Quanto conosciamo la storia e le idee che uniscono questi due Paesi?
“Ormai nulla può spezzare i rapporti che si sono formati tra la Polonia e l’Italia, la prima che si solleverà tenderà le braccia all’altra” (Giuseppe Mazzini – 21 febbraio 1835)
Il 18 maggio 1944 la bandiera polacca sventolava sulle macerie dell’abbazia di Montecassino, poche ore dopo che il Secondo Corpo d’Armata polacco aveva aperto alle forze alleate la via per Roma, vincendo quella che viene tutt’oggi considerata, dopo Stalingrado, la battaglia più feroce e sanguinaria della Seconda Guerra Mondiale. Inglesi, francesi, americani, canadesi, neozelandesi, marocchini, tunisini, indiani e sudafricani avevano già provato a sferrare tre attacchi contro i soldati tedeschi che difendevano a pugni serrati la linea Gustav, cintura di fortificazioni che tagliava in due il ventre dell’Italia tra Lazio e Campania. Solo l’intervento del corpo di spedizione guidato dal generale Władysław Anders fu tuttavia vincente, e ciò permise di proseguire la riconquista della nostra penisola.
La storia iniziò alcuni anni prima, nel 1941, in una delle isole del famoso “Arcipelago Gulag” di Aleksandr Solženicyn in cui erano stati rinchiusi migliaia di prigionieri polacchi. L’inferno nel campo di lavoro sembrava non finire mai per Anders, abile comandante della Prima Guerra Mondiale, il quale, democratico, decise di non aderire all’Armata Rossa, decretando così la sua condanna e arresto. Tuttavia un evento fondamentale cambiò il destino tanto del generale quanto dell’intera Polonia: l’operazione Barbarossa. Il 22 giugno i tedeschi attaccavano la Russia, così che quest’ultima, su suggerimento di Churchill, proponeva ai prigionieri una sorta di “libertà condizionata”: fine della permanenza nel gulag a patto di combattere contro i tedeschi. In modo paradossale e beffardo, chi prima torturava e uccideva migliaia di polacchi ora chiedeva il loro aiuto sul campo di battaglia.
La possibilità di fuggire dall’orrore dei gulag spinse ad accettare la proposta e Anders, messo a capo del futuro corpo di spedizione polacco, ottenne con un’abile mossa di poter dislocare le truppe, con famiglie al seguito, per l’addestramento in Persia. Con coraggio 115 000 polacchi, di cui 75 000 soldati, si mossero in cerca della salvezza, grazie alla promessa del generale polacco di difendere i pozzi di petrolio inglesi durante la permanenza, ottenendo così il sostegno di Churchill.
Le truppe polacche si mossero poi in Iraq, Palestina e in Nord Africa, fino a quando giunse la convocazione per la campagna d’Italia. Quando Anders sbarcò in Puglia e risalì fino alla linea Gustav, la situazione era disastrosa. Gli alleati non riuscivano a procedere e avevano appena commesso un grave errore tattico: avevano bombardato l’abbazia di Montecassino, ritenendola fortino delle truppe tedesche. Il risultato era stato la morte di 300 civili ivi rifugiatesi e l’assestamento dei “diavoli verdi” – i paracadutisti tedeschi – lungo le rovine. Ai polacchi venne chiesto di provare a prendere la collina, impresa quasi impossibile. Però spinti da quell’amore per la libertà che li aveva sempre caratterizzati, una libertà che non avevano mai pienamente vissuto nella loro storia, accettarono. Questo popolo sapeva bene che cosa volesse dire combattere per liberare la propria nazione dall’oppressione straniera, e già in precedenza per più volte aveva aiutato gli italiani a conquistare la loro di libertà: durante le guerre di indipendenza, così come nella Grande Guerra, stringendo un rapporto di tacita fratellanza con la nostra nazione. Non a caso Italia e Polonia hanno l’eccezionale peculiarità di nominarsi a vicenda nei propri inni nazionali: “Già l’aquila d’Austria le penne ha per due, il sangue d’Italia, il sangue polacco, bevé col cosacco ma il cuor le bruciò” recita una strofa di Mameli; “Marcia, marcia Dabrowski dalla terra italiana alla Polonia. Sotto il tuo comando ci uniremo come popolo!” sembra rispondere da Reggio Emilia Józef Wybicki, autore dell’inno polacco.
La fine della storia la sappiamo: i polacchi vincono la battaglia, i tedeschi vengono sconfitti. Nonostante questo, l’episodio viene reso noto solo dopo il crollo del muro di Berlino. Dopo la battaglia il destino sembra prendersi ancora gioco di questo povero popolo: i 14 000 sopravvissuti dei 110 000 soldati partiti vennero venduti nuovamente all’URSS, così che la loro libertà divenne l’esilio, e la Polonia dovette attendere ancora a lungo, fino al 1989, per rendersi finalmente indipendente. Dopo 123 anni di spartizioni tra Russia, Austria e Prussia, sei anni di occupazione nazista e 44 anni di comunismo.
L’11 novembre in Polonia si festeggia l’indipendenza del Paese. Sebbene in questi ultimi anni le celebrazioni siano talvolta valvola di sfogo per le proteste di alcuni gruppi di estrema destra, ciò che non cambia è la memoria del passato. Così, in mezzo ai tanti volti commossi, ci sono sempre anche loro, alcuni fratelli italiani, per ricordare il comune intreccio nella storia, l’amore per la libertà.
“Non un dono debbono gli Italiani alla Polonia ma il pagamento di un debito santo della fraternità e dell’amore” (Colonnello Francesco Nullo, 1863, capo delle truppe garibaldine bergamasche)
Studentessa in Studi Internazionali presso l’Università di Trento.
Profilo personale qui.
Bibliografia
Szyszko-Bohusz Z. (1989), Saggio in Englert J. e Barbarski K. (1989), Generale Anders, Caldra House, Hove, Sussex, p.12-13.
Berberyusz E. (1992), Anders spieszony, ANEKS, Londyn.