Aldrovandi, Bianzino, Cucchi e altri: sono Stato io?

 

Immagine di Alessandra Sirtori

 

“Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte, mi cercarono l’anima a forza di botte” – F. De André

Ogni anno, nelle carceri italiane, 60 detenuti si tolgono la vita. Un sacchetto in testa, una striscia di lenzuolo o di jeans stretta al collo, un taglio in gola o alle vene dei polsi.

Eppure, ogni anno, succede anche che l’amministrazione penitenziaria archivia come suicidi alcuni casi di morte dubbia. Perché in Italia i “morti suicidi” hanno “occhi pesti, orecchini strappati, costole rotte, organi interni spappolati, lividi ed ematomi”(Custodero, 2015).

La punta dell’iceberg

L’art. 3 della Costituzione italiana recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”. Un principio che vale anche per il detenuto lungo tutta l’esecuzione della pena, pur senza negare il suo carattere afflittivo indefettibile (Corte Cost. 313/1990).

La dignità, parafrasando Kant, è valore senza prezzo e come tale non negoziabile. La restrizione della libertà – come chiarito dal Consiglio d’Europa – non deve mai giustificare la negazione dei diritti fondamentali dell’uomo,quali uguaglianza, identità e integrità psicofisica, diritto di salute.

L’Italia, specie a causa del sovraffollamento carcerario, ha ricevuto numerose condanne dalla Corte di Strasburgo per trattamenti inumani e degradanti: famosa è la sentenza Torreggiani e altri in cui i sette ricorrenti, detenuti nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, lamentavano di aver occupato celle di nove metri quadrati, ognuno con altri due detenuti. Da allora molto è stato fatto, ma il problema del sovraffollamento è solo la punta dell’iceberg.

Secondo l’Osservatorio Permanente sulle morti in carcere, il tasso è di 1 suicidio ogni 1000 detenuti, con una frequenza 20 volte superiore rispetto alla normalità. Inoltre, il 40% delle morti annuali che si registrano nel sistema penitenziario italiano avviene in circostanze ambigue: detenuti suicidi in procinto di scontare la pena o di pentirsi oppure impiccati ad una trave posta al di sotto della loro altezza. Si registrano anche casi di detenuti suicidi che avrebbero dovuto testimoniare contro agenti accusati di violenze ed abusi sessuali. È il caso di Carlo Saturno che fu trovato impiccato nella sua cella poco prima di rendere testimonianza contro alcuni agenti del carcere minorile di Lecce a causa delle presunte violenze subite dallo stesso e da altri detenuti.

Il giurista Giovanni Maria Flick ha analizzato l’attuale situazione carceraria individuando alcune criticità: “l’assenza di circuiti penitenziari differenziati, la promiscuità fra imputati e condannati definitivi, le condizioni e l’inadeguatezza delle strutture”. La collettività è stata ormai educata all’esclusione del diverso in nome del bisogno di sicurezza (il più delle volte oggetto di strumentalizzazione mediatica).

Il volto violento del carcere

Guardare, fino in fondo, il“volto violento del carcere”: è questo l’invito del compianto magistrato Alessandro Margara. Una violenza, questa, che ha il volto delle sue vittime: Aldo Bianzino, Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi e tanti altri. Volti di padri, figli, fratelli scaraventati in un sistema di ingiustizia e omertà.

Il diciottenne Federico Aldrovandi in carcere non ci è mai arrivato: pestato violentemente, è morto la notte del 25 settembre 2005 per asfissia causata dal prolungato schiacciamento del torace contro l’asfalto. Condannati per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi, i quattro poliziotti hanno goduto dell’indulto scontando sei mesi di detenzione.

Aldo Bianzino, 44 anni, il 12 ottobre 2007 venne arrestato per la coltivazione di alcune piante di marijuana ad uso personale. Morì in carcere due giorni dopo, presentando gravi traumi a fegato, milza, costole e cervello. Dopo la doppia archiviazione del processo per omicidio volontario, nel 2015 la Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un agente penitenziario ad un anno di reclusione per omissione di soccorso.

Stefano Cucchi, il 15 ottobre 2009, venne arrestato per possesso di sostanze stupefacenti. Morì il successivo 22 ottobre all’ospedale Pertini di Roma. Dopo l’assoluzione di medici e agenti penitenziari, con la recente chiusura delle indagini arrivano nuove accuse di omicidio preterintenzionale, calunnia e falso a carico dei carabinieri che lo avevano tratto in arresto.

La cella liscia

Numerose le testimonianze di detenuti e agenti penitenziari ligi al dovere. Le denunce degli abusi subiti sono in crescita. Claudio Renne e Andrea Cirino, ex detenuti del carcere di Asti, parlano di quella che, nel gergo carcerario, è conosciuta come cella liscia. Un luogo di tortura privo di brande, finestre, maniglie e sanitari, in cui il detenuto viene denudato e rinchiuso per alcune ore, giorni o addirittura settimane subendo pestaggi continui e vessazione psicologica tramite la tecnica della privazione del sonno.

Con sentenza n. 78 del 2012, il Tribunale di Asti ha dichiarato: “I fatti in esame potrebbero essere agevolmente qualificati come tortura”. Tuttavia, mancando ancora in Italia tale reato, i magistrati hanno dovuto qualificarli come reati lievi.

Quali soluzioni?

Il carcere non va visto come discarica sociale” (Flick, 2012), ma come punto di partenza. La pena va umanizzata: la sua essenza, a norma dell’art. 27 Cost., risiede nella rieducazione del reo in vista del suo graduale reinserimento in società. A tal fine, la L. 354/1975 (Norme sull’ordinamento penitenziario) prevede una serie di rimedi:

  • Misure alternative alla detenzione (arresto domiciliare, semilibertà, ecc..);
  • Permessi premio (con speciale attenzione ai minorenni);
  • Liberazione anticipata;
  • Attività lavorative e di volontariato, intra ed extra murarie;
  • Affidamento terapeutico del tossicodipendente e dell’alcoldipendente.

Un’applicazione più incisiva di tali rimedi, tuttavia, non basterebbe se non accompagnata da una valida azione di istituzioni e magistratura volta ad abbattere il muro d’omertà che protegge forze dell’ordine, direttori penitenziari, educatori, psicologi e medici. L’ex secondino Andrea Fruncillo ha dichiarato: “La violenza e l’omertà sono la regola dentro una prigione”.

Gli agenti di custodia, dal canto loro, richiedono un sostegno psicologico concreto che consenta loro di affrontare al meglio il logorante ambiente carcerario. Difatti, non bisogna sottovalutare che ogni anno si suicidano ben 10 agenti penitenziari, secondo una frequenza tra le più elevate tra le Forze dell’Ordine.

Situazioni di stress dettate da condizioni personali e lavorative, conflitti che possono nascere con superiori, colleghi e detenuti ed il mancato sostegno e riconoscimento sociale: tutti elementi questi che possono mettere a dura prova anche chi è particolarmente ligio al suo dovere e spesso concorrere a scatenare l’atto suicida.

Del resto, per le unità della Polizia di Stato che indagano sulla pedopornografia sono già previsti controlli e sostegni psicologici periodici a fronte del rischio disagio cui sono giornalmente esposti.

“Il detenuto è come un figlio da educare” – A. Mannarino

Veronica Pagano

Info

 

 

 

Giurisprudenza di riferimento

Corte Cost., sent. 02 luglio 1990, n. 313

Corte EDU, Sez. II, sent. 8 gennaio 2013, Torreggiani e altri c. Italia

Trib. Pen. Asti, sent.30 gennaio 2012, n. 78

Normativa di riferimento

Artt. 3 e 27 Cost.

L. 26 luglio 1975 n. 354 – Norme sull’ordinamento penitenziario

Bibliografia

AA. VV. (2015). Sovraffollamento carcerario e diritti dei detenuti: le recenti riforme in materia di esecuzione della pena. (a cura di) F. Caprioli, & L. Scomparin, Torino: G. Giappichelli Editore.

Sitografia

Repubblica.it. Quelle strane morti dietro le sbarre. Custodero, A., 27 luglio 2015: http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2015/07/27/news/suicidi_in_carcere-119196511

Osservatorio Permanente sulle morti in carcere. (2013). Ogni anno 60 detenuti e 10 poliziotti penitenziari si tolgono la vita: http://www.ilsole24ore.com/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/ILSOLE24ORE/Online/_Oggetti_Correlati/Documenti/Notizie/2013/12/Osservatorio-permanente-morti-carcere.pdf

Flick, G. M. (2012). I diritti dei detenuti nella giurisprudenza costituzionale. DeS, I, p. 187-201: http://www.dirittopenitenziarioecostituzione.it/studi-e-ricerche/saggi/43-i-diritti-dei-detenuti-nella-giurisprudenza-costituzionale

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