La definizione del concetto di procrastinazione sembra essere alla portata di tutti e tutte: nell’immaginario collettivo, chi procrastina è una persona che rimanda i propri impegni per una sorta di svogliatezza. Tale costrutto è stato preso in considerazione dagli psicologi facendo riferimento a diversi ambiti (studio, lavoro, salute ecc…). Partiamo innanzitutto dall’etimologia della parola procrastinazione. Il termine deriva dal latino “pro” (avanti o a favore di) e “crastinus” (di domani). Dunque, con questa espressione si intende il rimandare consapevolmente l’esecuzione di compiti che sarebbe nell’interesse della persona svolgere subito (Salvatori, 2017). Se ci pensiamo, potenzialmente chiunque può procrastinare, col rischio però che tale comportamento assuma una connotazione negativa quando l’individuo posticipa azioni o decisioni in modo inadeguato.
Cosa ci porta a procrastinare?
Nello specifico, la procrastinazione è una forma di fallimento dell’autoregolazione in cui il soggetto ritarda volontariamente la messa in atto di un’azione, nonostante sappia che quest’ultima, quando non portata a termine, vada a proprio svantaggio (Nguyen, Steel & Ferrari, 2013). Tra le caratteristiche che hanno ricevuto maggiore attenzione da parte dei ricercatori vi è la task aversiveness (avversione al compito); questo fa riferimento a ciò che viene considerato come spiacevole, e in quanto tale verrà evitato (Salvatori, 2017). Inoltre, sembra che la scarsa attrattività del compito (definita in maniera soggettiva), la mancanza di incentivi e il dover svolgere attività ripetitive, possano facilmente indurre una persona a procrastinarne lo svolgimento (Ibidem).
Piers Steel, nel 2011, propone un’equazione per spiegare l’origine della procrastinazione. è composta da tre fattori di base: le aspettative, il valore e il tempo. Tra i fattori presi in considerazione da Steel il tempo gioca un ruolo determinante in quanto ci indica che tanto più grande è il ritardo, più diminuisce la motivazione. Infatti, mentre l’impulsività amplifica gli effetti del ritardo, l’individuo impulsivo valuta meno degli altri l’effetto del tempo, preoccupandosi delle conseguenze del posticipare solo quando queste sono molto vicine cronologicamente (Salvatori, 2017).
Tipologie di procrastinatori
Vari autori hanno creato dei modelli volti a spiegare il funzionamento della procrastinazione. Joseph Ferrari nel 1992 ha individuato 3 tipologie di procrastinatori: quelli da arousal, quelli evitanti e quelli decisionali.
- Il procrastinatore da arousal è colui che rimanda un compito in modo da poter ricercare delle sensazioni forti e nuove. Questa tipologia di procrastinatore infatti, ritarda i propri compiti per aumentare il proprio livello di attivazione, impegnandosi esclusivamente e con estrema intensità soltanto in prossimità di una scadenza. Questa categoria di procrastinatori comprende quelle persone denominate sensation seekers, cioè individui che sperimentano troppo facilmente sensazioni di noia e proprio per questo ricercano “forti emozioni”. Questi possono scegliere intenzionalmente di rimandare un compito per sperimentare su sé stessi la tensione che deriverebbe da una scadenza prossima; pertanto, il procrastinare sarebbe un modo per sperimentare una forma di piacere. Questo tipo di comportamento può, come sostiene Ferrari, divenire una sorta di dipendenza se il soggetto sperimenta ritardi sempre maggiori e tende al completamento del compito last minute.
- Il procrastinatore evitante invece, rimanda il compito per evitare un fallimento che teme, con l’intenzione di salvaguardare e proteggere la propria autostima. Nel procrastinatore evitante entra in gioco una sorta di prevenzione di possibili ripercussioni e conseguenze negative temute, per sfuggire a plausibili sensazioni disagevoli, legate inevitabilmente alla paura di fallire o di ricevere giudizi negativi.
- Il procrastinatore decisionale infine, è colui che posticipa intenzionalmente una decisione da prendere. Deriva da una insufficiente abilità nel prendere decisioni accompagnata da un atteggiamento tendenzialmente pessimista circa la capacità di selezionare alternative opportune e soddisfacenti. Questo tipo di procrastinazione è stata correlata a caratteristiche di personalità quali: ansia, difficoltà nell’instaurare relazioni interpersonali e paura del rischio.
La differenza sostanziale tra i primi due tipi di procrastinazione e quella decisionale risiede nel fatto che, mentre nelle prime due viene rimandato un compito, nell’ultima si verifica il rimandare delle decisioni.
Chun Chu e YouJung Choi nel 2005, invece, hanno fornito una prospettiva alternativa con la quale hanno dimostrato che non tutti i comportamenti che portano alla procrastinazione sono nocivi e implicano conseguenze negative. Nella fattispecie hanno distinto due tipi di procrastinatori: i procrastinatori passivi ed i procrastinatori attivi. I primi sono i procrastinatori tradizionali, e cioè quelli che rimandano il compito fino all’ultimo a causa dell’incapacità di prendere la decisione di agire nel minor tempo possibile; mentre, i procrastinatori attivi sono in netto contrasto con quelli tradizionali in quanto sono in grado di decidere intenzionalmente di procrastinare, usando la loro alta motivazione sotto la pressione temporale. Questi, inoltre, sono in grado di completare le mansioni prima che queste arrivino a scadere e a ottenere dei risultati più che soddisfacenti. Secondo Peter Golwitzer e Bayer (1999) i benefici che derivano dall’utilizzo della procrastinazione attiva sarebbero la capacità di automotivarsi e l’utilizzo di comportamenti relativi alla gestione del tempo (e alle pressioni temporali). Ciò consente all’individuo di perseguire efficacemente i loro obiettivi portando a termine i compiti (Choi & Moran, 2009).
È importante quindi non vedere in modo univoco la procrastinazione, ovvero, come un comportamento negativo, in quanto potrebbe essere il modo soggettivo che un individuo ha di affrontare una situazione poco interessante, o semplicemente la strategia che gli fa più comodo per portare a termine un compito.
Emanuele Duro
Bibliografia
Chu, A. H. C., & Choi, J. N. (2005). Rethinking procrastination: Positive effects of “active” procrastination behavior on attitudes and performance. The Journal of Social Psychology, 145
Choi, J. N., & Moran, S. V. (2009). Why not procrastinate? Development and validation of a new active procrastination scale. The Journal of social psychology, 149(2)
Ferrari JR (1992). Psychometric validation of two procrastination inventories for adults: Arousal and avoidance measures. Journal of Psychopathology and Behavioral Assessment 14, 2
Golwitzer, P. M., & Bayer, U. (1999). Implementation intentions and affective goal pursuit: Strong effects of simple plans. American Psychologist, 54
Nguyen, B., Steel, P., & Ferrari, J. R. (2013). Procrastination’s impact in the workplace and the workplace’s impact on procrastination. International Journal of Selection and Assessment, 21(4)
Salvatori, C. (2017). Se non ora quando? Procrastinazione: Origine e trattamento. Cognitivismo clinico 14, 2
Steel P. (2011). Da domani non rimando più. Come smettere di rinviare le cose e iniziare a farle. Mondadori, Milano.