Oggi vi proponiamo una lettura giocosa e un po’ provocatoria dei nostri amati cartoni Disney: se le bellissime e impeccabili principesse e protagoniste di queste storie (ormai consegnate al nostro immaginario dalla versione semplificata ma emozionante di Disney) soffrissero di una psicopatologia, quale potrebbe essere?
Abbiamo immaginato una storia clinica per cinque personaggi femminili:
- Cenerentola
- Aurora (La Bella Addormentata nel Bosco)
- Ariel (La Sirenetta)
- Belle (La Bella e la Bestia)
- Alice nel Paese delle Meraviglie
Cenerentola è una ragazza di buoni sentimenti, remissiva e decisamente incline al sacrificio: non si è mai sottratta al crudele sfruttamento impostole dalla matrigna e dalle sorellastre. La sua attitudine a servire e ad anteporre gli altri a se stessa e ai propri bisogni ricorda la tipologia di Personalità Masochistica (detta anche “autofrustrante”), identificata dal manuale psico-diagnostico PDM (Psychodynamic Diagnostic Manual, 2006). Questo profilo riguarda individui che non possono fare a meno di ritrovarsi in condizioni di sofferenza. Secondo il senso comune, il masochista è colui che “gode nel soffrire”. Eppure non si tratta di godimento, ma di individui che, per le loro storie affettive, sono stati abituati o costretti a ricoprire il ruolo della persona sofferente, e il più delle volte sono stati accettati solo in virtù di ciò. O, addirittura, sono stati abituati alla condizione che l’unico modo per meritare amore o considerazione sia proprio soffrire. Il PDM individua due sottotipi: il masochista morale e il masochista relazionale. Il primo nutre la credenza implicita secondo cui la propria sofferenza dimostri una superiorità morale rispetto agli altri. Il secondo invece è caratterizzato dalla credenza patogena secondo cui solo in virtù della propria sofferenza sia possibile mantenere le relazioni importanti, e che se mai smettessero di soffrire nessuno sarebbe più disposto a prendersi cura di loro.
La diagnosi di Aurora (“La Bella Addormentata nel Bosco“) sorge immediata: che soffrisse di Ipersonnia? Si tratta di un disturbo molto complesso e, inspiegabilmente, verso cui l’attenzione pubblica e la consapevolezza sono molto basse. L’Ipersonnia Idiopatica (riconosciuta dal sistema di classificazione internazionale delle malattie ICD 10, 1993) è un disturbo neurologico e cronico del sonno caratterizzato da eccessiva sonnolenza. Attualmente non ci sono cure o trattamenti approvati dalla FDA (Food and Drug Administration). Essa deriva da un problema nei sistemi cerebrali che regolano il sonno (probabili disfunzioni al sistema mesencefalico-ipotalamico-limbico), e si manifesta in episodi di sonno prolungato durante la notte ed episodi protratti di sonno non REM durante la giornata. Vi sono differenze organiche rispetto alla più nota Narcolessia: quest’ultima è caratterizzata, oltre che dalla cataplessia (perdita di tono muscolare), da due o più periodi di fase REM nei 15 minuti successivi all’addormentamento; nell’Ipersonnia, invece, se ne manifestano meno di due. Il soggetto che soffre di Ipersonnia dorme anche più di 10 ore a notte, ha difficoltà a svegliarsi persino con l’ausilio della sveglia e si sente confuso e disorientato al risveglio (stato chiamato “ebbrezza da sonno”). Può inoltre presentare paralisi nel sonno e allucinazioni nella fase di addormentamento. Infine, possono esservi associate una fame eccessiva (megafagia compulsiva), ipersessualità e stati di depressione o eccitazione maniacale.
Ariel, protagonista de “La sirenetta”, è una creatura marina che non accetta la sua condizione fisica di sirena e non è disposta a compromessi. Potremmo collocarla all’interno del funzionamento ossessivo in virtù di ben due patologie. La prima è la Dismorfofobia, racchiusa nello spettro “Disturbo ossessivo compulsivo e Disturbi correlati” (DSM 5, APA 2013). L’estrema sofferenza di Ariel per la propria condizione fisica ricorda questo disturbo, caratterizzato da preoccupazioni persistenti nei confronti di caratteristiche fisiche che, secondo il parere degli altri, non appaiono così eccessive e fuori dal comune (effettivamente, la presenza di una coda non deve apparire così allarmante in un mondo di sirene e tritoni!). Esso è inoltre caratterizzato dall’assunzione di comportamenti ripetitivi e rituali (guardarsi allo specchio, toccare la parte “difettosa”), pensieri ossessivi, stress, ansia e calo del tono dell’umore. Tipicamente questo disturbo sorge in un contesto che non ha permesso il consolidarsi di una buona autostima: nel caso di Ariel potremmo pensare al padre autoritario e per certi versi insensibile ai suoi bisogni. La seconda patologia è la Disposofobia (DSM 5, APA 2013) o disturbo da accumulo, caratterizzato dal collezionare beni – perlopiù inutili – in quantità inverosimili, e dall’incapacità di liberarsene. Ricordiamo la folle collezione di Ariel di oggetti superflui (soprattutto negli abissi) recuperati nei fondali: cavatappi, forchette, candele, vecchi occhiali, caffettiere. Il soggetto che ne è affetto prova un fortissimo attaccamento verso ognuno di questi beni, senza cui teme che non potrebbe sopravvivere. Prova inoltre un forte bisogno di controllarli e di conseguenza a nessuno è consentito di toccarli o spostarli.
Belle, la protagonista di “La Bella e la Bestia”, è una giovane che, durante la prigionia impostale da un mostro, se ne innamora. Questo comportamento ricorda la Sindrome di Stoccolma, che descrive l’attaccamento e la dipendenza di una vittima nei confronti del suo carnefice. Il nome è stato coniato dallo psicologo Bejerot e si riferisce all’episodio che avvenne a Stoccolma nel 1973: un evaso dal carcere tentò una rapina in una banca e prese in ostaggio tre donne e un uomo. I reclusi, che furono infine rilasciati, svilupparono un senso di riconoscenza e gratitudine verso il sequestratore che “aveva ridato loro la vita”. Non è raro che soggetti sopravvissuti a un sequestro dichiarino poi di aver approfittato dell’occasione per riflettere sulla propria vita e giurare a se stessi di cambiarla se ne fossero usciti vivi. L’identificazione con l’aggressore, processo verosimilmente coinvolto in tale sindrome, è un meccanismo studiato intorno al 1930 da Ferenczi. Lo psicanalista ungherese descrive come la vittima, per fronteggiare l’angoscia di un’esperienza traumatica, si identifichi e introietti colui che lo minaccia. Schiacciata da una paura impotente, non attiva una reazione di rifiuto o difesa ma si consegna all’aggressore e si identifica con ciò che egli si aspetta: sentirà ciò che l’aggressore sente e tenterà di anticiparne le mosse per sopravvivere. Anna Freud (1936) ne parla invece come di un meccanismo di difesa attraverso cui la vittima riesce a sentirsi nel ruolo minacciante piuttosto che di minacciato (il quale chiaramente sarebbe più doloroso).
Infine, parliamo di Alice nel Paese delle Meraviglie che, sebbene non sia propriamente una principessa, rimane la protagonista di uno dei più intramontabili cartoni Disney. Volendo accostarci a questo capolavoro con un approccio un po’ dissacrante, possiamo immaginare la dolce fanciulla in preda a un disturbo psicotico, in particolare il Disturbo Schizoaffettivo (DSM 5, APA 2013). I Disturbi Psicotici si caratterizzano per una drastica perdita di contatto dalla realtà. Se il lungo sogno di Alice, popolato da Stregatto, Brucaliffo e fiori che cantano, fosse stata un’esperienza allucinatoria? Nello specifico, il Disturbo Schizoaffettivo si distingue per allucinazioni (semplici se coinvolgono un solo canale sensoriale, complesse se ne coinvolgono di più), deliri (convinzioni irrazionali ed estremamente solide) e soprattutto alterazioni dell’umore. Quest’ultimo può manifestarsi in stati maniacali (umore estremamente alto) o depressivi. Non è difficile richiamare alla mente momenti in cui la protagonista è incredibilmente entusiasta e sovra-eccitata o, al contrario, terribilmente scoraggiata e in preda – letteralmente – a fiumi di lacrime.
In conclusione a questa “Psicopatologia delle principesse Disney”, ricordiamo comunque che, così come la complessità umana è difficilmente riassumibile in etichette diagnostiche, anche il fascino e il mistero delle eroine Disney non è certamente spiegabile dai sistemi di classificazione. Nonostante ciò, pensare a questi personaggi esemplari come soggetti a sofferenza psichica potrebbe avere un vantaggio: sentirli più veri, più vicini a noi, meno patinati e più reali.
Bibliografia
America Psychiatric Association (2014). DSM 5, Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali. Milano: Raffaello Cortina.
American Psychoanalytic Association (2007). PDM, Manuale diagnostico psicodinamico. Milano: Raffaello Cortina.
Ferenczi S. (1974). “Confusione delle lingue tra adulti e bambini”, in Fondamenti di psicoanalisi, ulteriori contributi (1908-1933), vol. 3. Rimini: Guaraldi.
Ferenczi S. (2004). Diario clinico Gennaio-Ottobre 1932. Milano: Raffaello Cortina.
Freud A. (1937). The Ego and the Mechanisms of Defence. London: Hogarth Press and Institute of Psycho-Analysis.
Graham D.L., Rawlings E., Rimini N. (1988). Survivors of terror: battered women hostages, and the Stockholm syndrome. In Feminist perspectives on wife abuse. Sage Publications.
Articolo molto carino, alla portata anche dei non addetti ai lavori! Un modo interessante per esorcizzare la diagnosi