IDAHOBIT: perché è importante parlare di omo-lesbo-bi-transfobia?

Il 17 Maggio si celebra l’International Day Against Homophobia, Lesbophobia, Biphobia and Transphobia (IDAHOBIT), ossia la Giornata Internazionale contro l’omo-lesbo-bi-trans-fobia. In tale giorno del 1990, infatti, l’omosessualità è stata derubricata dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) (Drescher, 2015).

Cos’è l’omofobia?

Il termine omofobia nella sua definizione originale si riferiva al «terrore di trovarsi in spazi chiusi con persone omosessuali» [Weinberg, 1972:4]. Weinberg coniò il termine come risultato dell’acceso dibattito dell’epoca, precedette di un anno la derubricazione dell’omosessualità dal DSM. Introdusse il concetto in modo provocatorio: così come era stata patologizzata l’omosessualità, allo stesso modo era possibile categorizzare l’avversione verso le persone omosessuali.

L’accento fu posto sulla componente fobica, anche se lavori successivi hanno dimostrato come i meccanismi psicologici coinvolti si distinguano da quelli fobici (Herek, 2004): nell’omofobia non c’è consapevolezza che l’avversione sia irrazionale ed eccessiva, e non è attuato l’evitamento delle persone omosessuali, tipico delle fobie (Amodeo et al., 2015). L’omofobia si caratterizza, invece per la presenza di «disagio, svalutazione e avversione, su base psicologico-individuale e/o ideologico-collettiva, nei confronti delle persone omosessuali e dell’omosessualità stessa» [Lingiardi & Nardelli, 2014:109]. Considerarla solo una fobia porta a trascurare sia la dimensione socio-culturale all’origine delle condotte omofobiche, che l’intenzionalità che può sottostarvi (Amodeo et al., 2015).

Nel 1980 Hudson e Rickett proposero un’alternativa parlando di omonegatività:

un concetto multidimensionale di più ampio respiro per sottolineare come la paura o l’imbarazzo possono essere solo alcune tra le componenti dell’omofobia, aprendo a riflessioni sul ruolo del pregiudizio (Hudson & Rickett, 1980). Il termine omonegatività va oltre la sfera emotiva, riconducibile alla fobia, dando spazio a quella cognitiva, che caratterizza gli atteggiamenti negativi attuati contro gli individui omosessuali (Herek, 2004).

L’omofobia/omonegatività è servita da modello per concettualizzare le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Da essa sono derivati termini come bifobia, lesbofobia e transfobia, per indicare disagio, svalutazione e avversione verso, rispettivamente, persone bisessuali, lesbiche e trans* (Herek, 2004). Ogni gruppo sociale subisce dinamiche discriminatorie comuni, ma anche uniche nella loro specificità, per questo parlare solo di omofobia non è esaustivo.  

Perché è importante parlare anche di lesbofobia e bifobia?

Il termine lesbofobia permette di riconoscere la complessità della discriminazione subita delle donne lesbiche, vittime non solo perché lesbiche, ma anche in quanto donne. Ciò porta al tema dell’intersezionalità, ovvero l’intersezione di più identità sociali, e del relativo sistema di oppressione (Crenshaw, 1993). Pertanto parlare di lesbofobia significa parlare di sessismo, oltre che di omofobia. Le due forme di discriminazione, però, non agiscono in modo indipendente, ma sono interconnesse, attraverso un sistema di oppressione in cui ogni identità sociale minoritaria alimenta le possibili discriminazioni (Meyer, 2012). Per questo è importante riconoscerle, attraverso l’uso di un termine ad hoc come lesbofobia, marcando come non solo le loro conseguenze si sommino, ma anche come le discriminazioni si concausino e aggravino a vicenda.

Parallelamente è importante dare luce alla bifobia, spesso dimenticata perché come nel caso delle donne lesbiche le soggettività bisessuali subiscono una specifica forma di discriminazione che può prevedere la cancellazione della categoria, negandone l’esistenza (bifobia o bicancellazione) (Pennasilico &  Amodeo, 2019).

A quanti e quali livelli viene attuata la discriminazione contro le persone LGBT+?

Tre sono le dimensioni principali attraverso cui è attuata la discriminazione contro le persone LGBT+ [Graglia, 2012; Amodeo et al., 2015]:

  • Dimensione personale e intra-individuale: si riferisce alle credenze e alle rappresentazioni soggettive su orientamenti sessuali diversi da quello eterosessuale e sulla varianza di genere, in termini di pregiudizi e stereotipi.
  • Dimensione culturale, sociale ed interpersonale: include pregiudizi, stereotipi e credenze presenti a livello socio-culturale. L’etero-cis-normatività promuove e riconosce alcuni tipi di desideri sessuali, pratiche e identità, in accordo ad alcuni valori sociali egemonici, escludendo tutto ciò che non rientra in tali modelli e/o condannandolo esplicitamente come sbagliato. 
  • Dimensione istituzionale: riguarda, ad esempio, l’assenza di leggi specifiche che tutelino le persone LGBT+ che subiscono atti omo-lesbo-bi-trans-fobici, o che permettano il matrimonio egualitario e l’adozione.

Quali le possibili conseguenze?

Le persone LGBT+ possono avere maggiori probabilità di sviluppare disagio psicologico e dipendenze (Lingiardi & Nardelli, 2014). Tali esperienze e vissuti negativi non derivano dall’orientamento sessuale e/o identità di genere in sé, ma come «(…) conseguenza di ambienti ostili o indifferenti, episodi di stigmatizzazione, casi di violenza» [Lingiardi & Nardelli, 2014: 35]. Il modello del Minority Stress (Meyer, 2003) riassume ed evidenzia i vissuti di stress che le persone appartenenti alle minoranze, come la comunità LGBT+, possono vivere nei vari contesti della vita quotidiana.

Il modello si compone di tre principali dimensioni: 

  1. l’omo-lesbo-bi-trans-fobia interiorizzata: comprende atteggiamenti e vissuti emotivi negativi che le persone possono provare per il proprio orientamento sessuale e/o identità di genere.
  2. lo stigma percepito: si riferisce alle aspettative che le persone hanno di essere discriminate e ostracizzate per la loro appartenenza alla comunità LGBT+.
  3. le esperienze vissute di discriminazione e/o violenza: che possono essere verbali, fisiche, sessuali o psicologiche. La violenza verso le persone LGBT+ può sfociare in hate crime (crimine d’odio), le cui vittime sono spesso persone trans*

In Italia l’atteggiamento discriminatorio nei confronti della popolazione LGBT+ è maggiormente diffuso rispetto alla media europea (Commissione Europea, 2019), da qui l’urgenza di accrescere la consapevolezza sulla tematica attraverso occasioni come l’IDAHOBIT che contribuiscono a depotenziare atteggiamenti, pregiudizi e stereotipi.

Giulia Giardina

Manuela Anna Pinducciu

 

1 È opportuno ricordare che dal 2013 con la pubblicazione del DSM-5 il “Disturbo dell’Identità di Genere” è stato sostituito dalla categoria “Disforia di Genere” e nel 2018 l’“Incongruenza di genere” dell’ICD-11 è stata spostata nella sezione della “salute sessuale” (https://icd.who.int/en).

L’eteronormatività può essere definita come <<Imposizione dell’eterosessualità come norma, in quanto unico orientamento sessuale culturalmente e socialmente legittimato>> (Lingiardi & Nardelli, 2014:105). Allo stesso modo, la cisnormatività assume l’identità cisgender come l’unica ammissibile.

Per hate crime  si intende un reato motivato del tutto o in parte da bias in merito a etnia, religione, disabilità, orientamento sessuale, genere o identità di genere. (https://www.apa.org/advocacy/interpersonal-violence/hate-crimes)

L’Italia è il primo tra i paesi europei per omicidi di persone trans* [TGEU, 2020].

 

Bibliografia

Amodeo, A. L., Scandurra, C., & Valerio, P. (2015). Lesbiche, gay, bisessuali, transgender: Una guida dei termini politicamente corretti. Napoli: Comune di Napoli.

Crenshaw, K. W. (1993). Beyond racism and misogyny: Black feminism and 2 Live Crew. In M. J. Matsuda, C. R. Lawrence III, R. Delgado, & K. W. Crenshaw (Eds.), Words that wound: Critical race theory, assaultive speech, and the first amendment (pp. 111–132). Boulder (CO): Westview.

Drescher, J. (2015). Out of DSM: Depathologizing Homosexuality, Behavioral Sciences, 5(4), 565-575.

Graglia, M. (2012). Omofobia: strumenti di analisi e di intervento. Roma: Carocci Faber.

Herek, G. M. (2004). Beyond “homophobia”: Thinking about sexual prejudice and stigma in the twenty-first century. Sexuality Research & Social Policy, 1(2), 6-24.

Hudson, W. W., & Ricketts, W. A. (1980). A strategy for the measurement of homophobia. Journal of homosexuality, 5(4), 357-372.

Lingiardi, V., & Nardelli, N. (2014). Linee guida per la consulenza psicologica e la psicoterapia con persone lesbiche, gay e bisessuali. Milano: Raffaello Cortina.

Meyer, I. H. (2003). Prejudice, social stress and mental health in lesbian, gay and bisexual populations: Conceptual issues and research evidence, Psychological Bulletin, 239(5), 674-697.

Meyer, D. (2012). An intersectional analysis of lesbian, gay, bisexual, and transgender (LGBT) people’s evaluations of anti-queer violence, Gender & Society, 26(6), 849-873.

Pennasilico, A. & Amodeo, A. L. (2019). The insi-les: Biphobia, Bisexual Erasure and Their Impact on Mental Health. LGBTI+ population and healthcare context, 4(1), 21-28.

Valerio, P., Scandurra, C., & Amodeo, A. (2014). Appunti sul genere. Riflessioni sulle linee-guida di intervento psicologico e dintorni. 1st ed. Napoli: Edizioni Ordine Psicologi della Campania.

Weinberg, G. (1972). Society and the healthy homosexual. New York (NY): St. Martin’s Press.

Sitografia

Transgender Europe, (2020): https://transrespect.org/en/map/trans-murder-monitoring/#

Commissione Europea, (2019): https://ec.europa.eu/commfrontoffice/publicopinionmobile/index.cfm/survey/getsurveydetail/instruments/special/surveyky/2251?CFID=7398997&CFTOKEN=499e2b81a4c5c522-BA588F41-DE75-38AE-F9210C7F702AB5AF

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