Il diritto di voto rappresenta, nell’immaginario collettivo, l’emblema delle battaglie compiute per garantire l’uguaglianza dei cittadini.
In Italia, nel 1861 era accordato per sesso, per censo e per età e dunque solo ai cittadini di sesso maschile, con condizione economica privilegiata e che avessero compiuto 25 anni. Vent’anni dopo, il diritto all’elettorato attivo (ossia ad eleggere i propri rappresentanti) fu abbassato a 21 anni. Parliamo ovviamente solo degli uomini. Le donne dovranno attendere ancora, “solo” il nuovo secolo.
Solo dal 1945 (per legge) e dal 1946 (in pratica), in Italia possiamo vantare un suffragio universale: uomini e donne, di qualsiasi rango sociale, che abbiano compiuto 18 anni, possono partecipare alle consultazioni elettorali. La nostra costituzione all’art. 48 prevede infatti che “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.”
Senza addentrarci in una digressione sulla storia del diritto di voto nel nostro Paese, il nostro intento è provare ad osservare la questione del diritto-dovere di voto dal punto di vista di coloro che, pur volendo recarsi alle urne ne sono impossibilitati per motivi di lavoro o di studio.
Il problema è quanto meno attuale se consideriamo l’imminente referendum costituzionale, che avrà luogo il 4 dicembre.
La nostra Costituzione ha in parte risolto il problema dell’esercizio di voto per i cittadini italiani residenti all’estero con l’introduzione, tramite legge costituzionale n. 1 del 2000, di un comma all’art. 48 statuente: “La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione estero per l’elezione delle Camere”. Il Ministero dell’Interno, sul suo sito, chiarisce che i seggi assegnati ai rappresentanti eletti dai cittadini italiani residenti all’estero sono dodici per la Camera dei Deputati e sei per il Senato: questi vanno detratti dal numero complessivo di quelli assegnati ai due rami del Parlamento. La legge n. 459 del 2001 disciplina l’esercizio del suddetto diritto, prevedendo che esso si estenda anche alle ipotesi di referendum costituzionale e abrogativo. I cittadini italiani all’estero potranno votare per corrispondenza, senza necessariamente tornare nel nostro Paese, sempre che nei paesi di residenza sia garantito l’esercizio del diritto alle stesse condizioni dell’Italia (segretezza, eguaglianza e libertà).
Con legge del 2015, per la prima volta hanno potuto partecipare alle consultazioni referendarie del 2016 relative alle trivelle anche i cittadini italiani presenti temporaneamente all’estero per un periodo di almeno tre mesi, per motivi di lavoro, studio o cure mediche e con loro anche i rispettivi familiari conviventi.
Dunque anche alla prossima consultazione referendaria del 4 dicembre i nostri connazionali all’estero (tra i quali numerosi studenti in Erasmus) potranno esprimere la propria preferenza qualora abbiano comunicato entro l’8 ottobre l’intenzione di votare facendo pervenire al proprio comune di residenza un modulo reperibile qui sul sito del Ministro degli Esteri, corredato di tutti i documenti necessari.
È importante far notare che tale normativa NON si applica in caso di elezioni amministrative. In questa circostanza i comuni invieranno ai nostri connazionali all’estero delle cartoline che indicheranno la data della votazione, ma per votare non avranno altra alternativa che tornare in patria.
La questione è ancora più spinosa per coloro che in teoria sono meno lontani: si trovano sempre nel bel paese ma in una città diversa da quella nelle cui liste elettorali sono iscritti e nelle quali dovrebbero quindi recarsi a votare.
Ad oggi non esiste una normativa che permetta di votare al di fuori del proprio comune di residenza. L’unica soluzione è tornare alle proprie case. Lo dice a chiare lettere il sito del ministero dell’interno alla sezione relativa alle domande frequenti.
Il Governo, tramite il Ministero dell’Interno, si limita a predisporre un piano di agevolazioni per tutti coloro che si trovano distanti dal luogo deputato ad esercitare il diritto di voto, siano essi residenti all’estero o meno. Per i voli le riduzioni sono del 40% circa, per i trasporti marittimi e ferroviari, oscillano tra il 60%-70% dietro esibizione di un documento di riconoscimento e della tessera elettorale o di un certificato equivalente recante il timbro del seggio, (quest’ultima è una condizione richiesta per l’esenzione sul viaggio di ritorno), altre riduzioni riguardano le tratte autostradali. Purtroppo però, in base alla distanza del luogo di destinazione e ai mezzi necessari per giungervi e alle condizioni di salute, alcuni studenti, tirocinanti, lavoratori, pazienti, risultano più svantaggiati.
Il problema dunque persiste e non si tratta solo di una questione economica, pertanto non liquidabile solo con un piano di sconti più o meno efficiente.
L’ultimo dato del MIUR relativo all’anno accademico 2015/2016 dimostra come le percentuali di mobilità studentesca restino alte, nonostante la maggior parte degli studenti scelga di restare nella propria regione. La mobilità in uscita caratterizza maggiormente i diplomati del Sud e delle Isole, dove circa uno studente su quattro sceglie di immatricolarsi in atenei del Centro o del Nord Italia. Studiare fuori sede è oneroso e talvolta necessario per costruirsi un futuro che in terra propria è negato, lo spostamento è altrettanto dispendioso.
Per i lavoratori sorgono ulteriori problemi per le necessità e le condizioni di lavoro alle quali sono stati assunti, spesso precarie, che non permettono di poter rientrare a casa a proprio piacimento.
La situazione è altrettanto disagevole per le persone in stato di degenza presso una struttura ubicata in un comune diverso da quello nelle cui liste elettorali sono iscritti: a tali condizioni non è possibile avvalersi del voto presso la struttura ospitante.
Il numero di migrazioni interne e l’alto tasso di astensionismo, in particolare durante le consultazioni referendarie, dovrebbero spingere la politica ad una riflessione.
Se, citando la Costituzione, “il voto è eguale, libero” e “il suo esercizio è un dovere civico”, ogni cittadino dovrebbe essere messo nelle condizioni di poterlo esercitare. Nel 2016, invece, ancora non si è risolto definitivamente un problema di proporzioni sempre maggiori. Intanto in rete si trovano alcuni espedienti (come quello di farsi nominare rappresentante di lista in un seggio della città in cui ci si troverà il giorno delle elezioni per poter votare in quel seggio stesso) che mortificano le lotte compiute per il riconoscimento del diritto e la dignità di molti cittadini italiani, prima costretti o quanto meno disincentivati a restare nella propria terra natia e poi privati del diritto alla formazione, allo studio, al lavoro e alla salute al cui danno si aggiunge la beffa di non poter votare per provare a cambiare una situazione che li rende stranieri nel proprio stato.
In questa situazione ritorna alla mente il pensiero dello scrittore Mark Twain per il quale “Se votare facesse qualche differenza non ce lo lascerebbero fare” nonché il più celebre, in quanto nostrano, antico adagio “a pensar male ci si prende sempre”. Tali riferimenti sembreranno azzardati, critici, polemici, datati, invece ambiscono solo ad esser costruttivamente provocatori perché quanto mai attuali e pertinenti.
Miriam Casillo
Sitografia
http://www.camera.it/parlam/leggi/00001lc.htm
http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2001;459
http://elezioni.interno.it/faq.html
http://www.istruzione.it/allegati/2016/Immatricolazioni2015-16.pdf pag. 8 e grafico pag 17
come votare fuori sede http://linkcoordinamentouniversitario.it/voto-fuorisede-al-referendum-del-17-aprile-come-fare/