“Nulla sembra bello come il passato” cantavano gli Arctic Monkeys. Una frase da nostalgici, ma solo all’apparenza. Basta chiedere ad un adolescente cosa ne pensa dei bambini del giorno d’oggi che già risponde: “Ai tempi nostri era meglio!”. Non è quindi un virus che colpisce gli esseri umani dalla trentina in poi, ma un fenomeno transgenerazionale riscontrabile in ogni epoca.
Una teoria cognitivista può spiegare cosa avviene in questi casi: secondo essa, il nostro cervello tenderebbe a dimenticare più rapidamente i ricordi negativi, mantenendo invece le memorie positive più saldamente nel tempo. Queste rimarrebbero nella nostra memoria per periodi più lunghi e in maniera più vivida, innescando quel meccanismo per cui il passato ci sembra avvolto da un’aura speciale (cfr. Revlin, 2014). Ciò che accade dentro al nostro cervello è il cosiddetto “effetto Pollyanna”, quel processo che fa sì che, scomparendo più rapidamente i ricordi negativi, sono le nostre emozioni piú belle a restarci maggiormente impresse. Questo è il motivo per cui un ricordo tende ad apparirci più intenso e positivo rispetto a come l’abbiamo vissuto veramente (ibidem).
Perché si chiama così?
Perché Pollyanna è un’ottimista cronica. Inventata dalla scrittrice Eleanor Hodgman Porter all’inizio del secolo scorso, Pollyanna è una bambina che, memore dell’insegnamento del padre, ha imparato a trovare sempre dei motivi per gioire, anche (e soprattutto) nelle avversità. Vede sempre il lato positivo anche negli avvenimenti meno piacevoli, questo anche con un certo parossismo che, come tutto ciò che viene portato all’estremo, non per forza è sempre salutare. Ciò che fa Pollyanna è tuttavia in un certo senso quello che accadrebbe quando, ripulendo i nostri ricordi dalle sensazioni piú negative, il passato ci appare migliore di come in realtà era stato.
Ci sono tre buone notizie: la prima è quindi che le emozioni negative si dimenticano prima, o comunque vengono ricordate con minore intensità. La seconda buona notizia è che tendiamo ad avere in testa ricordi positivi e sensazioni che ci fanno stare bene. L’altra è che, non potendo rievocare esattamente l’emozione così com’era, dato che la nostra memoria è di tipo ricostruttivo, finiamo per ritrovarci in testa tutta una serie di distorsioni con la convinzione che le cose siano andate veramente in quel modo.
L’effetto Pollyanna, una volta compreso, dovrebbe convincerci ad abbandonare la pericolosa abitudine di fare confronti con il passato, in quanto rischiamo di provare rimpianti per situazioni che non erano esattamente idilliache come pensiamo di ricordare. Non solo, ma come affermano Gennaro e Scagliarini (2012) l’abitudine di fare confronti in generale sembrerebbe nuocere fortemente alla nostra autostima, così come alla disposizione ottimistica e alla creatività.
Questo processo non vale per le persone depresse. Coloro che sono affetti da questo disturbo, infatti, tendono a ricordare meglio gli episodi negativi, con tutte emozioni svalutative ad essi connesse. Ciò avviene in virtù di un altro principio che è quello della specificità della codifica, secondo il quale si tende a recuperare più facilmente i ricordi in sintonia con lo stato d’animo attuale. Di conseguenza, si alimenta un circolo vizioso dove il soggetto viene risucchiato in una spirale involutiva che lo porta ad annegare in un mare di ricordi e di emozioni negative, ostacolandone la guarigione (cfr. Revlin, 2014).
L’effetto Pollyanna sembrerebbe aumentare con l’età (Ibidem) e questo spiegherebbe almeno in parte, per dirla come nel vecchio adagio, quel fenomeno diffuso tra i più adulti del “si stava meglio quando si stava peggio”. Ecco quindi spiegato come mai quando ripensiamo al nostro passato ci viene da esclamare, a prescindere da come stiano realmente le cose: “Ai tempi nostri era tutto più bello!”. Anche con una certa dose di nostalgia!
Gloria Rossi
Bibliografia
Gennaro, A. e Scagliarini R. G. (2012), Ottimismo e Personalità. Padova, Picnic
Hodgman Porter, E. (2013) Pollyanna. Palermo, Selino’s
Revlin, R. (2014) Psicologia cognitiva. Teoria e pratica. Bologna, Zanichelli