Sempre più frequentemente quotidiani e telegiornali portano alla luce episodi di maltrattamento e violenza perpetrati a danno di soggetti fragili, all’interno di strutture educative e sociosanitarie pubbliche e private.
Si tratta di una situazione emergenziale di immane portata, di un vero e proprio allarme sociale, tale da portare all’insorgenza di molteplici iniziative popolari; tra queste, petizioni atte a chiedere l’installazione diffusa di sistemi di videosorveglianza. Ma le telecamere rappresentano un effettivo deterrente contro gli abusi?
Il fenomeno della violenza è diffuso e trasversale, snodandosi in maniera omogenea lungo tutto il territorio nazionale. Le vittime sono persone di tutte le età, uomini, donne e bambini accomunati da una sola condizione: l’essere soggetti deboli e svantaggiati. Ne consegue la sempre maggiore sfiducia e indisposizione dei familiari nei confronti di tutti gli operatori che gravitano all’interno delle strutture educative e sociosanitarie e diviene legittima la preoccupazione degli stessi per il proprio caro: “lo avrò lasciato in buone mani?”.
Questi eventi si configurano come un’autentica violazione dei diritti umani. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 sancisce, infatti, il diritto di ogni individuo alla vita, alla libertà e alla sicurezza (articolo 3) e definisce i maltrattamenti come «ogni forma di trattamento o pena crudele, disumana o degradante, ivi comprese le pene corporali, che privi l’individuo della sua integrità fisica e mentale» [articolo 5]. Sebbene a quasi settant’anni dalla sua pubblicazione la Dichiarazione rappresenti uno scenario utopico più che reale, adoperarsi per realizzarne le disposizioni e, in particolare, per prevenire ed eliminare ogni forma di maltrattamento è compito delle istituzioni così come di ciascun cittadino.
La risposta collettiva alla violenza fa leva sulla parte empatica, emotiva, irrazionale di ciascuno, alimentata da pregiudizi e disinformazione. La videosorveglianza rappresenta la risposta più immediata e, in tal senso, le telecamere possono costituire una soluzione parziale al problema. Le stesse, infatti, rassicurano i familiari in base all’auspicabile ma inesatta convinzione che se la violenza non si vede, la violenza non esiste.
I sistemi di videosorveglianza, inoltre, possono rappresentare un vantaggio anche per coloro i quali operano all’interno delle strutture. Telecamere predisposte all’interno dei locali di qualsivoglia struttura, sembrano aiutare il professionista in situazione di stress a tenere a mente il suo obiettivo, ristrutturando, conseguentemente, il proprio agire. Non di meno, gli stessi professionisti del lavoro sociale e sanitario sembrano trovare loro stessi riparo e tutela di fronte a questi dispositivi perché è bene non dimenticare che la violenza può perpetrarsi anche nella direzione opposta, ossia dall’utente nei confronti dell’operatore.
Di contro, ragionando secondo un’ottica più strettamente pedagogica, rispondere a quest’escalation di abusi mediante l’installazione diffusa di dispositivi di videosorveglianza, comporta implicazioni che necessitano di una più scrupolosa riflessione.
- La relazione educativa. Le telecamere mettono a repentaglio la qualità del rapporto educativo e la spontaneità che lo contraddistingue. Le stesse si sostituiscono alla relazione, al dialogo, alla fiducia e alla responsabilità di ciascuno, rendendo vana la finalità di ogni azione pedagogica e portando la stessa ad una configurazione meccanica e stereotipata, priva di umanità.
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La libertà. Come affermato da Antonello Soro, Presidente dell’Autorità garante per la privacy, è ingiusto comprimere la libertà di tutti per prevenire gli abusi di pochi.
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I luoghi. Se le telecamere rappresentassero la reale soluzione al problema dei maltrattamenti, allora andrebbero installate in tutti i luoghi dove la violenza ha più probabilità di verificarsi. Andrebbero predisposte pressoché ovunque: negli oratori, nelle stanze d’ospedale e di ogni struttura residenziale, in tutte le classi, all’interno delle palestre, per entrare anche e soprattutto laddove la violenza colpisce maggiormente: all’interno delle mura domestiche.
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Violenza che si trasforma. I sistemi di videosorveglianza appaiono come una scorciatoia tecnologica per risolvere problemi strutturalmente complessi. Possono certamente arginare il fenomeno, ma sino a che punto possono realmente risolverlo? Una metafora proveniente dal mondo clinico può aiutare a comprendere a che punto si situa l’azione di un dispositivo di sorveglianza. Parliamo, più precisamente, della differenza che intercorre tra prevenzione primaria e terziaria. Se la prevenzione primaria è finalizzata a evitare che una certa malattia insorga, incrementando – ad esempio – le difese dell’organismo, eliminandone i fattori causali e intervenendo sugli stati di rischio, la prevenzione terziaria -diversamente- si realizza nella riabilitazione e nella prevenzione delle recidive. In questo senso, dunque, la malattia non sarà debellata, quanto piuttosto saranno arginate le sue conseguenze. Sostituendo l’oggetto della definizione con il caso in esame, la soluzione “telecamera” apparterrà alla categoria delle azioni di prevenzione terziaria. Un soggetto violento rimarrà perciò intrinsecamente violento; continuerà ad esserlo in maniera latente o – così come affermato da Salomone – troverà un nuovo modo per continuare ad esserlo: «più ne mettiamo [telecamere], più la violenza si fa furba, modifica le proprie strategie, impara a muoversi nascondendosi, sviluppa la capacità di esprimersi in forme meno o per nulla riconoscibili. Vogliamo prevenire le violenze oppure che i violenti imparino a esserlo in modo più sottile?».
La videosorveglianza non sembra dunque essere strumento e condizione per porre rimedio a questa escalation di violenza. Essa rappresenta un supporto, un’eccezione, non certo una regola. Occorre abbandonare la superficie per calarsi più a fondo e comprendere da dove – e perché – questa violenza ha origine. Si tratta di rimettere in gioco tutti quei valori che, in quella che Bauman ha definito “società liquida”, sembrano essersi rarefatti: l’importanza dell’ascolto, del dialogo, della fiducia sociale; la necessità di formulare un nuovo modo di fare lavoro sociale e sociosanitario.
Se è vero che la risoluzione di questo problema può sembrare un’impresa lentissima – se non addirittura irrealizzabile – è pur vero che la stessa debba essere colta come stimolo per la realizzazione di progetti innovativi e per la ristrutturazione di un’organizzazione educativa e assistenziale che, mai più di ora, ha svelato le sue lacune e le sue criticità.
Bibliografia
Alfieri, S., Fattori, F. e Pozzi., (2012), Rilanciare i legami sociali, attivare partecipazione, promuovere cambiamento, Milano, EduCatt.
Sitografia
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani : http://www.ohchr.org/EN/UDHR/Documents/UDHR_Translations/itn.pdf
Pellegatta, R., “Le telecamere a scuola sostituiscono la fiducia col sospetto” in disal.it : http://www.disal.it/Objects/Pagina.asp?ID=22695
Salomone, I., “Punti ciechi” in igorsalomone.net : https://igorsalomone.net/2016/02/09/punti-ciechi/
Soro, A., “Telecamere contro le violenze” in garanteprivacy.it : http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/4846604
https://www.consilium.europa.eu/uedocs/cmsUpload/8590.it08.pdf
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