizzati, secondo il metodo “cost-per-click” – i.e. ad ogni click Google guadagna una piccola percentuale sul prezzo del prodotto.
Tra le tante criticità sollevate in merito alla decisione in parola, merita un breve commento la ricostruzione della fattispecie abusiva ravvisata dalla Commissione.
In primo luogo, la Commissione ha determinato la posizione dominante di Google – primo step della valutazione bifasica nei casi di abuso di posizione dominante – nel mercato della ricerca online facendo riferimento alla sua cospicua quota di mercato. Secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, un’impresa detiene una posizione dominante sul mercato quando “…ha la possibilità di tenere comportamenti indipendenti nei confronti dei suoi concorrenti, dei suoi clienti e dei consumatori…” (causa 85/76, Hoffman-La Roche). Secondo gli Orientamenti della Commissione sull’applicazione dell’art. 102 TFUE del 2008, detto status si considera raggiunto, in special modo, quando l’impresa detiene una quota di mercato pari ad almeno il 40%. Google, detenendo quote di mercato superiori al 90% nell’UE, viene definita persino “impresa ultra-dominante”.
Passando al secondo step, secondo la Commissione l’abuso si sarebbe invece estrinsecato nella sistematica attribuzione, mediante l’impropria calibrazione degli algoritmi di ricerca, di una posizione preminente a Google Shopping nei risultati di ricerca, nonché nella retrocessione nelle pagine successive dei servizi concorrenti. Invero, il mercato dei servizi di acquisto comparativi risulta essere intrinsecamente correlato al mercato della ricerca online. I predetti servizi si basano, infatti, in ampia misura sul traffico: più è intenso, più saranno i rivenditori interessati a proporre i loro prodotti, più saranno le pagine cliccate, più gli utili aumenteranno.
Ora la domanda sorge spontanea: perché Google non dovrebbe favorire i propri servizi sul proprio motore di ricerca?
Innanzitutto, in linea generale, occorre partire dall’assunto ribadito in pressoché ogni decisione/sentenza relativa ad abusi di posizione dominante, ossia che la posizione dominante genera una “speciale responsabilità” dell’impresa per il corretto funzionamento del mercato (causa 322/81, Michelin). Ogni impresa in posizione dominante, pertanto, deve desistere dall’adottare “mezzi diversi da quelli su cui si impernia la concorrenza normale tra prodotti o servizi” (causa 85/76, Hoffman-La Roche).
Siffatti “mezzi diversi” equivalgono alle diverse fattispecie di illecito concorrenziale sviluppate prima ancora che dal Legislatore europeo, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE. Nel caso di specie, il dato normativo dell’art. 102 del TFUE risulta essere comunque utile per rispondere alla nostra domanda. Oltre a proibire, al par. 1, “lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno”, esso prevede, al par. 2, in maniera del tutto generale e non esaustiva, quattro ipotesi di abuso: l’imposizione di prezzi iniqui, la limitazione della produzione, l’adozione di pratiche discriminatorie, la subordinazione della conclusione dei contratti all’accettazione di prestazioni supplementari (c.d. pratiche leganti).
Il caso in esame pare ricadere nell’ambito delle pratiche discriminatorie, se non altro a fronte di quanto affermato dalla Commissione nel suo comunicato stampa: “Google deve rispettare il semplice principio della parità di trattamento tra i servizi di acquisti comparativi concorrenti e il proprio”. Da ciò deriverebbe che l’impresa in posizione dominante ha l’obbligo di non trattare in maniera discriminatoria le imprese concorrenti sul mercato.
Tuttavia residuano elementi di dubbio. In primo luogo, poiché le pratiche discriminatorie ravvisate ad ora dalla Corte di Giustizia hanno avuto ad oggetto (quasi) solamente c.d. “discriminazioni di prezzo”, ossia condotte mediante cui l’impresa dominante applica prezzi differenti per lo stesso prodotto a diversi clienti, il che pare trascendere il caso in esame. Per giunta, dette pratiche producono effetti anticoncorrenziali solo al verificarsi di determinati presupposti.
Oltre al difficile inquadramento della pratica abusiva, la Commissione, in secondo luogo, non pare aver attribuito il giusto peso al valore innovativo del servizio. Rispetto agli altri servizi del medesimo genere, Google Shopping è spiccatamente user-friendly. I risultati di ricerca mostrano immediatamente immagini del prodotto, i vari prezzi nonché il loro rating, soddisfacendo così le esigenze del consumatore. Se a questo punto di considera che uno dei principi guida del diritto della concorrenza nell’UE è il benessere del consumatore e che, conseguentemente, le pratiche anticoncorrenziali in quanto tali producono, direttamente o indirettamente, un danno ai consumatori, gli elementi di dubbio si fanno ancor più forti.
Alla luce di quanto detto, ed in attesa della pubblicazione del testo integrale della decisione della Commissione, è possibile concludere che la fattispecie abusiva delineata da quest’ultima appare piuttosto singolare. Occorre comunque tenere a mente che oltre al benessere del consumatore il diritto della concorrenza deve anche preservare un grado di concorrenza efficiente nel mercato, e che nel caso in commento i competitor di Google Shopping hanno certamente subito una limitazione artefatta delle loro opportunità commerciali.
Sicuramente vi saranno ulteriori sviluppi nella vicenda. Google, come si poteva d’altronde presagire, ha già dichiarato di voler appellare la decisione della Commissione. Non resta che sedersi comodi e aspettare. To be continued…
Toni Pitesa
Normativa di riferimento
Art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, da ultimo modificato dall’articolo 2 del trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, su G.U. n. 185 dell’8-8-2008.
Comunicazione della Commissione, Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’articolo 82 del trattato CE al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti (COM/2008/0832): http://eur-lex.europa.eu/legal-content/it/TXT/?uri=CELEX%3A52008DC0832
Commissione europea – Comunicato stampa, Bruxelles, 27 giugno 2017, Antitrust: multa di 2,42 miliardi di EUR a Google per il vantaggio illegale conferito al proprio servizio di acquisti comparativi: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-1784_it.htm
Giurisprudenza di riferimento
Corte di Giustizia UE, causa 85/76, 13/02/1979, Hoffma-La Roche & Co. AG c. Commissione.
Corte di Giustizia UE, causa 322/81, 9/11/1983, Nv Nederlandsche Banden-Industrie Michelin c. Repubblica Francese.
Bibliografia
Cortese B., Ferraro F., Manzini P. (2014). Il Diritto Antitrust dell’Unione Europea, G. Giappichelli Editore
Sitografia
Google Blog. The European Commission decision on online shopping: the other side of the story. Di Kent Walker, 27 giugno 2017: https://www.blog.google/topics/google-europe/european-commission-decision-shopping-google-story/
The Hill. Google Shopping — How the EU’s market competition policy is on the wrong track. Di David Balto, 7 gennaio 2017: http://thehill.com/blogs/pundits-blog/international/340300-google-shopping-how-the-eus-market-competition-policy-is-on