Parlare di corruzione e, soprattutto, di lotta alla corruzione è diventato molto difficile nell’Italia di oggi; da una parte la questione verte sempre su buoni propositi e frasi fatte, dall’altra si rischia di ricadere nel populismo e nel qualunquismo più spicciolo e bieco. Il senso comune, spinto dai continui scandali che si sono ripetuti negli ultimi anni (dal ‘Mose’ di Venezia a ‘Roma Capitale’), avverte il fenomeno corruttivo come una continua emergenza e le norme che lo regolano come inefficaci e di facciata.
Ma per comprendere al meglio il fenomeno corruzione, al riparo dagli allarmismi e dai proclami del mondo politico, è necessario porsi due fondamentali domande: Che cosa è la corruzione? E, in secondo luogo: Che cosa intendono le norme per corruzione? Ovviamente, vivendo il diritto (e in particolare quello penale) di empirismo e osservazione della realtà, sarà necessario dare risposta alla prima domanda per potersi approcciare alla seconda.
Tutti sanno che la corruzione consiste in un patto sinallagmatico (per cui ogni parte assume l’obbligazione di eseguire una prestazione in favore dell’altra esclusivamente in quanto essa a sua volta assuma l’obbligazione di eseguire una prestazione in suo favore) fra un privato e un pubblico ufficiale, attraverso il quale l’uno si impegna alla dazione di denaro o altra utilità, l’altro a porre in essere condotte che violano i propri obblighi d’ufficio al fine di favorire il primo. Ma all’interno di questo schema generale il fenomeno corruttivo ha subito una certa evoluzione, tale da poter individuarne tre diversi ‘tipi’ sul piano fenomenologico e criminologico.
Primo tipo è la corruzione “classica”: vi è un patto fra due persone (un rapporto duale), le quali si accordano su di una specifica prestazione, consistente generalmente in una somma di denaro e in un singolo atto specifico (es. si pensi all’assegnazione di un appalto o al rilascio di una licenza). Tale prima manifestazione del fenomeno è detta “burocratico-pulviscolare” ed è la forma più semplice di corruzione.
Secondo tipo è la corruzione “amministrativo-sistemica”: si viene a perdere la prospettiva duale del rapporto, che diventa composito e più complesso. E’ qui infatti che operano i c.d. intermediari: soggetti che hanno funzione di connettore fra il privato corruttore e il pubblico ufficiale corrotto. Questi soggetti sono garanzia di funzionamento del sistema, che tende sempre più a fondarsi sulla fidelizzazione dei suoi membri. Il fenomeno acquista veri e propri connotati sistemici e il collante è la fiducia che viene a crearsi fra tutti i partecipanti al sistema. In questa prospettiva la prestazione del pubblico ufficiale passa dal singolo e specifico atto (come era nel suddetto primo tipo corruttivo) alla sua stessa funzione in toto considerata, fino ad arrivare alla ‘corruzione per asservimento’, così definita dalla stessa Corte di Cassazione (sent. n.47271/2014 e n.49226/2014), nella quale il funzionario asserve interamente la propria funzione alle esigenze del privato.
Infine, terzo e ultimo tipo, é la corruzione c.d. “politico-affaristica”; tale dimensione è la più potenzialmente pericolosa e pervasiva: si tratta dei casi dove lo stesso funzionario pubblico è portatore di interessi legati alla prospettiva del corruttore. Ciò in particolar modo può accadere con riferimento al mondo degli enti locali e dei loro rapporti con municipalizzate e cooperative. Si vengono a porre problemi di conflitto di interessi, tanto che le figure di corrotto e corruttore tendono a sovrapporsi. In questa prospettiva è poi fondamentale il ruolo della criminalità organizzata che funge da intermediario e garante del sistema, assumendo una centralità tale da risultare quasi il vertice del triangolo corruttivo (emblematico l’esempio di “Roma Capitale”, dove la criminalità organizzata controllava pubblico e privato, padrona dell’intero sistema).
Queste tre manifestazioni del fenomeno corruttivo, certamente espressive di un’evoluzione dello stesso avvenuta in diversi periodi storici, non devono però essere interpretate in prospettiva puramente cronologica: ad oggi esse esistono e coesistono fra di loro nel nostro sistema-paese. La funzione di tale ricostruzione fenomenologica è quella di permettere una comprensione profonda e consapevole delle risposte che si sono avute sul piano giurisprudenziale e legislativo in un’ottica di lotta al fenomeno.
Il passaggio da una corruzione burocratico-pulviscolare, ad una corruzione maggiormente di sistema, ha reso inefficaci, se non del tutto inutili in determinate circostanze, le vecchie norme in materia di corruzione del ‘Codice Rocco’. Si è resa così necessaria una riforma degli articoli 318 e 319 del codice penale. Il primo prevedeva il reato di corruzione impropria, che si ha ove questa sia relativa ad un atto conforme ai doveri di ufficio; il secondo il reato di corruzione propria, relativa ad un atto contrario ai doveri di ufficio. Risulta evidente come fondamentale, ai fini dell’integrazione di una delle due fattispecie, fosse la qualificazione di un atto singolarmente individuato (conforme o contrario che fosse ai doveri di ufficio). Tale atto diventa difficilmente individuabile, fino a sparire del tutto, in una prospettiva sistemico-affaristica, dove oggetto della vendita non è più un singolo atto, individuato o individuabile, ma la funzione per intero considerata.
Tali problemi applicativi delle suddette norme avevano portato ad un’interpretazione particolarmente elastica ed ampia delle stesse da parte della giurisprudenza. La ‘vendita della funzione’ veniva fatta ricadere nell’ambito applicativo del 319 in quanto espressiva di un esercizio delle proprie funzioni contrario ai doveri d’ufficio, nonostante non si fosse individuato il singolo atto. Tale interpretazione ‘in malam partem’ della giurisprudenza ha portato infine il legislatore a modificare le fattispecie suddette nel 2012 con la c.d. ‘Legge Severino’ (l. 190/2012).
Con questa si è modificato radicalmente l’art. 318 rubricandolo come: “Corruzione per l’esercizio della funzione”. Grazie a tale norma è oggi possibile poter procedere nelle ipotesi di corruzione per l’esercizio della funzione, senza il pericolo di incorrere in interpretazioni azzardate da parte della giurisprudenza. Accanto a tale riformulazione del testo normativo, la legge ha affidato una serie di poteri di controllo estremamente incisivi all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), oggi presieduta dall’ex p.m. Raffaele Cantone, e infine una normativa sull’incandidabilità in ipotesi di condanna.
La legge Severino è una riforma che delinea un sistema penale maggiormente rispondente alla realtà dei fatti precedentemente descritta. A ciò si aggiunge, come suddetto, la predisposizione di misure di prevenzione forti nelle mani dell’ANAC; in particolare le sono stati attribuiti forti poteri ispettivi in ordine alla correttezza e economicità dei procedimenti amministrativi, ma anche veri e propri poteri sanzionatori ove le pubbliche amministrazioni non si allineino agli standard di prevenzione e sicurezza previsti.
Tali poteri ispettivi in ottica di prevenzione del reato sono particolarmente importanti alla luce delle fisiologiche difficoltà che incontra il diritto penale nella lotta al fenomeno corruttivo. Tali difficoltà sono perlopiù di ordine probatorio: essendo la corruzione un reato posto in essere da due soggetti, entrambi punibili, risulta particolarmente difficile scardinare il patto di omertà che li lega.
Tale forte problematica aveva peraltro condotto per molto tempo, e in particolare nello scandalo di “Tangentopoli” all’inizio degli anni novanta, a una forzatura della fattispecie di ‘concussione’; il privato è qui vittima di una dinamica costrittiva posta in essere dal pubblico ufficiale e può quindi testimoniare contro di esso senza poter essere a sua volta accusato di alcunché. La legge Severino è intervenuta anche sul reato di concussione ponendo definitivamente una netta distanza fra questa e le fattispecie di corruzione, e evitando così quella strumentalizzazione che aveva permesso alla prima di fagocitare gran parte dell’ambito applicativo della seconda.
E’ ancora troppo presto per sapere se tale riforma avrà delle ripercussioni effettive nella lotta alla dilagante corruzione del paese, anche alla luce di alcune mancanze tutt’oggi esistenti; ciò che è certo è che un primo passo in questa direzione è stato fatto.
Paolo Fratini
Sitografia
Cingari Francesco, “La corruzione pubblica: trasformazione fenomenologica ed esigenze di riforma”, Diritto Penale Contemporaneo, n.1 (2012): pp. 79-98
http://www.penalecontemporaneo.it/foto/35692012_1_DPC_TRIMESTRALE.pdf#page=85&view=Fit
Francesco Palazzo, “Concussione, corruzione e dintorni: una strana vicenda”, Diritto Penale Contemporaneo, n.1 (2012): pp. 227-231
http://www.penalecontemporaneo.it/foto/35692012_1_DPC_TRIMESTRALE.pdf#page=85&view=Fit
Sentenza 47271/2014, Suprema Corte di Cassazione, Sezione VI
http://www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=10969
Sentenza 49226/2014, Suprema Corte di Cassazione, Sezione VI