Le condizioni psichiche dei migranti e lo specchio etnocentrico dell’occidente

 

L’Europa sta vivendo il più grande movimento migratorio di persone dopo la seconda guerra mondiale: solo lo scorso anno, i richiedenti asilo nell’Unione europea sono stati circa un milione. La maggior parte di essi veniva dalla Siria, dall’Afghanistan e dall’Iraq. Mentre in America si parla di Muslim Ban¹, con il nuovo governo Trump, l’evoluzione delle dinamiche politico-economiche degli ultimi anni ha fatto in modo che l’attenzione mondiale si riversasse sulle diverse dimensioni che tale questione coinvolge. Di conseguenza, anche il mondo scientifico (dall’ambito medico a quello psicologico) ha iniziato ad occuparsi di tutto ciò che riguarda la salute fisica e mentale dei migranti, sottolineando in più occasioni come vi sia la necessità di re-inventare delle politiche di intervento più efficaci ed attente alla sofferenza che un’ondata migratoria di questo tipo porta spesso con sé. Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire cosa ci dicono.

Come rivela l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, nel 2015 circa 60 milioni di individui in tutto il mondo sono stati sfollati a causa di persecuzioni, conflitti, violenze generalizzate o di violazioni dei diritti umani e l’Italia, dopo la Grecia, è stata il principale punto di arrivo principalmente grazie alla sua posizione geografica. E’ infatti da qui che ha inizio il lavoro degli operatori sanitari alimentato, e bombardato, da quotidiane situazioni d’emergenza. Un vasto numero di report sanitari, pubblicati nell’ultimo ventennio, ha cercato di evidenziare quali siano le condizioni di salute mentale tra i richiedenti asilo. Uno studio dell’Università di Palermo, ad esempio, condotto in uno dei Centri di Accoglienza del capoluogo siciliano, tra il Febbraio 2012 e marzo 2013, mostra come su un totale 598 richiedenti asilo, 101 di loro hanno mostrato segni di Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD).

Ulteriori dati arrivano da un interessantissimo report di Medici Senza Frontiere (MSF), pubblicato nel 2016. Lo scopo principale di questo studio è stato quello di descrivere le condizioni di salute mentale in una popolazione di richiedenti asilo, poco dopo il loro arrivo in Sicilia. I risultati hanno mostrato un elevato numero di diagnosi di Disturbo Post-Traumatico da Stress e Disturbi depressivi di vario tipo. In particolare, sono stati rilevati elevati livelli di stress post-migratori e una grossa quantità di eventi potenzialmente traumatici esperiti prima e durante il viaggio. Sebbene queste diagnosi siano oggi delle statistiche, è necessario considerare che circa metà delle persone valutate, aveva affrontato un viaggio lungo dodici mesi e molti di loro, prima di partire, avevano vissuto in una Libia devastata dalla guerra, dove le persecuzioni dei migranti dell’Africa sub-sahariana erano estremamente frequenti. Come se questi dati non fossero abbastanza significativi, è stato documentato come il maggior numero di persone vulnerabili (come le donne sole, vittime del commercio sessuale, minori non accompagnati e disabili) abbia bypassato il sistema di accoglienza standard e sia stato trasferito direttamente in altri luoghi, non rientrando dunque in questo studio. Probabilmente avremmo avuto risultati ancor più significativi (storie di donne e bambini con storie di sfruttamento estremo sono state documentate da altri report umanitari pubblicati da Save The Children qui e dall’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni qui).

I dati sono chiari, le interpretazioni un po’ meno. Gli stessi autori dello studio, infatti, sottolineano una grossa inadeguatezza dei test diagnostici occidentali, a causa delle enormi difficoltà di vita post-migratorie e dei molteplici significati che un “evento traumatico” può assumere in contesti culturali differenti (con estrema variabilità geografica, linguistica e sociale). Il team di psicologi di MSF, con l’aiuto di mediatori culturali, ha ugualmente condotto lo studio provando ad utilizzare gli strumenti valutativi a loro disposizione e, sebbene ampiamente utilizzati in diverse parti del mondo, «le domande sono state spesso incomprese e percepite come intrusive, causando sofferenza e reazioni di stress, tutti fattori contro-produttivi per la costruzione di una buona relazione terapeutica» [Crepet et al., 2017]. Il tentativo di tradurre le storie di vita raccontate da ciascun migrante e traslarle dentro categorie diagnostiche occidento-centriche può aver portato alla perdita di molti dei loro significati e dei loro dettagli (ibidem). Si rivela necessario de-strutturare quei modelli psicologici e psichiatrici basati su parametri ritenuti universali, i quali escludono l’intersecarsi di processi micro e macro-sociali con i possibili eventi traumatizzanti e con le molteplici esperienze di vita. I tradizionali modelli psicologici riproducono ciò che Francesco Vacchiano (1999), ricercatore torinese dell’Università di Lisbona, definisce come «l’annoso malinteso dell’universalità antropologica dell’essere umano». Si ripropone, in altre parole, la necessità di ripartire da una “dimensione plurale della soggettività” per essere in grado di restituire il giusto peso alle diverse appartenenze della persona e superare l’idea di “uomo come entità singolare e individuata”, slegato dalle differenti entità che lo circondano.

Secondo il DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), ad esempio, uno dei criteri per la diagnosi di Disturbo Post-Traumatico da Stress è che la persona sia stata esposta ad un trauma (come la morte o minaccia di morte, grave lesione o violenza sessuale), o che tale evento abbia coinvolto qualcuno a lui vicino. Che cosa accade, però, quando la minaccia (o lo sterminio) riguarda intere culture e popolazioni? Quanto in profondità riesce ad arrivare una nozione di trauma che coinvolga dimensioni collettive e comunitarie? Proprio in ragione di ciò, Eisenbruch (1991) formulò la nozione di “cultural bereavement” (lutto culturale) cercando di definire tutto ciò che un evento traumatico è capace di generare nei diversi individui, insieme alla rottura dei legami affettivi e sociali, paure e angosce collettive (cfr. Beneduce, 2004). Un simile approccio al trauma, sembra capace di migliorare l’accuratezza diagnostica di disturbi che nascono da traumi meno ovvi per una clinica occidentale tradizionale, ma non per questo meno tragici (ibidem).

L’incontro con l’Altro – individuo di cultura e paese diverso – è un incontro con la dimensione della storia e con il peso dei conflitti. Si rivela necessario essere disposti a restituire il giusto valore a reti di significato situate nel tempo e nella molteplicità culturale del suo divenire (ibidem). Il report di Medici Senza Frontiere ci invita a riconsiderare la sofferenza che ognuna di queste storie porta con sé e a riconoscere la pluralità dei suoi significati. Ripartiamo da qui, dunque, per una clinica delle differenze e non delle uguaglianze. Una clinica che sappia rispondere alle differenti singolarità culturali che questo esatto momento storico ci chiede di comprendere. In ragione di un più ampio concetto di umanità, dialoghiamo con ognuno dei suoi significati possibili e li collochiamo nella storia e nel tempo, esattamente da dove provengono.

0c74877-150x150Roberto Gammeri

Info

 

 

¹Per maggiori informazioni: http://www.internazionale.it/notizie/2017/01/29/donald-trump-ha-firmato-un-ordine-esecutivo-per-fermare-l-accoglienza-dei-rifugiati-negli-stati-uni

 

Bibliografia

Crepet A., Rita F., Reid A., Van den Boogaard W., Deiana P., Quaranta G., Barbieri A., Bongiorno F., Di Carlo S.. (2017). Mental health and trauma in asylum seekers landing in Sicily in 2015: a descriptive study of neglected invisible wounds. Conflict and Health

Firenze A, Aleo N, Ferrara C, Maranto M, La Cascia C, Restivo V. (2016). “The occurrence of diseases and related factors in a center for asylum seekers in Italy”. in  Zdrav Var; 55(1)

Imazio S. (n.d). Trauma. Storia e decostruzione di un concetto. Disponibile su http://psicologa-torino.com/wp-content/uploads/2010/09/trauma.pdf

Beneduce R. (2004). Frontiere dell’identità e della memoria. Etnopsichiatria e migrazioni in un mondo creolo. Franco Angeli Editore

Beneduce R., Pulman B., Roudinesco E.. (2005). Etnopsicoanalisi. Temi e protagonisti di un dialogo incompiuto. Bollati Boringhieri Editore

Vacchiano F. (1999). Esilio. Trauma. Tortura. Letture critiche e percorsi di ricerca nel dibattito contemporaneo. I fogli di Oriss, 11/12

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