Parlaci di te, di cosa ti occupi e quali sono tuoi interessi.
Ovviamente sono non vedente e sto per laurearmi in informatica. Mi piace stare all’aria aperta e con gli amici, amo fare lunghe passeggiate sia in mezzo alla natura che per negozi, specie se di elettronica. Una delle mie attività preferite è il tandem, ma un’altra cosa di cui sicuramente non posso fare a meno è il nuoto. Sono anche amante della musica, specialmente quella italiana, e spesso canto sia quando sono in giro che quando faccio le faccende domestiche. E aggiungerei anche che, per far fruttare un po’ anche i miei studi, e anche un po’ per divertimento, mi sto dedicando a un blog in cui cerco di spiegare chi è la persona non vedente, sperando anche di far cadere qualche pregiudizio. Il blog si chiama BlindWorld, il sito che apre una finestra sul mondo dei non vedenti.
In base alle tue esperienze interpersonali, come si relazionano le persone vedenti verso i non vedenti, e quali pensi siano le loro credenze che si riflettono poi sulle modalità di approccio?
Questa è una domanda a cui ho cercato di rispondere già nel mio articolo “La comunicazione con i non vedenti”. Diciamo che dall’altra parte c’è una forte insicurezza, che è chiaramente percepibile da parte nostra. Di solito quando la gente mi vede per la prima volta fa molta fatica a relazionarsi con me. Non parla, non chiede, non si esprime. Se sono in un gruppo di amici in comune chiacchiera esclusivamente con gli altri, se ci incontriamo per un rapporto più professionale o mi fa scena muta o si parla del minimo indispensabile. Io, da parte mia, cerco di mostrarmi la persona più normale e tranquilla del mondo, anche per tentare di mettere l’altro a suo agio e fargli capire che con me si può conversare pacatamente come con chiunque altro. Comunque credo che tutta questa paura sia dovuta al fatto che la gente non essendo quotidianamente (e meno male direi anche) a contatto con non vedenti e persone disabili in generale, nel momento in cui si trova qualcosa di diverso davanti non sa più dove sbattere la testa. Ecco, quello che un po’ mi amareggia in queste situazioni è che troppo spesso la gente si dimentica che anche i disabili sono, prima di ogni altra cosa, delle persone. Prima bisognerebbe partire da qui e poi, solo poi, arriva tutto il resto.
Quali suggerimenti puoi dare a chi mostra di avere quelle difficoltà a relazionarsi che tu stessa, nella tua esperienza quotidiana, riscontri?
Di comportarsi come si comporterebbe con una qualsiasi altra persona. Se proprio non ha la più pallida idea di cosa fare in una determinata situazione di chiedere. Io dico sempre che chiedere è lecito e rispondere è cortesia. A noi fa molto piacere quando la gente ci chiede le cose, perché significa che le interessa il metterci il più possibile a nostro agio. Ovviamente la cosa deve essere anche reciproca.
E ovviamente di rispettare i nostri tempi (penso a una persona che fa fatica a camminare o a parlare) e le nostre strumentazioni. Per esempio, se il mio bastone bianco ha la funzione di farmi percepire gli ostacoli a livello del suolo, nel momento in cui mi si accompagna non mi si deve prendere per il bastone, magari alzandolo anche dal terreno.
Qual è la tua idea di disabilità e le condizioni che vivono, nello specifico, le persone con disabilità visiva?
Come ho già detto la disabilità è una condizione di vita. Se una persona è intollerante al lattosio non mangia latticini che lo contengono ma mangerà quelli che non ce l’hanno, se sono non vedente invece di guardare un film fisicamente con la vista lo guarderò con le orecchie, con la musica, con i dialoghi e le emozioni che mi suscita. Al giorno d’oggi, fortunatamente, la tecnologia ci dà tantissimi supporti. Possiamo fare la spesa e acquisti in generale online, possiamo leggere le ultime notizie grazie all’accessibilità di siti online e smartphone, abbiamo tantissimi strumenti e supporti che ci possono far vivere autonomamente dentro e fuori casa.
Quindi direi che a livello personale viviamo tranquillissimamente; certo, poi serve esperienza per imparare, come in tutte le cose. Non viviamo altrettanto bene quando usciamo di casa. Una notizia che è finita recentemente sul giornale recitava una cosa del tipo “Arrestato falso cieco a Palermo. Prendeva l’autobus, correva sulle scale e prendeva il caffè al bar”.
Devo dire che io per frequentare l’università ho sempre preso il treno, al bar ci vado praticamente un giorno sì e l’altro pure, sulle scale che conosco anche io corro. Ma scatto anche fotografie, disegno sui quaderni dei miei amici e scanso la gente prima che mi venga addosso.
Ma non per questo sono falso cieco. Ecco, queste riflessioni, scusatemi il termine, idiote, proprio non le sopporto. E ancora di meno perché una notizia del genere poi influenza, e non di poco, l’opinione pubblica. E allora se un non vedente va nel giardino per potare le piante o si arrampica su un albero è un falso cieco. Perché la gente pensa o legge che certe cose al buio non si possano fare, e quindi, dal momento che qualcuno le fa, allora è un mentitore e un impostore.
Ritieni la tecnologia una risorsa che possa aiutare ad incrementare le tue potenzialità e le tue possibilità di azione?
Assolutamente sì. Nel mio blog ho dedicato più di un articolo a questo argomento. La tecnologia ci permette di fare la maggior parte delle nostre attività. Grazie ad essa possiamo lavorare con il computer e – sottolineo – avere anche dei profili sui social network; utilizziamo gli smartphone, quelli touch che usano tutti al giorno d’oggi, ci vestiamo da soli abbinando i colori giusti. Ma al di là della tecnologia, anche gli strumenti più semplici e meno sofisticati ci aiutano tantissimo. Il bastone bianco, a cui ho dedicato proprio un articolo, è secondo me un amico inseparabile quando mi muovo. Grazie a lui me ne posso andare in giro autonomamente, anche sui lunghi tratti.
Quali consigli e rassicurazioni daresti a tutti quelli che vivono la stessa condizione per potenziare al meglio le proprie risorse?
Di provarci, sempre. Specialmente quando la gente ti dice “No, non ce la farai, non ce la puoi fare, è troppo difficile per te”. Allora lì deve scattare qualcosa che ti fa dire “Frena frena, tu lo stai dicendo, ma io ci provo lo stesso, e molto probabilmente avrò anche il piacere di farti ricredere”. La gente può dire tutto ciò che vuole, ma la realtà è sempre un’altra. E secondo me sta proprio qui il punto, perché dal momento che le persone credono in una cosa e tu dimostri loro l’esatto opposto, allora cominciano a vederti sotto una luce diversa. Spesso i limiti esistono solo nella nostra testa, siamo noi che li costruiamo, ma in realtà non ci sono. A me piace vedere i limiti – che siano miei o degli altri non mi importa, – come i birilli del bowling. Ho 2, 4 , 10, 20 birilli da buttare giù? Non importa quanti siano, io ho le bocce a mia disposizione e comincio a tirare. Non importa se non faccio strike, però, intanto alcuni li ho buttati giù. Ho un’altra boccia a disposizione, e quindi un altro tiro da fare. E questo finché non rimarrà più in piedi nemmeno un birillo.
E quali consigli a coloro che vivono tale condizione in qualità di genitore del non vedente, per supportare e aiutare concretamene il proprio figlio?
L’errore che secondo me fanno molto spesso i genitori quando si trovano davanti a una disabilità in generale è chiudere il proprio figlio in una campana di vetro. Ogni minima cosa, ogni minimo gesto viene preso come un “No, aspetta, lo faccio io per te”. Questo atteggiamento, a parer mio, tarpa le ali all’altra persona, in questo caso quella con disabilità, con conseguenze, non esagero, anche a livello intellettivo. Quando ci si ritrova a dover fare le azioni quotidiane in condizioni diverse dal solito il cervello trova, a poco a poco, altre strategie. Vengono stimolate anche altre aree dell’encefalo che di solito non vengono utilizzate. Per questo consiglio a ogni genitore che si trovasse in una situazione del genere di non abbattersi e di non aiutare il figlio in tutto e per tutto, ma, anzi, di stimolarlo, in un certo senso, di rifiutarsi di dargli aiuto. Poi ovvio, la cosa deve essere graduale. Ricordo che per me anche un’azione banalissima, come poteva essere versarmi l’acqua nel bicchiere, era un’impresa. Ho cominciato… le prime volte la facevo cadere più fuori che dentro, poi sono riuscita a riempire mezzo bicchiere, ora non faccio cadere nemmeno una goccia d’acqua, e faccio anche di più. È dalle piccole cose che nascono quelle grandi; dopo tutto persino il mare è fatto da miliardi e miliardi di goccioline d’acqua.
Com’ è stata la tua esperienza scolastica e come dovrebbe essere la didattica ideale che dovrebbe attuarsi nelle scuole?
Va be’, io, già dalle scuole medie, ho subito, oserei dire, direttamente la crisi che ha colpito l’istruzione negli anni precedenti. Mi hanno drasticamente ridotto le ore del sostegno e del tiflologo perché per me non ce n’era bisogno. Non è che non ne avevo bisogno, era che non avevo bisogno di gente ignorante in materia. Mi spiego: il mio unico problema, al liceo, è stato quello di faticare a seguire le lezioni di matematica e fisica, ma per via dei grafici con i quali si doveva lavorare. E avere accanto un insegnante di sostegno che di materie scientifiche non sa niente, capisci che è abbastanza inutile. Be’, la didattica ideale, per come vedo e ho vissuto io la scuola, è lontana anni luce dalla nostra realtà. In primis bisognerebbe rendere il bambino/ragazzo disabile parte integrante della classe, invece spesso si tende ad isolarlo. E allora qui partono le critiche dei compagni perché lui è favorito, perché ha l’insegnante personale ecc. ecc. Bisognerebbe invece sia mantenere il ragazzo in classe e fargli seguire le lezioni insieme ai suoi compagni e fargli fare i lavori di gruppo insieme a tutti gli altri, che far comprendere agli altri che la disabilità non è un vantaggio. Poi certo, mi rendo conto pure io che la preadolescenza è un’età difficilissima, ma se non c’è un certo impegno da parte degli insegnanti allora diventa tutto molto più difficile di quanto non lo sia già. E poi ciò che ho già accennato: l’insegnante di sostegno dovrebbe essere specializzato nel campo. Se io frequento un liceo scientifico non posso avere un docente che non sa nulla di matematica e fisica; viceversa, se frequento un liceo classico me ne faccio poco del docente che mi fa i calcoli a mente ma poi non sa nulla della Divina commedia. Anche da parte di molti insegnanti di sostegno non c’è la volontà di impegnarsi: se fino ad oggi ho assistito un ragazzo in carrozzina che aveva solo problemi di mobilità, al massimo gli passavo io il materiale che gli serviva, ora che sto con un non vedente non posso non sapere che cos’è una Barra Braille, una dattilo Braille, un piano di gomma.
Quanto ti hanno aiutato le persone a te vicine? Riescono a sostenerti nella continua sfida a superare i tuoi limiti?
Diciamo che all’inizio ho avuto io l’iniziativa di cominciare a dire ci provo. Poi hanno visto che ce la facevo e piano piano mi hanno aiutato ad andare avanti. Poi frequentare la scuola con persone diverse, e vivere tutte le esperienze dello studiare insieme, dell’uscite in gruppo dentro e fuori dell’ambiente scolastico è stato un processo di grande crescita e maturazione. Oggi la mia famiglia significa tanto per me, anche se di solito quando mi ficco in testa una cosa spesso non è d’accordo e ripiega sempre su soluzioni più semplici. Ma io sono una persona molto rompiballe, però quando perseguo i miei obiettivi regalo tantissime soddisfazioni anche a loro.