«Non vivi più, la paura diventa compagna di viaggio. Temi uno squillo del telefono o un messaggio whatsapp, un SMS, una lettera, un contatto utente sui social». Sono alcune delle parole di chi vive o ha vissuto episodi di stalking. Diventato reato penale in Italia dal 2009, il termine, che viene dall’inglese to stalk (fare la posta), «si riferisce ad una serie di comportamenti persecutori che maturano spesso nel contesto di relazioni interpersonali a sfondo sentimentale» (Ricci, Resico, 2010, p.149).
In che modo, come consulenti pedagogici, possiamo supportare la persona che vive atti persecutori, e quali tutele sono presenti a riguardo?
Vittime e conseguenze
Sebbene le stime dicano che sono principalmente le donne a vivere atti persecutori, e solitamente da ex partner (ISTAT, 2014), il fenomeno è eterogeneo; può essere messo in atto anche da amici, conoscenti, colleghi, talvolta anche sconosciuti, e comprende al suo interno modalità differenti di azioni, tra cui inseguire, spiare, telefonare o inviare e-mail, sms ed altri messaggi indesiderati, spedire fiori o regali non graditi, appostarsi davanti all’abitazione o il luogo di lavoro, danneggiare o distruggere la proprietà altrui ecc. (De Fazio, Sgarbi, 2009).
Oltre al rischio di aggressioni fisiche da parte dello stalker, le vittime di atti persecutori vivono anche delle forti ripercussioni su un piano emotivo, che possono condurre a un persistente stato di ansia, o paura per l’incolumità propria o dei propri familiari, incidendo dunque sulla qualità della vita quotidiana (Luberto, 2005).
Che cosa è possibile fare?
Dal 2009 gli atti persecutori sono stati inseriti come reato nel Codice Penale e, indipendentemente dall’intraprendere o meno le vie legali, è utile conoscere quanto riportato all’interno poiché può fornire delle indicazioni su come tutelarsi nella situazione.
Dall’articolo 612bis leggiamo:
«Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da (1) cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero (2) da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero (3) da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita».
Si può cogliere come, dato che non sono definite nello specifico le azioni da parte dello stalker, se non i termini generali “condotte reiterate, minaccia, o molestia”, sia essenziale da parte di chi vive atti persecutori riuscire a dimostrare che si sia verificata almeno una delle conseguenze previste. In questo senso, può essere importante consigliare alla vittima di:
- tenere un diario dove segnare il cambio di abitudini (ad es. ho cambiato strada per andare a lavoro);
- effettuare una visita medica per avere una certificazione documentata dello stato d’ansia;
- parlarne con amici e familiari sia per rendere nota la situazione, sia per proteggerli/si.
Queste possibili azioni diventano preventive nel momento in cui si decide di intraprendere la strada legale (la querela può essere fatta esclusivamente dalla vittima entro 6 mesi dal fatto), poiché serviranno delle prove che siano considerate concrete e certe (art.192 c.p.p).
Per un consulente pedagogico è importante conoscere queste pratiche così da poter consigliare alla vittima come salvaguardarsi su un piano legale, ma, allo stesso tempo, sapere ciò probabilmente non acquieterà la possibile sensazione di paura o timore. Ecco perché allora è essenziale predisporre come professionisti dell’educazione uno spazio di consulenza in cui la vittima possa esprimersi, parlarne, ed essere supportata (Fenzio, 2019).
Le declinazioni concrete del fenomeno dello stalking sono diverse, ed è per questo che è importante passare «dall’idea di consulenza come attività che fornisce risposte e soluzioni esperte, all’idea di consulenza come processo che stimola e sostiene gli individui a mobilitare e impegnare le loro risorse nel cercare soluzioni e risposte. La consulenza è dunque vista come azione che porta a leggere con uno sguardo nuovo la situazione in cui ci si trova» (Palma, 2017, p.66). Confrontandosi ed in base alle varie situazioni, ci potranno essere scelte differenti, come ad esempio quella di provare a parlare con lo stalker, oppure quella di bloccare del tutto i contatti con la persona così che le risposte non possano essere mal interpretate come un interesse, o – ancora – provare a lavorare sulla gestione emotiva all’interno della quotidianità, incrementando il livello di sicurezza personale e sociale (Ghirardelli, 2011).
Conclusioni
È difficile avere delle soluzioni certe, poiché ogni episodio di stalking risulta particolare e situazionale. Quello che però, come professionisti dell’educazione, è possibile fare in anticipo è quello di conoscere il campo di tutele presenti rispetto a questo fenomeno, per poter dare delle indicazioni su come tutelarsi. Allo stesso tempo è importante creare e fornire uno spazio alla persona per esprimersi e poterne parlare, così che dallo stalk… possa crearsi invece uno spazio di talk.
Bibliografia
De Fazio L., Sgarbi C., Lo stalking: profili vittimologici e strumenti di tutela, in Research Gate, 2014
Fenzio F., Manuale di consulenza pedagogica in ambito familiare, giuridico e scolastico, Roma 2019
Ghirardelli P., Lo stalking. Linee guida per la prevenzione e la tutela, Firenze 2011
Luberto S., Donne vittime di stalking. Riconoscimento e modelli di intervento in ambito europeo, FrancoAngeli Editore, Milano 2005
Palma M., Consulenza pedagogica e clinica della formazione, FrancoAngeli Editore, Milano 2017
Ricci G., Resico D., Pedagogia della devianza: fondamenti, ambiti, interventi, FrancoAngeli Editore, Milano 2010
Sitografia
Articolo 612bis c.p.
https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-iii/sezione-iii/art612bis.html
Articolo 192 c.p.p.
https://www.brocardi.it/codice-di-procedura-penale/libro-terzo/titolo-i/art192.html
Dati ISTAT 2014