La rilevanza accordata all’opinione del minore nei procedimenti giudiziari civili rappresenta un punto chiave della contemporanea tutela dei diritti del fanciullo e, proprio per la sua importanza, il diritto all’ascolto è riconosciuto in molteplici convenzioni internazionali ed europee. Come vedremo, questo non rappresenta una garanzia sufficiente per la sua effettiva realizzazione, la quale è di fatto compromessa dall’assenza di omogeneità nelle legislazioni e nelle prassi giudiziarie ed è aggravata dalla complessità dei concetti coinvolti.
La costante previsione della necessità dell’audizione del minore nella normativa che lo riguarda è coerente con la nuova concezione dello stesso quale titolare di diritti propri: da mero spettatore passivo della relazione famigliare, è diventato soggetto attivo di un rapporto che lo vede protagonista in quanto portatore di diritti e interessi autonomi che possono non coincidere, e talora contrastare, con quelli dei genitori.
Allo scopo di tutelare i suoi interessi, al bambino è attribuito il ruolo di parte sostanziale nel rapporto processuale con il conseguente riconoscimento di una serie di diritti processuali, tra i quali quello ad essere ascoltato ed esprimere liberamente i propri desideri.
Il testo di riferimento in materia è la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (cd. Convenzione di New York) approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1989, che all’articolo 12 comma 2 impone agli Stati aderenti l’obbligo di garantire il diritto del minore ad essere ascoltato, sia direttamente che tramite un rappresentante o un organo appropriato, in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo riguarda. Alla tutela internazionale si affianca quella europea, dove il diritto dei bambini ad esprimere liberamente la propria opinione ha avuto un primo riconoscimento generale con la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori del 1996, la quale prevede che al minore, purché considerato dalla legge nazionale come avente un sufficiente discernimento, debbano essere riconosciuti i diritti di informazione e di rappresentanza e con l’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali riguardante i diritti del bambino.
Nel nostro Paese le istanze europee e internazionali sono state accolte dalla Legge n. 219/12, che ha introdotto nel tessuto codicistico in materia di filiazione l’importante articolo 315 bis c.c., norma con cui si riconosce una maggiore “centralità” al ruolo del minore all’interno del processo, estendendo le possibilità del suo ascolto a tutti i procedimenti che lo riguardano.
Prima dell’introduzione della previsione in parola, il fondamento normativo del diritto del bambino alla comunicazione e all’ascolto era rinvenuto in diversi articoli del Codice civile e nelle leggi che regolavano ambiti specifici. A titolo esemplificativo l’art. 147 c.c. in tema di doveri dei genitori, contempla quello di “tenere conto dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli” o l’art. 316, comma 5, c.c. riferito alle ipotesi di contrasto tra i genitori nell’esercizio della potestà, il quale contempla l’ascolto del minore che abbia compiuto i quattordici anni.
Oggi, il nuovo art. 315 bis c.c. estende l’obbligo di ascolto ad ogni procedimento che riguarda la prole minorenne, a prescindere dall’oggetto; il comma 3 di tale articolo ha dunque una valenza generale, con l’effetto di rendere di fatto superflue e tacitamente abrogate le disposizioni preesistenti. Il suddetto articolo ha anche un ambito di applicazione trasversale, operando anche nei casi in cui l’ascolto del minore non sia espressamente previsto, qualora si controverta dei suoi diritti e dei suoi interessi.
È l’interesse superiore del minore il fine e il principio ispiratore di tutto il diritto di famiglia, in virtù del quale viene riconosciuto al soggetto minorenne il diritto di partecipare alle decisioni che lo riguardano; diritto ripreso ed esplicato nel diritto all’ascolto, comprendente quello all’informazione, alla consultazione e all’espressione di opinioni.
Ampliando lo sguardo all’ambito comunitario, si nota come la prassi giudiziaria sia altalenante in quanto l’obbligo per gli Stati di tenere in considerazione l’opinione espressa dai minori sulle questioni che lo riguardano, è subordinato alla loro età e grado di maturità.
Ma cosa identifica la “capacità di discernimento”, nella quale si identifica la maturità? In mancanza di una definizione normativa, potremmo identificarla con la capacità del minore di comprendere ciò che è utile per se stesso e di operare delle scelte autonome senza subire l’influenza di altri soggetti. In via generale, la capacità di discernimento si considera acquisita dopo i 12 anni, ma non è certo escluso che minori ben più piccoli, anche di 6-8 anni, possano rappresentare validamente la propria idea rispetto al loro mondo affettivo ed al genitore si sentono più vicini. Oltre la complessità di questi concetti, anche la diversa considerazione che si ha della “maturità” stessa nelle diverse culture compromette di fatto l’omogeneità del diritto dei minori ad essere ascoltati.
Per tale ragione e proprio al fine di perseguire l’interesse superiore del minore a livello comunitario, è stato imposto agli Stati membri l’obbligo di garantire l’ascolto per ottenere il riconoscimento delle sentenze straniere in tema di minori. In particolare, la Convenzione di Lussemburgo del 1980 sul riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e ristabilimento dell’affidamento in vigore in Italia con Legge n. 64 del 1994, riconosce, all’articolo 15 punto A, l’obbligo di “rendersi edotta [la corte chiamata a decidere n.d.ss] del punto di vista del minore […] avuto riguardo, in particolare, all’età ed alla capacità di discernimento di quest’ultimo”; tale disposizione è integrata dal cd. Regolamento Bruxelles II bis del 2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, nel quale si impone al giudice di verificare se il minore sia stato ascoltato ai fini dell’esecutività dei provvedimenti stranieri che lo riguardano. In questo modo si evita di dare attuazione a sentenze emanate in assenza di una effettiva conoscenza dell’opinione del minore, sulla scorta che questo potrebbero ledere i suoi interessi.
La concreta attuazione del diritto del minore ad essere ascoltato resta però inevitabilmente influenzata dalle diverse tradizioni storiche e culturali degli Stati aderenti alle Convenzioni internazionali e sottoposti all’autorità del Regolamento, i quali subordinano la possibilità dell’audizione alla compatibilità con le regole di procedura della legislazione nazionale. Nel caso in cui le norme interne non offrano un’opportunità di audizione, si pone dunque il quesito se esse possano essere modificate e interpretate secondo la regola convenzionale o se, essendo la norma internazionale non self-executing (ossia non automaticamente applicabili nello Stato membro, il quale deve attivarsi per darne realizzazione), sia necessaria l’esistenza nell’ordinamento interno di organi e procedure indispensabili per la corretta applicazione. Col risultato che, nel caso in cui non siano previste, verrebbe sacrificato il diritto, convenzionalmente riconosciuto, ad esprimere la propria opinione.
Nelle differenze a volte molto marcate tra sistemi che riconoscono rilievo all’opinione del fanciullo e alla necessità di tenerla in debito conto e quei sistemi che, viceversa, lo negano, si rinviene una lesione dell’interesse del minore.
Anche nel panorama nazionale ci si è interrogati sulle conseguenze relative all’omesso ascolto del minore: non esistendo alcuna norma che lo sanzioni, è stata la giurisprudenza a colmare la lacuna. In particolare la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7773 del 2012 ha ritenuto che il mancato ascolto del minore costituisce una violazione del principio del contraddittorio e del giusto processo e con la sentenza n. 5847 del 2013 ha aggiunto che conseguenza della violazione di tale obbligo è la nullità della sentenza.
In conclusione si può ritenere che a fronte di un generale riconoscimento formale del diritto del minore ad autodeterminarsi, l’assenza di norme condivise tra i diversi Paesi e la vaghezza dei principi, lasciano di fatto alla discrezionalità di ciascun legislatore e di ciascun giudice la scelta se procedere all’ascolto e tenere conto dell’opinione del minore o meno. Ancora una volta i risultati concreti non sono all’altezza delle buone intenzioni e l’interesse superiore del minore viene pregiudicato proprio dal sistema che si proponeva come obiettivo quello di tutelarlo.
Gaia Nova
Bibliografia
Cavallo M., (2012), Le mille facce dell’ascolto del minore, Armando Editore
Colombo M., (2015), La tutela oltre la frontiera. Bambini bilingue senza voce – Bambini binazionali senza diritti, Bonfirraro
Sitografia
Le novità dell’art. 315 bis c.c: http://www.ami-avvocati.it/le-novita-dellart-315-bis-c-c-l…/
La nuova disciplina dell’ascolto dei minori: http://www.diritto24.ilsole24ore.com/…/nuova-disciplina-asc…
Linee guida dell’ascolto dei minori: http://www.minori.it/…/f…/linee_guida_ascolto_del_minore.pdf
Tutela dei minori: http://www.esteri.it/…/tutelacons…/minori/convaja_251080.pdf
La Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia: http://img.poliziadistato.it/…/Conv.%20Diritti%20Infanzia.p…
La Convenzione europea dei diritti dell’uomo: http://www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf
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