Cambiare profondamente la giurisprudenza italiana legata al diritto sul lavoro è certamente possibile: ci è stato dimostrato ampiamente dalla nuova riforma del lavoro, meglio conosciuta come Jobs act, approvata con la legge delega n.183/2014. Il mondo del lavoro ha assistito nel corso dell’ultimo decennio o poco più (si parte infatti con la Riforma Biagi del lontano 2003) ad un profondo processo di cambiamenti normativi rilevanti e non. La nuova riforma del lavoro deve la sua nascita al ministro Poletti, appoggiato oltre limite dal premier Renzi. Cosa prevede in concreto la riforma del lavoro che ha fatto così tanto discutere? Eccone i punti principali.
Innanzitutto, il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti: questa nuova forma contrattuale è riservata ai nuovi assunti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore della legge nonché ai casi di conversione, sempre a seguito della Riforma del lavoro, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato. La stessa definizione ci aiuta a comprendere come questa nuova disciplina preveda, per i lavoratori, maggiori tutele con il passare del tempo trascorso presso la stessa azienda.
Il punto della riforma che più ha fatto discutere riguarda sicuramente lo stravolgimento dell’articolo 18, della legge n. 300 del 1970, conosciuto per lo più come Statuto dei lavoratori. Il governo ha sentito l’esigenza di modificare un articolo che permetta alle aziende di licenziare con maggiore facilità. Prima dell’entrata in vigore della legge (ma avevamo visto le prime modifiche sostanziali con la riforma Fornero nel 2012), l’articolo 18 prevedeva che, in caso di licenziamento dichiarato illegittimo, il giudice considerava il reintegro in azienda ed un’indennità risarcitoria. Invece, i lavoratori assunti con il nuovo contratto a tutele crescenti, in caso di un licenziamento determinato da motivi economici e dichiarato illegittimo dal giudice, avranno diritto esclusivamente ad una tutela di tipo indennitario; l’indennità non potrà essere inferiore alle 4 mensilità e superare le 24 mensilità. Rimane il reintegro in azienda in caso il giudice ritenga che il licenziamento per motivi disciplinari o discriminatori sia illegittimo.
Le indennità di disoccupazione Aspi e mini Aspi (introdotte dalla legge Fornero) saranno sostituite dal 1° maggio 2015 dalla Naspi: sarà applicabile a tutti i lavoratori che perderanno involontariamente l’occupazione, che possano far valere almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l’inizio della disoccupazione, e contestualmente 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti. Potranno usufruirne per un periodo pari alla metà delle settimane coperte da contribuzione nei quattro anni precedenti all’evento di disoccupazione. E’ introdotta con questa riforma l’Asdi, che dal 1° maggio 2015 (e limitatamente per il 2015) fornirà un ulteriore sostegno ai lavoratori beneficiari di Naspi che siano ancora privi di occupazione e che si trovino in una condizione di bisogno. Ne beneficeranno per 6 mesi, nella misura del 75% dell’ultimo trattamento Naspi. Prevista anche un’indennità di disoccupazione per i co.co.co, la DIS-COLL. Per avere diritto alla DIS-COLL, valevole solo per il 2015, il lavoratore dovrà possedere lo stato di disoccupazione al momento della domanda, dovrà far valere almeno tre mesi di contribuzione versati fra il 1° gennaio 2014 ed il giorno di cessazione del lavoro ed dimostrare il possesso di almeno un mese di contribuzione oppure un rapporto di collaborazione continuativa pari almeno ad un mese.
Inoltre, con l’entrata in vigore del Jobs act, non sarà più possibile sottoscrivere contratti di lavoro a progetto e contratti di job sharing. Previsto, in chiusura del decreto, il contratto di ricollocazione. Quest’ultimo, in caso di disoccupazione ed in base all’occupabilità, consiste in un servizio di assistenza intensiva da parte dei centri per l’impiego nella ricerca di possibilità occupazionali, e a fronte dell’effettivo inserimento nel mondo del lavoro del soggetto disoccupato vi sarà l’erogazione di un voucher a favore dei soggetti accreditati (come ad esempio centri per l’impiego). Preme sottolineare che saranno le regioni a decidere se attivare e finanziare questo nuovo strumento. Altro punto discutibile è la possibilità di demansionare il lavoratore, mantenendo però il trattamento retributivo in atto. Per chi svolgerà mansioni superiori, vi sarà l’assegnazione definitiva dopo sei mesi e non più dopo tre come fino ad oggi previsto.
Queste le novità principali. Ciò che salta subito all’occhio di chiunque è il peggioramento delle condizioni dell’individuo in quanto lavoratore, che firma un contratto a tempo indeterminato ma che ha, al tempo stesso, concrete possibilità di essere licenziato con maggiore facilità rispetto alla precedente normativa. Si consideri che molte misure su illustrate sono limitate all’anno 2015, quindi non è detto che divengano strutturali nel tempo. Tutto è legato al reperimento di risorse economiche che quasi sempre mancano. Si consideri, inoltre, che molti punti appartenenti già alla legislazione giuslavoristica, sono stati riproposti con parole diverse ma dal contenuto sempre uguale (si veda ad esempio l’indennità di disoccupazione o l’una tantum prevista per i collaboratori a progetto). Come si può superare il precariato? Come far ripartire l’economia? Non si trovano risposte concrete nella riforma, e nemmeno nelle parole dei nostri governanti.
Laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali
Bibliografia
Guida giuridica Italia Oggi, Jobs Act, Serie speciale, n.3
Testo ufficiale della legge, http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2014/12/15/14G00196/sg