Eutanasia ed autodeterminazione, siamo realmente liberi di scegliere?

 

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L’uomo saggio vive finché deve, non finché può” – Seneca

In gergo medico l’eutanasia – dal greco eu (dolce) e thanatos (morte) – è la pratica volta ad alleviare in maniera definitiva le atroci sofferenze di un malato terminale e non; tuttavia, in alcuni casi, la cosiddetta morte dolce è equiparata ad un mero atto di vigliaccheria, come se il diretto interessato volesse trovare una scorciatoia allo scopo di porre fine al proprio malessere.

Parlare di eutanasia non è di certo semplice, in quanto con essa si fa riferimento a circostanze diverse da valutare di caso in caso, con accortezza ed onestà intellettuale; a tal proposito è doveroso menzionare la tassonomia del rapporto van der Mass del 1996, nella quale è possibile osservare 5 differenti forme di eutanasia:

  • Eutanasia attiva, che consiste nella somministrazione di farmaci letali da parte del medico su specifica richiesta del paziente;
  • Suicidio assistito, ovvero l’autosomministrazione del farmaco da parte dell’individuo che lo richiede;
  • Eutanasia senza specifica richiesta da parte del soggetto;
  • Somministrazione di oppiacei per controllare il dolore, aumentandone le dosi di volta in volta in modo da indurre la morte;
  • Eutanasia passiva, ovvero la sospensione di trattamenti essenziali alla sopravvivenza del malato.

Dalla sopracitata tassonomia è facile scorgere che solo le prime due definizioni coincidono con l’autonomia decisionale del malato; per questo motivo soltanto con le medesime è possibile esercitare il diritto all’autodeterminazione, principio essenziale della pedagogia nonché dell’intero processo educativo.
Ci si chiede, di conseguenza, se esista o meno il diritto di morire: assodato che esista quello di vivere, perché non dovrebbe coesistere anche il diritto opposto?
Anticipare o stabilire l’ora della propria morte è un diritto incluso negli articoli 13 e 32 – secondo comma – della nostra Costituzione; tuttavia, dato che nel caso dell’eutanasia attiva occorre l’intervento di una terza persona, ci si chiede se questo intervento sia lecito o meno.
Attualmente l’ordinamento italiano vieta e punisce severamente l’eutanasia tramite gli articoli 579 – omicidio del consenziente – e 580 – aiuto al suicidio – a dispetto dei sopracitati articoli 13 e 32 che stabiliscono la libertà dell’individuo sofferente.

In fin dei conti la richiesta di eutanasia non è altro che il compimento del diritto di autodeterminazione del malato, vien da sé che permettere di scegliere la cosiddetta morte dolce significherebbe affermare la libertà e l’etica della tolleranza, punti fondamentali sia dell’etica che della pedagogia.

Sull’eutanasia ha preso posizione l’oncologo Umberto Veronesi, scomparso recentemente, in un testo dal titolo evocativo “Il diritto di morire”. Nel testo vi sono molti spunti per un discorso pedagogico circa il tema in esame e vi è testimoniata l’esperienza diretta di un oncologo che quotidianamente ha a che fare con la sofferenza e con la morte: egli basa la sua riflessione appellandosi ai sentimenti e nel testo afferma che «tocca all’uomo costruirsi coscientemente una scala di valori etici che sarà tenuto a rispettare» e ancora «ogni persona è unica ed irripetibile e di questa dignità della vita fa parte la libertà, e quindi anche il concetto di poter disporre della propria vita» parole, come è possibile notare, strettamente correlate all’agire educativo, che ha come fine essenziale il conseguimento della libertà decisionale dell’individuo e ciò che essa comporta; l’educazione è infatti la capacità di dare un senso a tale libertà, effettuando scelte, dando così un significato profondo al proprio sé.
Ed è per questo che è possibile rivendicare «il diritto della persona a difendere la qualità della propria vita anche in prossimità della morte, quindi il diritto di chiedere l’eutanasia se la sofferenza sta riducendo a nulla la qualità della propria vita».

Il ragionamento di Veronesi si basa su 4 punti nevralgici:

  • L’eutanasia non viola nessuna legge naturale;
  • Non nuoce a nessun membro della società;
  • Se la società nega tale rivendicazione, opprime l’individuo;
  • Ogni persona dovrebbe immedesimarsi con chi richiede l’eutanasia.

Quello dell’eutanasia è un tema da sempre molto caldo, che tocca corde profonde della sensibilità collettiva dove puntualmente l’opinione pubblica si divide tra favorevoli e contrari; dopo i casi di Welby ed Englaro, di recente è tornato sulla bocca dell’opinione pubblica con la storia di Dj Fabo.
Il 20 aprile di quest’anno è stato fatto un passo avanti nel nostro ordinamento, mediante l’approvazione alla camera del DDL sul biotestamento, tuttavia la proposta di legge deve passare ancora al Senato e non è detto che verrà approvata in via definitiva. Punto nevralgico del DDL sono le DAT (disposizioni anticipate di trattamento) che consentono agli individui maggiorenni e capaci di intendere e di volere la libertà di esprimere la propria volontà in materia sanitaria.
Di conseguenza, coerentemente con i principi pedagogici, l’eutanasia è auspicabile solo nei casi di totale scelta e consapevolezza dell’individuo sofferente, senza quindi che terzi decidano per lui.
É ormai assodato che l’etica – ovvero la branca della filosofia che si occupa dei comportamenti umani e quindi dei valori – è parte integrante della pratica educativa. Per questa ragione è essenziale che la bioetica e la pedagogia collaborino allo scopo di sostenere l’essere umano nella sue decisioni ultime in fatto di libertà e autodeterminazione, in quella che è la cornice di vita di ognuno di noi.

Samantha Santacroce

Info

 

 

 

Bibliografia

Veronesi U. (2005) Il diritto di morire, Milano, Mondadori

Sitografia

Carcano R., Il diritto di morire, la libertà del laico di fronte alla sofferenza (recensione): www.uarr.it/libri/diritto-morire/?gamp=on

Biotestamento, la Camera ha approvato il ddl. Testo passa al senato: www.tg24.sky.it/politica/2017/04/20/Biotestamento-camera-approva-ddl-cosa-prevede.html

Pocar V., L’eutanasia e il diritto all’autodeterminazione: www.uarr.it/ateo/archivio/2003_2_art2.html

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