Ogni giorno ci ritroviamo a contatto, direttamente o indirettamente, con eventi che ci “obbligano” a confrontarci con termini quali razzismo, discriminazione, disuguaglianza, diversità, conflitti sociali e culturali che inconsciamente ci inducono ad attivare delle difese nei confronti di coloro che secondo certi stereotipi sociali vengono inglobati in determinate categorie di persone. “Le donne non sono portate per la matematica”, “gli adolescenti sono ribelli”, “gli zingari rubano” “i tossicodipendenti sono persone da evitare”, “i siciliani sono gelosi” sono tutti esempi di frasi stereotipate, dal contenuto illogico e inesatto, che generalizzano determinati gruppi sociali.
Gli stereotipi e i pregiudizi costituiscono infatti un modo distorto e parziale di rappresentare il mondo e le persone che lo vivono, in quanto presentano delle immagini così esagerate e generalizzate degli altri, tanto da annullare ogni variabilità individuale. Si potrebbe dire che è più facile spezzare un atomo piuttosto che rompere un pregiudizio, riprendendo le parole di Albert Einstein.
Comportamenti non verbali che nascondono il pregiudizio
Esistono molte situazioni in cui il pregiudizio non è sempre espresso in modo così aperto o evidente. Si pensi per esempio al caso, molto comune, nel quale un italiano, dovendo scegliere dove sedersi sul treno, a parità di posti liberi, tenda automaticamente a mettersi accanto a un altro italiano rispetto a un immigrato. Tra quelli che viaggiano in treno, molti avranno infatti notato che solitamente vi sono più posti liberi vicino a immigrati che non ad italiani (Vezzali e Giovannini, 2012). Questo è proprio un esempio di quei comportamenti non verbali che le persone mettono in atto in maniera automatica, senza cioè esserne consapevoli (pregiudizio implicito o inconscio), (Gawronski e Bodenhausen, 2006).
Di conseguenza, risulta evidente come valutazioni negative, derivanti anche da questi comportamenti non verbali negativi messi in atto da certe persone, portino queste ultime a evitare relazioni con l’outgroup (il gruppo esterno) e a “rinchiudersi” nell’ingroup (il proprio gruppo).
Ipotesi del contatto di Gordon Allport
Ma allora siamo destinati a rimanere nel nostro ingroup o si può ottenere un contatto positivo tra le persone che non generi necessariamente discriminazione?
Uno tra i contributi più autorevoli per la riduzione del pregiudizio, risalente a circa cinquant’anni fa, è l’ipotesi del contatto di Gordon Allport, secondo cui «la semplice interazione tra individui appartenenti a gruppi diversi, nelle condizioni appropriate, riduce il pregiudizio etnico e la tensione fra i gruppi» (Villano, 2003:80). Di conseguenza, se alle persone viene data la possibilità di incontrarsi e di confrontarsi con individui appartenenti all’“outgroup”, esse scopriranno che in fondo molti pregiudizi e stereotipi sono errati (Allport, 1954).
Allport (1954) e in seguito Pettigrew (Pettigrew, 1998), sostenevano inoltre che per ottenere effetti positivi e far sì che il contatto tra gruppi si traducesse in una riduzione dei pregiudizi era importante che fossero soddisfatte quattro condizioni:
- Ruolo dei gruppi uguale all’interno della stessa situazione.
- Obiettivi comuni.
- Cooperazione tra gruppi.
- Il supporto delle autorità e della legge.
Tali condizioni, definite “ottimali,” sono necessarie affinché il contatto riduca il pregiudizio (Allport, 1954) e permetta agli individui di scoprire non solo una somiglianza di molti valori e atteggiamenti, ma anche una maggiore comprensione e simpatia reciproca (Villano, 2003).
Sulla base di questa ipotesi del contatto, alcuni studiosi si sono interrogati sul modo migliore di strutturare il setting di contatto al fine di potenziarne gli effetti sulla riduzione del pregiudizio. In particolare, Brewer e Miller (1984) hanno notato che, dal momento che la categorizzazione in ingroup e outgroup è sufficiente per creare pregiudizio, è opportuno ridurre la salienza categoriale durante il contatto, così che le persone si vedano come individui unici e non come membri di gruppo.
A riguardo, gli studiosi Gaertner e Dovidio (2000) hanno proposto che è opportuno far sì che ingroup e outgroup interagiscano non come membri di gruppi distinti, bensì come facenti capo a un gruppo unico. Ad esempio, gli studenti di una scuola potrebbero vedere italiani e marocchini non come membri di gruppi nazionali diversi, ma semplicemente come studenti di quella scuola. Questi risultati hanno portato molti psicologi sociali a considerare il contatto intergruppi come una delle strategie più valide per affrontare il problema della riduzione del pregiudizio.
La prospettiva Pedagogica
Dal punto di vista educativo, è fondamentale diventare consapevoli di quei pregiudizi o quei rischi a cui quotidianamente andiamo incontro, rischi che ci portano ad avere sempre un giudizio di banalità nella vita di tutti i giorni o una disattenzione nei confronti di chi ci vive vicino. Al riguardo è da considerarsi fondamentale l’introduzione, all’interno di qualsiasi tipo di contesto di apprendimento, sia esso formale, non formale e informale, di una nuova forma mentis e di nuove prospettive per tutti i cittadini, come la capacità di abitare i pluralismi, la disponibilità al confronto, la volontà di incontro e di dialogo.
La promozione e la valorizzazione di questo tipo di forma mentis, permetterà alle persone di imparare a guardarsi oltre “l’appartenenza” ad un determinato gruppo sociale e provare a ri-pensare insieme l’identità e la differenza, che da sempre sono state considerate come delle categorie separate tra di loro, ma che in realtà si sfumano e “si dialettizzano” (Cambi, 2012, p.12). In questo senso, la costruzione di nuove relazioni può avvenire solo se si abbattono gli stereotipi e i pregiudizi sociali, attraverso la creazione di un contatto empatico con l’altro e l’accettazione del fatto che la diversità appartiene ad ognuno di noi. Essa è una condizione umana ed è ciò che ci rende unici.
Francesca Moscatello
Bibliografia
Allport G.W. (1954), The nature of prejudice, Addison-Wesley Publishing Company, Cambridge Mass
Cambi F. (2012), Incontro e dialogo, prospettive della pedagogia interculturale, Carocci, Roma.
Gaertner, S. L., & Dovidio, J. F. (2000). Reducing intergroup bias: The common ingroup identity model, Philadelphia, PA: Psychology Press.
Gawronski B., Bodenhausen, G. V. (2006), “Associative and propositional processes in evaluation: An integrative review of implicit and explicit attitude change”, in Psychological Bulletin
Pettigrew T. F. (1998), Annual Review of Psychology, Intergroup Contact Theory
Villano P., (2003), Pregiudizi e stereotipi, Carocci, Roma.
Vezzali L., Giovannini D. (2012), “Come ridurre il pregiudizio: il punto di vista della psicologia sociale”, in The inquisitive mind.