Nel momento in cui si parla di “streghe” l’immaginario collettivo occidentale del XXI secolo non è più così uniforme. Certo, è possibile che la prima immagine che venga alla mente sia la donna dal naso arcuato, il cappello a punta e il grande calderone, ma la narrativa, il cinema e la televisione hanno permesso di ampliare le rappresentazioni che associamo a questo termine. Ad esempio, grazie alla famosa saga per ragazzi Harry Potter, dell’autrice J. K. Rowling, la magia e la stregoneria (e tutto il temibile immaginario diabolico correlato ad esse) non risultano più inscritte esclusivamente in quella sfera legata alla religione e, in particolare, al demonio. È però abbastanza evidente che, in molti contesti, il termine continui a riferirsi, in senso solitamente dispregiativo, alla figura femminile (si pensi a quante volte viene utilizzato per descrivere donne considerate poco attraenti o dalla scarsa simpatia).
Possiamo quindi individuare una correlazione, con radici storiche, tra stregoneria, caccia alle streghe e misoginia?
Prima di tutto, è opportuno sottolineare che la stregoneria non è né un fenomeno esclusivamente europeo-occidentale, né strettamente appartenente al passato (per approfondire l’esempio africano leggi qui). I diversi tipi di stregoneria sono stati oggetto di uno studio molto fecondo sia da parte di storici che di antropologi, i quali, però, sembrano aver affrontato l’argomento con punti di vista molto differenti, almeno fino alla metà del secolo scorso. Le stregonerie non europee (come, ad esempio, quella africana e melanesiana) erano viste in maniera distaccata, sembravano quasi innocue e «addomesticate» [Douglas, 1980:3], poiché, dato che possedevano funzioni all’interno della società, non avrebbero causato conflitti esplosivi, a differenza della diabolica stregoneria europea, che gli storici erano invece propensi a vedere «come parte di un processo di tipo cumulativo che giunge fino a un punto culminante spesso violento e tragico» [ibidem].
La differenza di fondo, però, non era tanto nei processi sociali, ma nel punto di vista di chi osservava, tanto che, nei decenni a venire, lo studio storico del fenomeno ha subito una sorta di “rivoluzione” (paradigm shift) nel momento in cui gli storici hanno iniziato ad applicare le metodologie dell’antropologia e della sociologia alle loro ricerche, affidandosi a nuove fonti d’archivio e creando così una storia della stregoneria “dal basso” [cfr. Bever, 2002].
Questo nuovo metodo di guardare alla storia della stregoneria ha influenzato, modificato e ampliato anche la concezione, sviluppatasi grazie a studi del secolo scorso, che individua nella “caccia alle streghe” una sottointesa “caccia alle donne”.
Grazie alle fonti di cui disponiamo, è possibile osservare come la maggior parte degli individui processati per stregoneria fra il 1450 e il 1750 fossero donne.
Nonostante ci siano state delle differenze su base geografica, le donne furono all’incirca l’80% delle persone indagate e processate e l’85% di quelle giustiziate [cfr. Barstow, 1988; cfr. Levack, 2001]. Di conseguenza, l’aspetto “di genere” è stata una prospettiva allettante per gli studiosi che si sono avvicinati all’argomento. Per via di testi come il Malleus Maleficarum1 , che attribuivano alle donne una malvagità innata e una maggiore debolezza dal punto di vista carnale (elementi che le rendevano più propense ad atti stregoneschi), alcuni storici hanno individuato nella misoginia dei giudici la causa di una percentuale così elevata: la misoginia ecclesiastica risultava così essere l’unico vero motivo della persecuzione contro le donne in quanto streghe [cfr. Levack, 2001].
Nel suo saggio del 1988, On Studying Witchcraft as Women’s History, Anne Llewellyn Barstow teorizza infatti che il movimento anti-stregoneria fu in realtà un movimento contro le donne in quanto “gruppo” e che fu un attacco rivolto, sia dalla Chiesa Cattolica, sia da quella Protestante, alla sessualità, in particolare quella femminile, vista attraverso un’ottica prettamente patriarcale, secondo la quale la donna doveva rivestire un ruolo di potere marginale all’interno della famiglia e della società. L’autrice giustifica quel 20% di uomini fra gli accusati, ipotizzando che furono principalmente complici, familiari e collaboratori delle donne che erano state accusate in precedenza.
Tuttavia, il nuovo approccio metodologico, applicato dalla seconda metà del XIX agli studi storici sulla stregoneria, ha mostrato come, solitamente, le accuse venissero “dal basso”, ovvero da compaesani [cfr. Levack, 2001] e, spesso, da donne [cfr. Holmes, 1993]. Qual è allora la spiegazione? Secondo alcuni tra i primi storici sociali l’aumento di donne nubili2 e vedove, il più delle volte povere ed emarginate, e completamente dipendenti dall’aiuto della comunità, era una minaccia per la società; in quest’ottica, le accuse di stregoneria erano necessarie per “purificare” l’assetto sociale e riportarlo allo status quo [cfr. Clark, 1995; cfr. Bever, 2002]. La teoria, però, non sembra reggere a fondo, alla luce del fatto che tra gli accusati vi furono spesso anche donne benestanti [cfr. Bever, 2002] e uomini di svariati ceti sociali, soprattutto nella zona alpina, dove la stregoneria era associata a una precedente persecuzione di stampo eretico, più che diabolico e sovrannaturale [cfr. Levack, 2001].
Qual è quindi la “verità”? Fu la caccia alle streghe, in realtà, una caccia alle donne3 ?
Ciò che alcuni studiosi propongono è interpretabile come una via di mezzo: le donne furono le vittime predilette della caccia alle streghe, perché più vulnerabili concettualmente (poiché più propense a essere fuorviate dal demonio) e socialmente (quasi prive di diritti e spesso emarginate dalla società), ma il fulcro della caccia stessa non fu rivolta alle donne in quanto tali, ma alle donne in quanto streghe. In questo senso, la misoginia ha portato all’alto tasso di accuse, processi ed esecuzioni di donne, ma non è stata la forza scatenante che ha messo in moto il processo della caccia in sé [cfr. Clark, 1995; Bever, 2002].
Questa “ossessione” della caccia alle streghe nell’Europa dei secoli XV e XVIII è di certo un fenomeno affascinante e ricco di sfaccettature che gli stessi storici stanno ancora cercando di analizzare, nonostante la prolifica e sempre aggiornata letteratura che questa singolare finestra della storia moderna ha dato modo di produrre. È difficile individuare con certezza quali furono le cause che portarono così tante donne a “morire sul rogo”, ciò che è evidente, però, è il contributo che i processi di stregoneria hanno apportato alla storia delle donne, ma allo stesso tempo l’importanza delle donne, come vittime, testimoni e accusatrici, nello studio dei processi stessi [cfr. Bever, 2002].
1 Uno dei più importanti e famosi trattati antistregoneschi, redatto nel 1487 da due frati domenicani Heinrich Kramer e Jacob Sprenger.
2 È interessante vedere come il Dizionario Online dei Sinonimi e Contrari della Treccani, dia “strega” fra i sinonimi di “zitella”, termine – ad oggi dispregiativo – per indicare una donna nubile.
3 «Was witch-hunting women hunting?» è una citazione di Christina Larner (1984) [cfr. Holmes, 1993].
Bibliografia
Barstow, A. L., “On Studying Witchcraft as Women’s History: A Historiography of the European Witch Persecutions“, in Journal of Feminist Studies in Religion, Vol. 4, No. 2, 1988
Bever, E., “Witchcraft, Female Aggression, and Power in the Early Modern Community”, in Journal of Social History, Vol. 35, 2002
Clark, S., “The “Gendering” of Witchcraft in French Demonology: Misogyny or Polarity?”, in French History, Vol. 5 No. 4, 1995
Douglas, M., Introduzione, in Douglas, M. (a cura di), La stregoneria. Confessioni e accuse, nell’analisi di storici e antropologi, Einaudi, Torino, 1980 [1970]
Holmes, C., “Women: Witnesses and Witches“, in Past & Present, No. 140, 1993
Kramer, H., Sprenger, J., Malleus Maleficarum, Digireads.com Publishing, 2009 [1487]
Levack, B. P., Introduction, in Levack, B. P. (a cura di) New Perspectives on Witchcraft, Magic and Demonology: Volume 4 – Gender and Witchcraft, Routledge, London, 2001