Violenza e donne: percorsi educativi per il diritto alla libertà

 

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Immagine realizzata da Tiziana Spinosi

Nelle Metamorfosi Ovidio narra di Dafne, figlia di Gea – la Madre Terra – e del dio fluviale Peneo. Il mito di Dafne introduce l’origine primaria di ogni forma di violenza nei confronti delle donne. Essa riguarda uno dei diritti umani fondamentali dell’essere umano, ossia la libertà di scegliere e di decidere della propria vita senza nessuna costrizione fisica o psicologica.

 Dafne è una ninfa bellissima, disincantata nei confronti della vita che ama la natura, la caccia e, soprattutto, ama sentirsi libera. Per sfuggire alle insistenti richieste amorose del dio Apollo, il quale desidera conquistare il suo cuore – pretendendo l’amore fisico e carnale – invoca aiuto agli dei. Gea, di fronte alla disperazione della figlia, inseguita da Apollo nei boschi adorati, accoglie la sua richiesta e la trasforma in una pianta di alloro sotto gli occhi sconcertati di Apollo.

Ogni giorno innumerevoli articoli evidenziano le continue violenze subite dalle donne. Si tratta di maltrattamenti fisici, verbali e violenze sessuali, fino ad arrivare ai delitti più atroci. Queste forme di abuso, che oggi vengono indicate con l’espressione “violenza di genere”, sono in continuo aumento. Le ultime statistiche denunciano cifre allarmanti: oltre 60 “femminicidi”, negli ultimi 8 mesi. La presa di coscienza di questo status della donna, le molteplici iniziative di sensibilizzazione e l’effettiva presenza sul territorio di centri antiviolenza, non sono stati sufficienti a ridurre il fenomeno.

Come intervenire allora?

Si rende necessario un impegno pedagogico volto a produrre un vero e proprio cambiamento culturale; una progettualità educativa che parta dal basso e che si rivolga in primo luogo all’infanzia, per orientare il bambino alla costruzione di un’identità responsabile e libera da ogni pregiudizio.

Al centro dell’intervento due principi pedagogici fondamentali:

  1. l’educazione delle emozioni;
  2. l’educazione alla differenza di genere.

In questo particolare contesto, l’educazione affettiva riguarda essenzialmente l’assunzione dell’impegno a costruire, da subito, un’identità capace di rispettare il modo di essere di ognuno. Questo processo avviene, innanzitutto, educando alla gestione del conflitto nella relazione tra pari. Se infatti il conflitto viene considerato come un problema da risolvere e non una “battaglia da vincere”, l’attenzione viene spostata sulle difficoltà e sui bisogni di ognuno. Il conflitto deve svolgersi in uno spazio educativo ben preciso; in un contesto protetto, infatti, è possibile dare un nome alle emozioni e conoscere i sentimenti, per comprendere che alcune forme dell’aggressività come la competizione, il dissenso, la rivalità, la sfida, possono essere vissute e gestite attraverso lo scambio comunicativo. Nel momento in cui la comunicazione tra pari si svolge apertamente e senza vincoli, attraverso il confronto democratico, veicolata dalla presenza di educatori esperti che riescono a contenere fiduciosamente i comportamenti e le azioni – espressioni legittime dei sentimenti – allora l’attenzione si concentra sui propri diritti e si acquista fiducia e libertà.

Riferendoci invece all’educazione al riconoscimento delle differenze di genere, recenti ricerche  hanno evidenziato che proprio nella mentalità dei più piccoli, nel loro modo di giocare, nella scelta dei giochi, dei colori e nel lavoro che essi desiderano per quando diventano grandi è riscontrabile una netta separazione dei ruoli tra maschio e femmina. La prospettiva pedagogica è quella di dare forma – educando alla libertà di scelta – ad una soggettività aperta al cambiamento, alla pluralità, alla differenza. Come si può affrontare questa sfida? Non è necessario programmare grandi imprese. Sono molti i progetti già avviati in numerose scuole dell’infanzia e primarie. In primo luogo è necessario mettere in discussione la rigida divisione delle mansioni e dei ruoli affidati tradizionalmente alle donne, coinvolgendo le famiglie e, soprattutto, i papà nelle attività quotidiane. Inoltre è possibile proporre alternative ai percorsi formativi che da sempre hanno esaltato il genere maschile, l’uomo e le sue imprese, spiegando con semplici parole che una donna può avere il diritto di scegliere un qualsiasi ruolo o lavoro, può avere il diritto di parlare ed esprimere la propria volontà senza minare, in alcun modo, la dignità del genere maschile.

A questo proposito, notevoli passi avanti sono stati fatti con il progetto Polite. Il progetto Polite è un codice di autoregolazione realizzato e promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Dipartimento per le Pari Opportunità, che ha l’obiettivo di riqualificare i materiali didattici ponendo l’attenzione sull’identità di genere. Attraverso questa iniziativa i bambini non soltanto ascoltano favole che hanno come protagonisti personaggi femminili, ma imparano che, accanto ai più illustri personaggi maschili, ci sono anche scienziate, scrittrici, donne che hanno salvato vite umane, che hanno vinto premi Nobel: donne che hanno, in pratica, contribuito a cambiare il mondo. Ripercorrendo la storia  ritroviamo alcuni esempi: Giovanna d’Arco ha guidato le truppe in battaglia, Amelia Earhart è stata la prima donna ad attraversare in volo gli Stati Uniti, Marie Curie ha vinto il nobel per la fisica e per la chimica,  Mata Hari era danzatrice e agente segreto olandese.

Fin dall’antichità la donna ha vissuto in una condizione di inferiorità e diversità. Influenze sociali e ambientali hanno creato pregiudizi nei confronti della donna, considerata come un essere incapace di ragionare, dominata dall’Eros, dall’espansività dei sentimenti. All’opposto invece l’uomo, il logos, la razionalità, l’autorevolezza. Ciò che emerge da questa visione duale è il costituirsi di un modello che giudica la donna come una persona priva di una propria identità, relegata in casa ad occuparsi della cura dei figli, della famiglia e delle faccende domestiche. Pochi diritti e troppi doveri hanno costruito un’eredità culturale stereotipata, difficile da superare, che si tramanda da sempre attraverso consolidati modelli educativi e che, ancora oggi, è radicata in tutti gli strati sociali. La “violenza di genere” si nasconde proprio in questa eredità. Un’eredità che bisogna modificare, attraverso una progettualità pedagogica che si rivolga, in primo luogo, ai bambini e che ponga al centro la diversità, il rispetto per le differenze e la libertà di ognuno di esprimere il proprio io.

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Angela Pellino

Info

 

 

 

Bibliografia 

Cambi, F. (a cura di), (1998), Nel conflitto dell’emozioni,  Roma, Armando Editore

Giallongo, A. (2008), Frammenti di genere, Tra storia ed educazione, Milano, Guerini Scientifica

Fregona, R. e Quaranti, C., (2011), Maschi contro femmine? Giochi e attività per educare bambini e bambine oltre gli stereotipi, Trento, Edizioni Erickon

Ulivieri S. (a cura di), (2007), Educazione al femminile, Una storia da scoprire, Milano, Guerini Scientifica

Sitografia

www.istat.it›archivio

www.repubblica.it›2015/11/25›news

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