Nonostante Carlton Douglas Ridhenour, front man dei Public Enemy e in arte Chuck D, sia considerato uno dei più grandi attivisti per i diritti LGBTQ (Lesbian, Gay, Bisex, Transgender, Queer), nel 2010 in un’intervista andata in onda (e poi cancellata) su un canale televisivo sudafricano, tuonava così: «there’s a not a word in any african languages which describes homosexual. If you want to take me up on that, then you find me, in the original languages of Africa, a word for homosexual, lesbian or prostitute. There are no such words. They didn’t exist»1.
Le parole di Chuck D sono purtroppo il simbolo di un’idea che tuttora persiste in gran parte del continente africano: per molti l’omosessualità non avrebbe origini africane. Questa è, infatti, vista come un prodotto e un male importato dall’Occidente durante il periodo coloniale. La percezione generale che si ha della sessualità è sempre legata all’eterosessualità, il che rende l’omosessualità non africana e contro natura. Pressante e famoso è lo slogan Homosexuality is UN-African ed è consuetudine considerare l’eterosessualità come “normale” e ritenere tutto ciò che è oltre questa categoria come “deviante” (cfr. Collins, 2005:37).
La maggior parte dei leader politici nega l’esistenza dell’omosessualità nelle società africane; essi percepiscono l’omosessualità come una sfida alle norme di genere, un comportamento che mina l’ordine sociale tradizionale e un’imposizione della cultura occidentale sulla cultura africana. Tra i più convinti e ferventi sostenitori di questa tesi troviamo il Presidente, attualmente in carica, dello Zimbabwe Robert Gabriel Mugabe, il quale, più volte in uscite pubbliche, ha indicato l’omosessualità come un elemento non tradizionale e non africano. Sulla scia di Mugabe anche Sam Nujoma, ex presidente della Namibia, ma soprattutto Yoweri Kaguta Museveni, l’attuale presidente dell’Uganda che, oltre a rinnegare l’omosessualità nella storia e nella cultura africana, nel 2014 ha promulgato una legge anti gay indicando l’ergastolo come pena per chiunque non abbia rapporti conformi alle norme eterosessuali, essendo convinto che l’omosessualità abbia gravi conseguenze sulla salute fisica e psichica delle persone e causi epidemie di HIV/AIDS.
L’idea della non africanità dell’omosessualità è da far risalire ai periodi dei governi coloniali e post colonialisti, oltreché all’influenza di altri fattori come il Cristianesimo e il Patriarcato. Secondo Stephen O. Murray e Will Roscoe «il colonialista non ha introdotto l’omosessualità in Africa, ma piuttosto l’insofferenza a questa» [Murray e Roscoe, 1998:XVI]. A sostegno di quest’argomentazione, i due antropologi descrivono molte pratiche rituali che confermano come e quanto i comportamenti omosessuali non erano insoliti nelle società africane. In Sudafrica ad esempio, i mariti di sesso femminile sono noti tra i Sotho, i Lovedu, i Koni e gli Zulu. Tra i Lovedu in particolare, alla Regina è proibito avere un marito uomo, ma è obbligata ad avere una moglie donna (cfr. Murray e Roscoe, 1998). In Africa, ancora oggi, sono molti i casi di matrimoni tra uomini, non conformi a logiche eteronormative, così come sono tante le tipologie e gli esempi di famiglia (intesa come struttura parentale) che si discostano dal modello nucleare, spesso considerato, a torto, come unico e naturale.
Tuttavia, come a confermare le parole di Chuck D, nella maggioranza dei Paesi africani, oltreché a non accettare l’omosessualità, mancano completamente dei discorsi pubblici sull’argomento, consolidando così l’idea che questa parola non appartenga a linguaggi locali. Gli studi di Ruth Morgan e Saskia Wieringa dimostrano, infatti, che, nonostante il concetto di omosessualità esista, rimane però, soprattutto dal punto di vista linguistico, ancora un argomento tabu. La causa di questa tabuizzazione linguistica è da attribuire, per questi studiosi, all’ungherese Bankert von Kertbeny, che inventò il concetto di omosessualità nel 1869 guadagnando popolarità solo in Europa, attraverso l’opera di Havelock Ellis tra il 1880 e il 1890, perché questa non fu mai diffusa nel continente africano (cfr. Morgan e Wieringa, 2005).
Detto ciò è facile comprendere come, sia per un uomo sia per una donna, il dichiararsi omosessuale, in società eterosessiste e omofobiche, significhi necessariamente porsi in una posizione minoritaria, spesso debole ed emarginata. Il processo di coming out è spesso sinonimo di privazione della possibilità di emanciparsi, piuttosto che a uno strumento in grado di rendere liberi e affrancati da logiche eteronormative. L’idea del coming out come forma di dominio potrebbe trovare le sue origini nel pensiero di Michel Foucault, secondo il quale la sessualità non è sempre stata oggetto di discussione, così come la conosciamo e intendiamo noi oggi. Nei secoli XVII e XVIII la sfera del sesso divenne oggetto della volontà di sapere e della pratica confessionale, sorte con il domino dalle istituzioni religiose prima, e secolari poi. L’autore francese ha mostrato come le categorie di eterosessuale e omosessuale siano state un prodotto di questa volontà di sapere. Fine ultimo di questa categorizzazione è il potere.
Si cercava dunque, di rendere noto un fenomeno, per dominarlo più facilmente. Nell’analisi foucaultiana la confessione cattolica è un meccanismo del potere e del controllo della sessualità, dei corpi, delle coscienze e delle menti. Tramite questa pratica, una persona era costretta a confessare con solennità ciò che era più fastidioso da rivelare, e ciò che lo rendeva nudo e impotente davanti alle istituzioni. La confessione per Foucault, puntava quindi a essere uno strumento di potere e un processo rivelatore delle verità, solitamente tenute nascoste, che invece la società ha bisogno di rendere palesi. Da questo impossessarsi della verità circa le abitudini sessuali dei cittadini, da parte della Chiesa o dello Stato, sarebbero nati, per Foucault, i razzismi (cfr. Foucault, 1978).
Facendo un esercizio di decontestualizzazione e riadattamento della teoria foucaultiana, è lecito pensare che in una società eterosessista, il coming out possa sortire gli stessi effetti della confessione di cui parlava Foucault. Per una persona omosessuale in Africa spesso, fare coming out significa piegarsi a una volontà di sapere, significa rivelare gli aspetti personali e cedere alle etichette di riconoscimento. I processi di etichettamento2 tendono ad assumere le forme di un assoggettamento, causando molti problemi di rappresentazione sociale e auto-rappresentazione del soggetto coinvolto.
Per Judith Butler, principale esponente del movimento queer, il coming out è paradossalmente un’azione controproducente, poiché costringe una persona a porsi in una categoria di identità già stabilita. Secondo la studiosa americana, infatti, «l’azione di coming out tende a rafforzare la regolamentazione delle categorie sessuali, essenzializzandole e rendendole quindi fisse e ascritte» [Butler, 1990:66]. Ѐ proprio in questo racchiudere le persone omosessuali all’interno di categorie ben note e riconoscibili che in Africa si fondano i discorsi omofobici.
Restando sui binari tracciati da Foucault e Butler possiamo quindi immaginare il ruolo e l’importanza della scelta non dichiararsi pubblicamente omosessuale. In Africa, questa scelta è per molti attori sociali un’arma di difesa per non finire intrappolate in categorie, non molto diverse da quelle legate alla volontà di sapere.
Per concludere potremmo dire che il discorso dell’omofobia come non africana sembra combaciare completamente con quello del coming out. Considerando infatti, 1) gli effetti negativi del coming out in molte società africane, 2) la difficoltà di molte persone nell’impegnarsi in questo processo di auto-identificazione e 3) le origini occidentali del termine, possiamo ritenere questo, così come ipotizzato da Morgan e Wieringa per l’omofobia , un prodotto dell’occidente estraneo alle culture delle società africane (cfr. Morgan e Wieringa, 2005); e azzardando una licenza poetica, si potrebbe stravolgere l’equazione homosexuality is UN-African, in coming out is UN-African.
1 “In qualunque lingua africana, non esiste alcuna parola che descrive una persona omosessuale”.
2 Su questo argomento può interessare anche “Il colore del sesso” di Anna Giulia Macchiarelli.
Bibliografia
Butler, J., Gender trouble: feminism and the subversion of identity, London, Routledge, 1990
Foucault, M., Storia della sessualità, Volume 1. La volontà di sapere, Milano, Feltrinelli, 1978
Hill Collins, P., Black sexual politics: African Americans, Gender and the new racism, New York, Rutledge Publishing, 2005
Morgan, R. e Wieringa, S., Tommy boys, lesbian men and ancestral wives: female same sex practice in Africa, Johannesburg, Jacana, 2005
Murray, S., O. e Roscoe, W., Boy-Wives and Female Husbands: Studies in African homosexuality, New York, Palgrave, 1998
Sitografia
Articolo di Repubblica : http://www.repubblica.it/esteri/2014/02/24/news/uganda_presidente_firma_legge_contro_gay_ergastolo-79507723/