Cosa succede effettivamente quando osserviamo un’opera d’arte? Cosa stimola i nostri sistemi emozionali di fronte ad un’immagine considerata bella? La risposta sembra giungere dalla Neuroestetica, la disciplina che nasce nel 2001 in seguito alla pubblicazione di un articolo del neurobiologo Semir Zeki dal titolo “The neurology of kinetic art”. La recente disciplina, il cui oggetto di indagine sono proprio le strutture neuronali implicate nella fruizione dell’opera d’arte e del bello, si pone l’obiettivo di indagare quella che sembra essere una vera e propria predisposizione umana per la proporzione e l’armonia delle forme.
Nell’antica Grecia il concetto di bello è stato al centro della speculazione di quasi ogni filosofo, raggiungendo il suo apice massimo con Platone per cui il bello era l’Idea perfetta ed eterna. Nel Medioevo la bellezza comincia ad assumere un significato spirituale e ad essere pensata in connessione al buono e al vero. Solo con Baumgarten, nel XVII sec., il bello diviene oggetto di studio di una disciplina a sé stante: l’Estetica. Il contributo più interessante però lo dobbiamo a Kant, definito il primo psicologo tra i filosofi che, nella sua Critica del Giudizio, ha caratterizzato il bello come universale, necessario, senza utilità e senza un fine. Il filosofo di Konigsberg pensava vi fosse una concordanza tra l’oggetto e le facoltà conoscitive, e a questo risultato sono giunti appunto gli studi del gruppo di ricerca di Parma di cui fa parte Giacomo Rizzolatti.
Dopo la scoperta dei neuroni specchio (neuroni responsabili del processo imitativo, del riconoscimento delle intenzioni altrui e dell’empatia) avvenuta nel 2005, G. Rizzolatti e V. Gallese hanno formulato un’ipotesi di studio riguardo, appunto, la ricerca delle coordinate d’accesso al fenomeno estetico a partire dalle reti neurali. Il loro obiettivo? Quello di arrivare ad una definizione rigorosa del concetto di bello. La risposta, arrivata qualche anno dopo, sembra appunto confermare la plausibilità di uno studio scientifico dell’arte e della creazione simbolica in generale. Il gruppo di ricerca di Parma (2007) è infatti riuscito ad isolare le aree neuronali capaci di attivarsi di fronte ad una visione armonica e di produrre in noi l’emozione corrispondente. L’esperimento è stato effettuato con l’ausilio di tecniche di brain imaging ed è stato condotto su persone a cui sono state fatte osservare delle opere d’arte originali e dei falsi artistici. Le immagini hanno evidenziato l’attivazione automatica di alcune aree del cervello visivo, delle aree orbito frontali e dei centri emozionali del sistema limbico, di fronte alla visione delle opere d’arte originali; le stesse aree rimanevano invece disattivate durante la visione delle opere falsificate.
I risultati hanno condotto gli studiosi nella direzione già percorsa circa tre secoli fa dal filosofo di Konigsberg, ovvero quella che fa capo al bello oggettivo, in grado di attivare i centri preposti al suo riconoscimento e di risuonare con essi in un’armonia prestabilita biologicamente. Genetica e cultura concorrono senz’altro entrambe alla costituzione dell’importante orizzonte umano per la scelta di armonia e qualità delle forme, ma l’attivazione e, conseguentemente, l’apprezzamento del fenomeno artistico sembrano dipendere da fattori genetici e non sarebbero quindi liberi ed incondizionati come invece siamo abituati a credere. Questo dato conferma quindi l’esistenza di una vera e propria attrazione per la bellezza, che ci porta a scegliere istintivamente ciò che più ci piace perché guidati da un sapiente centro di controllo. La creazione simbolica accende la complessa attività neuronale, colei che articola in maniera esperta le nostre scelte ed il nostro sentire, rendendo sorprendente ogni nuova esperienza estetica.
Loredana Di Adamo
Bibliografia
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