Attività su Facebook: un indicatore per disturbi mentali?

 

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Immagine realizzata da Martina Lofrinch

Con la larga diffusione dei social network è stato possibile constatare quale uso viene fatto della propria immagine, spesso considerata come strumentalizzata dagli stessi media e dagli utenti. Molti si chiedono se c’è una relazione (ed eventualmente di che tipo) tra questo uso considerevole delle immagini su internet e l’aumento di alcune patologie, fra le quali compaiono i disturbi del comportamento alimentare e il Disturbo dell’Immagine Corporea. L’uso dei social network può essere considerato come l’indice di un disagio? E in quali casi?

Ma cosa intendiamo per Disturbo dell’immagine corporea? L’American Psychiatric Association (APA) ha definito il Disturbo dell’immagine corporea come un’alterazione del modo in cui l’individuo percepisce il proprio corpo, sia nella forma che nel peso, che non è dovuto ad oggettive irregolarità.

Che relazione intercorre tra questo disturbo e i social media?

Nel 2014, Evelyn P. Meier e James Gray hanno pubblicato i risultati di una loro ricerca che mirava ad indagare la relazione tra l’attività “fotografica” di ragazze adolescenti su Facebook e il Disturbo dell’immagine corporea. Uno dei passaggi fondamentali quando si fa ricerca è lo studio della letteratura relativa all’argomento da indagare. In questo caso, gli autori hanno individuato studi precedenti, i quali suggeriscono che un ruolo importante sia ricoperto dai media nel trasmettere e nel fare pressione affinché le femmine del mondo occidentale aderiscano ad un ideale di donna “molto magra”.

Lo studio di Meier e Gray, basato sul precedente lavoro di Tiggerman e Miller, si è rivolto ad adolescenti di sesso femminile, di età compresa tra i 12 i 18 anni, dello stato di New York.

Sono state indagate diverse aree di interesse:

  •  Informazioni demografiche e l’indice di massa corporea (body mass index – BMI, Organizzazione Mondiale della Sanità)
  •  Il livello di interiorizzazione di un modello di persona magra;
  •  La tendenza a confrontare il proprio aspetto con quello degli altri;
  •  Il grado di soddisfazione relativamente al proprio peso corporeo;
  •  Il grado in cui il soggetto è alla ricerca di un certo livello di magrezza e ha paura di diventare grasso;
  •  L’auto-oggettivazione: quanto un proprio determinato attributo contribuisce o meno all’idea che hanno di loro stesse;
  •  Il tempo di utilizzo totale di internet e Facebook;
  •  L’esposizione della propria persona tramite l’uso dei servizi offerti da Facebook.

I risultati presentati hanno evidenziato un’importante differenza: il tempo dedicato ad internet o all’utilizzo di Facebook in tutte le sue declinazioni non è correlato con alcune dimensioni presenti nel Disturbo dell’immagine corporea (ad esempio l’auto-oggettivazione o la percezione alterata del proprio corpo) che possono invece riferirsi a grandi quantità di tempo dedicate all’attività fotografica su Facebook. Nello studio, gli utenti di Facebook erano soggetti ad auto-oggettivazione e confronto del proprio aspetto con quello degli altri, a differenza dei non-utenti. Tramite queste attività, gli individui si espongono a giudizi e valutazioni che hanno influenza sul proprio modo di percepirsi ed immaginarsi. Queste attività inoltre contribuiscono a creare un mondo virtuale che simula quello reale, nello scambio e nella conoscenza reciproche.

Lo studio presenta dei limiti relativamente al campione selezionato, il quale può essere considerato rappresentativo solo di un certo tipo di cultura. Nello studio del 2008 di Tiggerman e Miller si evidenziò una correlazione positiva tra il Disturbo dell’immagine corporea e il tempo d’uso totale di Facebook, cosa che non è stata dimostrata nello studio di Meier e Gray. Le differenze nei risultati delle due ricerche, inoltre, sono riconducibili ai diversi contesti culturali in cui esse sono state realizzate: quella di Tiggerman e Miller in Australia, mentre quella di Maier e Gray negli Stati Uniti. E’ quindi presente una forte variabile di contestuale, geografica e culturale; quanto e come sarà cambiato Facebook nei quattro anni che distanziano i due studi?

Viviamo in un contesto culturale in costante cambiamento, motivo per cui uno studio può essere preso come punto di partenza e non di arrivo per la ricerca odierna: anche gli autori suggeriscono studi longitudinali (ossia un tipo di studio in cui uno stesso gruppo di soggetti viene seguito in un arco di tempo, considerato più ricco di informazioni ma più dispendioso) ma sarebbe altrettanto importante affiancare studi che si interessino di indagare le differenze al fine di stabilire somiglianze o differenze nei risultati che potrebbero portare alla formulazione di nuove ipotesi.

In queste circostanze, questo studio indica la presenza di una relazione tra il Disturbo dell’Immagine Corporea e l’attività fotografica su Facebook, che deve però essere ulteriormente indagata. È importante tenere presente i cambiamenti del contesto in quanto risultano influenti sulle relazioni degli individui. E perché non auspicare ulteriori ricerche che possano definire o implementare le nostre conoscenze relativamente alle modificazioni avvenute? Compresi, anche, i nuovi strumenti di comunicazione (ad esempio, Facebook) con lo scopo di migliorare la prevenzione e l’identificazione di questi e altri disturbi.

Asia Sabatini

Bibliografia

American Psychiatric Association, (2013) Diagnotic and Statistical Manual of Mental Diseases fifth edition (DSM-5)

Meier, P. E., e Gray, J. PhD (2014), Facebook Photo Activity Associated with Body Image Disturbance in Adolescent Girls. Cyberpshycology, behaviour and social networking, Mary Ann Liebert, Inc.

Sitografia

The Guardian, http://www.theguardian.com/technology/2014/jan/22/facebook-princeton-researchers-infectious-disease

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