Cosa succede al tuo cervello quando perdi la pazienza?

 

A causa dei frenetici ritmi che la vita odierna ci impone, troviamo sempre più complicato “aspettare”: in coda alla posta, alla fermata dell’autobus, davanti ad una pagina internet che impiega troppo tempo ad aprirsi…pare davvero fin troppo facile perdere la pazienza.

Quali sono i meccanismi cerebrali coinvolti in questo tipo di impulsività? E che significato ha l’impulsività per il nostro sistema nervoso?

Nel dizionario di psicoanalisi, a cura di Di Petrini, Renzi, Casadei e Mandese (2013), l’impulsività viene descritta come un elemento del carattere di ogni persona, che in alcuni può emergere in maniera più o meno preponderante rispetto agli altri. Nell’impulsività si può manifestare un’eccessiva emotività, dovuta all’esigenza impellente di soddisfare un bisogno interno o di superare una certa situazione, con una risposta decisamente troppo intensa rispetto alla stimolazione ricevuta.

Per testare l’impulsività di un individuo, compiti in laboratorio valutano la capacità di  mantenere il “controllo cognitivo” e “l’impulsività motivazionale”. La prima è una capacità atta a controllare e contenere impulsi non conformi alla situazione che si sta vivendo. La seconda permette di prendere decisioni le cui conseguenze potranno essere visibili soltanto in futuro (Dreher et al, 2009).

Tre sono le caratteristiche che possono essere riscontrate in un comportamento impulsivo (Meduri et al, 2004):
1. Incapacità di resistere ad un bisogno, una tentazione e un impulso, contrastando un’ottimale flessibilità comportamentale.
2. Crescente sensazione di tensione prima di compiere l’azione, la quale è strettamente vincolata agli stimoli del momento e deve essere necessariamente compiuta per ottenere soddisfazione.
3. Sentimento di colpa successivo all’azione, per non aver ritardato la gratificazione immediata.

Jean-Claude Dreher e collaboratori (2009), nel Centro di Neuroscienze Cognitive di Lione, hanno indagato come l’impulsività comportamentale incide sul cervello.

Nel loro laboratorio un individuo poteva scegliere se guadagnare immediatamente una certa somma di denaro o aspettare, per poter far crescere nel tempo tale cifra e ottenere un’entrata maggiore. Negli individui “impazienti” l’attività cerebrale di valutazione diminuisce, mano a mano che il tempo di attesa aumenta, per questo si sentono spinti a compiere scelte immediate, anche se connesse a piccole gratificazioni. Negli individui “pazienti”, invece, in un simile compito l’attività cerebrale resta stabile.

Le strutture del cervello coinvolte in questi compiti sono lo striato ventrale e la corteccia prefrontale ventrale. Tali strutture permettono di valutare il peso che ha per l’individuo ogni singola alternativa che l’ambiente offre per il suo agire. Un contributo essenziale a tale valutazione è dato dalla dopamina, un neurotrasmettitore endogeno responsabile della sensazione di gratificazione. La corteccia prefrontale dorsolaterale e la corteccia parietale, invece, esercitano il controllo cognitivo sulle nostre azioni, adattandole all’ambiente. Grazie a queste strutture possiamo interrogarci su quanto sia realmente indispensabile agire subito e se possiamo privarci di una ricompensa immediata e aspettare, per poterne ottenere una più cospicua in futuro (Prevost et al, 2010).

Questo tipo di controllo cognitivo può essere coadiuvato anche dall’attività della memoria di lavoro, la quale ci consente di tenere a mente un obiettivo e lavorarci sopra, prima di poterlo concretamente mettere in pratica (Dreher et al, 2009). Gli individui con una buona memoria di lavoro risultano meno impazienti quando devono compiere delle scelte, come quelle utilizzate da Dreher e collaboratori nella loro indagine.
Tokel Klingberg e collaboratori (2010), nel Karolinska Institut di Stoccolma, hanno evidenziato che un costante addestramento settimanale della memoria di lavoro può incrementare l’attività prefrontale-parietale. Ciò aumenta la densità dei recettori dopaminergici corticali e sposta l’impazienza del soggetto verso una maggiore tolleranza e capacità di attesa, senza cadere in frustrazioni dolorose.

Esercitare la memoria di lavoro è essenziale per imparare ad essere meno impazienti e non sovraccaricare troppo il sistema nervoso. Un ambiente non in grado di sollecitare adeguatamente la memoria di lavoro, potrebbe avere effetti negativi sulla stessa e peggiorare le capacità di attesa. Così gli individui sarebbero portati a ricercare gratificazioni immediate, con un conseguente aumento dello stress a cui tutti noi, ogni giorno, siamo sottoposti (Klingberg et al, 2010).

Questo stress, legato molto spesso all’accelerazione dei ritmi quotidiani, può interagire con il nostro sistema di gratificazione, portando una maggiore impulsività ad ottenere tutto e subito. Per studiare tale fenomeno, sono state utilizzate tecniche di neuroimmagine funzionale, in grado di misurare il metabolismo cerebrale, per analizzare la relazione che sussiste fra l’attività di determinate aree e specifiche funzioni cerebrali (Lederbogen et al, 2011). L’analisi compiuta da Andreas Meyer-Linderberg (2011), dell’Istituto Centrale di Salute Mentale di Mannheim, avrebbe dimostrato come un ambiente sociale stressante attivi aree come l’amigdala, l’ipotalamo, l’ipofisi e le ghiandole surrenali, che producono un effetto amplificatore sul sistema dopaminergico, incrementando la scelta di gratificazioni rapide. Ciò dimostra quanto sia necessario riprendere la buona abitudine dell’ “attesa”, al fine di permettere anche al nostro sistema nervoso di tirare un sospiro di sollievo e di rafforzare la sua capacità di controllo cognitivo.

Dopo aver esaminato gli effetti dell’impulsività sul nostro cervello, potrebbe sorgere spontanea una domanda: come si può imparare “l’arte della pazienza”, per non essere più vittime dello stress e per capire veramente quali gratificazioni vogliamo davvero e quali azioni possiamo evitare di compiere?

Sarebbe forse opportuno imparare a non cedere subito alle tentazioni, ad esercitare la propria memoria di lavoro e a prendere per sé almeno una giornata per evadere dalla propria routine quotidiana. La gestione dei propri impulsi è essenziale per modificare il proprio comportamento, al fine di non dover successivamente incorrere in conseguenze dall’aspetto catastrofico (Gay P. et al, 2011). Si potrebbe, quindi, cercare di focalizzare il pensiero  su ciò che davvero è utile per stare bene e provare, così, ad adottare una strategia che permetta di tenere l’impulsività sotto controllo, al fine di discernere tra le tante gratificazioni che si stanno cercando, quelle che rappresentano davvero il nostro modo di essere, senza sentirci mai sopraffatti dagli impulsi.

 

Valentina Massaroni 

Info

 

 

 

 

Bibliografia

Di Petrini, Renzi, Casadei, Mandese, (2013), Dizionario di psicoanalisi. Con elementi di psichiatria psicodinamica e Psicologia Dinamica, Franco Angeli editore. 

Figner B., Knoch D., Johnson E., J. Krosch, A. R. Lisanby, S. H. Fehr, E. Weber, E. U., (2010), “Lateral prefrontal cortex and self-control in intertemporal choice” in Nature Neuroscience, 13, 538–539.

Lederbogen, P. Kirsch, L. Haddad, F. Streit, H. Tost, P. Schuch, S. Wüst, JC Pruessner, M. Rietschel, M. Deuschle, A. Meyer-Lindenberg, (2011) “City living and urban upbringing affect neural social stress processing in humans” in Nature, Vol. 474, 7352, pp. 498-501.

JC Dreher, P. Kohn, B. Kolachana, DR Weinberger, KF Berman (2009), “Variation in dopamine genes influences responsivity of the human reward system” in Proceedings of the National Academy of Sciences, 106 (2) 617-622

Klingberg T., (2010), “Training and plasticity of working memory” in Trends in Cognitive Sciences, Vol. 14, n. 7, pp. 317-324.

Meduri M., Muscatello M.R.A., Cambria R., Campolo D., Cortese L., Bruno A., La Torre D., (2004) “Funzioni esecutive, impulsività e disturbo borderline di personalità” in Severe personality Disorders – Diagnostic and Therapeutic Approaches – Compared Patterns.

Prevost C., Pessiglione M., Metereau E., Clery-Melin ML, Dreher JC., (2010), “Separate valuation subsystems for delay and effort decision costs” in Journal of Neuroscience, Vol- 30, n.42, pp. 14080-14090. 

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