Possiamo leggere un libro e contemporaneamente ascoltare la radio e capire sia ciò che stiamo leggendo sia le parole che stiamo ascoltando? Per poter rispondere a questa domanda dobbiamo considerare una funzionalità del nostro cervello molto importante: l’attenzione.
L’attenzione è definibile come <<la concentrazione di una determinata quantità di energia mentale su un evento del mondo esterno>> [D’Urso e Giusberti, 2000:88]. I nostri sensi ricevono tantissime informazioni nello stesso momento e, nonostante la grande capacità di elaborazione del nostro cervello, siamo costretti a tagliare fuori qualcosa per non essere sovraccaricati.
Esistono diversi tipi di attenzione, ma quella che ci interessa in questo caso specifico si chiama attenzione selettiva. L’attenzione selettiva è la “capacità che ci permette di concentrarci su uno stimolo selezionato tra molti altri distrattori o tra informazioni in competizione tra loro” (cfr. Iannotta). Un esempio tipico lo abbiamo prendendo in considerazione una conversazione tra amici in un bar o ad una festa. Siamo in grado di concentrarci sulla voce del nostro amico e di seguire il suo discorso nonostante il forte rumore che abbiamo intorno. L’attenzione funziona come un filtro che ci permette di concentrarci su ciò che più ci interessa e al contempo di ignorare gli elementi distraenti (cfr. Coon e Mitterer, 2011).
Colin Cherry ha iniziato a studiare questo fenomeno nel 1953 con una serie di esperimenti diversi, definendolo “il problema del cocktail party”. I primi esperimenti vennero effettuati facendo ascoltare ai soggetti delle registrazioni in cuffia contenenti due messaggi sovrapposti registrati dalla stessa persona. Al soggetto veniva chiesto di ripetere ad alta voce, parola per parola, uno solo dei due messaggi ascoltati. Anche potendo riascoltare i messaggi molte volte, il soggetto trovò molta difficoltà nel compiere quanto gli era stato richiesto. Venne introdotta una variazione chiedendo ai soggetti di trascrivere il messaggio ascoltato e si notò che i soggetti facevano molta meno fatica nello svolgimento del compito (cfr. D’Urso e Giusberti, 2000).
Nella seconda serie di esperimenti ai soggetti venivano fatti ascoltare sempre due messaggi sovrapposti, ma con una differenza sostanziale: questa volta i messaggi non erano composti da discorsi di senso compiuto, ma contenevano sequenze di frasi cliché unite tra di loro da particelle grammaticali. Per i soggetti risultò essere quasi impossibile seguire uno solo dei due discorsi, nella maggior parte dei casi infatti si limitarono a pescare catene di parole da uno o l’altro dei messaggi (cfr. D’Urso e Giusberti,2000).
A questo punto Cherry introdusse una procedura chiamata “ascolto dicotico”: la cuffia indossata dal soggetto inviava messaggi differenti, uno per l’orecchio sinistro e uno per l’orecchio destro. In questo caso l’attenzione del soggetto scivolava spontaneamente verso uno dei due messaggi ed esso era in grado di riportarlo senza troppe difficoltà, tuttavia venne riscontrato che ai soggetti sfuggiva il significato del messaggio ripetuto (cfr. D’Urso e Giusberti, 2000).
Per quanto riguarda invece il messaggio scartato con ulteriori prove, Cherry riuscì a capire che anche se non prestiamo attenzione riusciamo comunque ad assimilare alcune caratteristiche fondamentali di ciò che ascoltiamo: riconosciamo il messaggio non ascoltato come discorso se lo è, riconosciamo il sesso della persona parlante e riconosciamo se si tratta di musica o di un parlato. Tutte queste informazioni in ogni caso restano per breve tempo nella nostra memoria e poi scompaiono (cfr. D’Urso e Giusberti, 2000).
Questi studi di Cherry, anche se non attualissimi, restano estremamente validi e sono stati importanti anche per altri sperimentatori quali Broadbent(1958) e Treisman(1964) i quali hanno cercato di capire se l’attenzione selettiva abbia una funzione di sbarramento totale per le informazioni indesiderate, oppure se funzioni più come un inibitore postumo. Nel primo caso le conversazioni esterne non verrebbero neanche udite poiché ci stiamo concentrando sulla voce del nostro amico, mentre nel secondo caso i discorsi altrui entrerebbero nelle nostre orecchie semplicemente come rumore di sottofondo e quindi ignorate in favore della conversazione che stiamo portando avanti.
Grazie a questi studi possiamo comprendere alcune situazioni che viviamo ogni giorno. Pensate ad esempio di ricevere una telefonata mentre state guidando: la vostra attenzione in quel caso vi consentirebbe di seguire la conversazione con la vostra migliore amica, ma proprio per questo potrebbe sfuggirvi che il semaforo che state per raggiungere sta diventando rosso!
D’altra parte se ogni stimolo esterno e ogni pensiero che ci passa per la testa catturasse la nostra attenzione distraendoci continuamente, sarebbe molto complesso concentrarsi su un singolo obiettivo. Tale difficoltà è evidente nelle persone che soffrono della Sindrome da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD). Le persone affette da questo disturbo hanno difficoltà a mantenere l’attenzione su un singolo compito e presentano spesso comportamenti impulsivi e iperattivi (cfr. Coon e Mitterer, 2011).
L’attenzione selettiva, quindi, anche se presenta delle limitazioni, è uno strumento senza il quale molte azioni che diamo per scontate risulterebbero molto più complesse e talvolta quasi impossibili.
Cristina Paoloni
Bibliografia
D’Urso V. e Giusberti F., Esperimenti di Psicologia, Zanichelli, Bologna, 2000
Coon D. e Mitterer J.O., Psicologia Generale, Utet, 2011
Videografia
Wall Street Journal, Understanding the ‘Cocktail Party Effect’, YouTube, 23/02/2012
Sitografia
Iannotta,Disturbi dell’Attenzione, in Neuropsicologia.it, 31/05/2018 http://www.neuropsicologia.it/content/view/166/54/