La spettacolarizzazione dell’infanzia: bambini, piccole “star” a tutti i costi

 

Il mito del successo ad ogni costo, insieme ad uno sfrenato individualismo, sono i valori sociali che si stanno espandendo sempre con più intensità nella nostra società. Di riflesso, anche nel micro-cosmo delle famiglie contemporanee sta prendendo piede sempre tra più genitori la voglia, o per meglio dire, la “corsa al figlio di successo”: secondo le statistiche, in Italia circa il 70% dei bambini e ancor più, bambine (l’85%) subiscono le aspettative legate al successo che i loro genitori vogliono per loro (cfr. Postman,1991); in linea con lo spirito dei tempi che decreta la competizione come cifra stilistica in ogni ambito dell’esistenza dell’uomo da cui nemmeno l’infanzia difatti ne è immune. Il mito del successo a tutti costi è assolutamente deleterio dal punto di vista educativo: i bambini di oggi vengono molto spesso sovraccaricati di attività (corsi di inglese, canto, recitazione, ginnastica artistica etc.) improntate non alla collaborazione, alla crescita personale, al divertimento, ma più che altro a fine del successo della performance, al risultato perfetto e alla competizione arrivista per sentirsi “i migliori”.

Non solo questo modus-operandi nell’educazione dei figli è anti-pedagogico, ma può comportare notevoli rischi per l’infanzia. Quello maggiore è che, per assecondare i desideri genitoriali di avere figli “campioni” o piccole “star” esposte su palcoscenici televisivi o sul gradino più altro del podio, ai bambini venga “rubata” la loro infanzia: bimbi che non vengono lasciati liberi di gestire il loro tempo e i loro spazi adatti alla loro età, bambini a cui è vietato giocare a calcio al solo scopo di divertirsi e lasciarsi andare, che non vengono lasciati liberi di sbagliare, di sdraiarsi in giardino a guardare le nuvole. Si tratta soprattutto di bambini che non vengono lasciati liberi di considerare o sperimentare l’insuccesso e la sconfitta, senza sentirsi gravemente in colpa, sbagliati per aver disatteso le aspettative genitoriali. Si pensi semplicemente ai bambini che devono eccellere nel violino, essere titolari in tutte le partite di calcio e pallavolo, le bambine che già a 10 anni sanno come agghindarsi per raggiungere una preconfezionata immagine di “bellezza”: e se non fosse loro desiderio e oltre a questi obiettivi ci fosse dell’altro?

Conseguenza diretta di tutto ciò è l’esposizione di questi corpi bambini (cfr. Contini e Demozzi, 2016) ai riflettori, esposti come dei veri e propri trofei sui palcoscenici della vita, se non già dello show business della moda: bambini e bambine “adultizzati”, che si atteggiano a piccole vamp nei concorsi di bellezza, che ammiccano alle telecamere con un anelito di sicurezza costruita nei talent.
Sono bimbi che diventano presto piccoli adulti, intrappolati nello sguardo altrui per poter esistere e trasformarsi in oggetti di seduzione, sovraccaricati di stress, ansie dell’apparire, che inseguono un mito indotto della perfezione a tutti i costi.
Bambini con crisi nervose ed emotive che probabilmente cresceranno con un’idea distorta del mondo e con uno spiccato analfabetismo emozionale (ovvero con l’incapacità di riconoscere/esprimere le proprie emozioni) (cfr. Demozzi, 2016).

C’è da chiedersi: perché i genitori danno felicemente alla mercé dello show business i loro figli educandoli ai valori arrivisti del successo a tutti i costi?

Le risposte possono essere essenzialmente due:

  1. Lo smarrimento del “sentimento di infanzia”: ovvero, i genitori non sono stati educati/non hanno avuto gli strumenti da piccoli di vivere loro stessi un’infanzia serena (emotivamente o economicamente) per negligenza o disinteresse. Non potendo sperimentare su di essi cosa significa “essere bambini”, non avendo sviluppato un vero e proprio sentimento riguardo all’infanzia, non riescono a vedere nemmeno quella dei loro figli: la percepiscono come una sorta di preparazione all’età adulta, nulla più.
  2. L’insoddisfazione genitoriale: ovvero, i genitori, più o meno inconsapevolmente, tendono a proiettare le loro aspettative, i loro desideri irrisolti sui propri figli, il più delle volte senza assicurarsi di ascoltare la loro voce e i loro desideri. Anzi: credendo di agire per il loro bene.

Pertanto, il rischio più grave è che l’infanzia scompaia in favore dei desideri e delle rappresentazioni dei genitori, generando nei bambini ansia da prestazione e blocchi di identità, come conseguenza di non aver sfruttato fino in fondo il tempo dell’esplorazione, assumendosi impegni gravosi troppo presto, poiché ciò che faranno non sembrerà mai essere sufficiente per compiacere i desideri degli adulti. (cfr. Formenti, 2014)

Un estremo esempio di questo fenomeno, di cui già si faceva cenno, sono proprio i concorsi di bellezza per ragazzine, anche molto piccole: in questi ambienti la spettacolarizzazione dell’infanzia può prendere (e il più delle volte succede) le sembianze di una vera e propria violenza psicologica a cui le bambine sono sottoposte. Educate sin da piccole ad una folle cura del corpo, ad una competizione basata sull’estetica e l’apparenza, istigate dalle loro madri ad eccellere a tutti i costi per risultare “più appetibili” ai giurati. Vere e proprie piccole adulte in miniatura, sottoposte a livelli di stress e ansia incredibili da genitori, maestri di ballo e di recitazione che, anziché svolgere un’azione di tutela, contribuiscono a rubare la loro infanzia.
Sebbene in Italia ad oggi non vi siano realtà così estremizzate, come ad esempio avviene negli Stai Uniti (in cui la partecipazione a concorsi di bellezza per bambine è una pratica ormai consolidata e accettata giuridicamente e socialmente, basti pensare al programma TV “Little miss America” in onda su RealTime), il mito del “bambino prodigio” che si esibisce negli show del sabato sera si è diffuso anche qui: bambini e bambine, valutati e giudicati per la loro capacità di riprodurre qualità e fascino di artisti rodati, resi telegenici come piccole star al prezzo della loro infanzia e della loro individualità.

Perché «chiedere ai bambini e alle bambine di essere ciò che non sono, ovvero trasformarli in piccoli adulti, è come chiedere di salire su uno sgabello troppo alto per loro, limitandosi ad osservare dall’esterno i tentativi goffi e ostinati che i bambini fanno per arrivare in cima» [Contini e Demozzi, 2016].

Vogliamo davvero rischiare che i bambini perdano la libertà di essere semplicemente bambini?

Ylenia Parma

Info

 

 

Bibliografia

L. Formenti, (2014), Sguardi di Famiglia. Tra ricerca Pedagogica e pratiche educative, Guerini Scientifica

M. Contini, S. Demozzi, (2016), Corpi Bambini. Sprechi d’infanzie, Franco Angeli

N. Postman, (1991), La scomparsa dell’infanzia. Ecologia delle età della vita, Armando 

S. Demozzi,  (2016), L’infanzia “inattuale”. Perché le bambine e i bambini hanno diritto al rispetto, Ed. Junior 

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