“Un’immagine ci teneva prigionieri. E non potevamo venirne fuori, perché giaceva nel nostro linguaggio e questo sembrava ripetercela inesorabilmente” – Ricerche Filosofiche [Wittgenstein, 1953:114-115]
Nel 2012 Giovanna Selis e Laura Landi pubblicano un documentario dal titolo Le lesbiche non esistono che si propone di far luce sul fenomeno dell’invisibilità delle donne lesbiche. Il documentario si apre con una riflessione circa il linguaggio che gravita attorno all’esistenza lesbica: sono infatti poche le parole che possono essere impiegate per descrivere l’amore, l’attrazione e le relazioni tra donne. Data la povertà di linguaggio, lo stesso termine (lesbica) può assumere al contempo valore di descrittore e insulto.
Che implicazioni può avere tale povertà di linguaggio e invisibilità sul benessere psicologico di queste donne?
Il linguaggio ci permette di descriverci e descrivere il mondo in cui viviamo. Quando non abbiamo le parole (e quindi gli strumenti) per raccontarci in vari modi, possiamo ritrovarci ad essere prigionieri dello stesso linguaggio. L’immagine di cui parla Wittgentstein è proprio quella che deriva dal modo in cui ci descriviamo. È necessario dunque conoscere le parole che possono descrivere le forme di esistenza, perché è attraverso il linguaggio che costruiamo la realtà che ci circonda (Berger e Luckmann, 1969). Ed è sempre grazie al linguaggio che si è in costante interazione con l’altro da sé (Bruner, 1992), inoltre dalle interazioni con gli altri riusciamo anche a definirci (Blumer, 2009). Uno studio del 1999 (Fullmer, Shenk, Eastland, 1999) affronta la tematica e riporta che la maggior parte delle donne anziane inglesi intervistate, nonostante fossero omosessuali, non utilizzavano il termine “lesbica” per descriversi a causa delle connotazioni negative, cariche di stereotipi e pregiudizi che portava con sé.
In un panorama socio-politico come quello Occidentale (e anche Italiano), maschilista ed eterosessista1, l’esistenza lesbica viene resa invisibile e doppiamente discriminata (Czyzselska, 2013). L‘invisibilità, nonché la negazione dell’esistenza, hanno forti ripercussioni sul benessere psicologico delle persone, oltre il minority stress e l’omofobia interiorizzata. È infatti attraverso la visibilità che si può guadagnare “l’appartenenza comunitaria e la dignità personale” (Zamperini, 2010), fattori che contribuiscono a più alti livelli di autostima e benessere psicologico generale. Come ricorda Zamperini “l’esigenza che manifestiamo agli altri è (…) quella di veder riconosciuta la nostra esistenza (…). e successivamente che venga attestato il nostro valore.” [Ivi, p. 71].
L’esistenza omosessuale femminile si confronta, inoltre, con un contesto sociale in cui le due identità sociali (essere donna e essere omosessuale) che la caratterizzano sono stigmatizzate. Il fenomeno per cui l’interazione di più identità sociali gioca un ruolo cruciale nell’esistenza delle persone viene detto intersezionalità (Crenshaw, 1989). Tali identità sociali possono riferirsi, ad esempio, a caratteristiche come l’età, l’etnia, il genere, l’orientamento sessuale, lo status socioeconomico o la disabilità. Tutte “caratteristiche” che, a seconda dei contesti socio-culturali, possono essere stigmatizzate poiché non rappresentanti la norma sociale. Nel caso della donna omosessuale (cisgender o transgender) le due identità sociali messe in gioco sono il genere e l’orientamento sessuale. Dunque la donna lesbica si confronta con un mondo in cui:
- essere donna può essere un’identità stigmatizzata e ostracizzata a livello socio-politico (basti pensare alla differenza salariale o ai tassi di femminicidio);
- essere omosessuale è un’identità stigmatizzata a livello socio-politico (ne sono esempi l’assenza di leggi che tutelino le persone contro le aggressioni omobitransfobiche, l’assenza di diritti che prevedano la possibilità di contrarre matrimonio, o le, ancora presenti, aggressioni nei confronti di persone il cui orientamento sessuale non è eterosessuale).
Gli studi psicologici (Cochran, Greer, Mays, 2002) suggeriscono che le minoranze sessuali (tra cui le persone omosessuali) sono caratterizzate da fattori di rischio unici derivanti dalle società rifiutanti, che possono generare varie forme di minority stress (Lingiardi, 2014) o sfociare in forme più o meno violente di discriminazione, ostracismo e violenza, tra cui il cosiddetto hate-crime (crimine d’odio) da parte della comunità.
In altre parole, la negazione di alcune forme di esistenza, come quella delle persone facenti parte delle minoranze sessuali (tra cui le donne lesbiche) contribuisce alla discriminazione sociale di queste persone. Nello specifico le persone LGBT+2 riportano più bassi livelli di autostima, più alti livelli di stigma percepito che si ripercuotono nella loro vita quotidiana. Possono inoltre riportare più alti livelli di depressione, abuso di alcol e indici suicidari (Brown, 2005; Fingerhut 2010; Marshal et al, 2011; Marshal et al, 2012).
Tutte queste forme di disagio psicologico non derivano, ovviamente, dall’essere omosessuali (bisessuali o asessuali) e/o transessuali, ma dal non ricoprire la norma eterosessuale e cisgender che si impone nella nostra società. Nella società Occidentale le lesbiche non esistono e tale discriminazione, come mostrato, ha implicazioni sul loro benessere psicologico e fisico.
1per eterosessismo si intende “un sistema ideologico che nega, denigra stigmatizza qualsiasi forma non etereosessuale di comportamento, identità, relazione e comunità” (Golberg, Smith, 2011).
2 Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender e Transessuali. Il simbolo “+” indica le altre variazioni degli orientamenti sessuali e delle identità di genere
Bibliografia
Antosa, S. (2014). “Dirsi lesbica oggi? Lesbofobia nei media italiani tra indicibilità e invisibilità”. In R. Di Bella, & R. Pistone (a cura di), Donne+Donne. Prima, attraverso e dopo il Pride, Palermo, Qanat.
Berger, P. L., Luckmann, G., (1966), The construction of reality, New York, Doubleday (tr. it. La realtà come costruzione sociale, (1969) il Mulino, Bologna)
Blumer, H., (2009), La metodologia dell’interazionismo simbolico, Armando Editore, Roma
Brown, S. D., (2005). Gay and Lesbian Psychological Well-Being: A thesis comprising; Psychological Health in Adults from Sexual Minorities (Literature Review); and, A Comparative Exploratory Study of the Psychological Well-Being of Gay Male, Lesbian, and Heterosexual Australian Metropolitan Adults (Research Project).
Crenshaw, K, (1989), “Demarginalizing the Intersection of Race and Sex: A Black Feminist Critique of Antidiscrimination Doctrine, Feminist Theory and Antiracist Politics”, in The University of Chicago Legal Forum, vol. 140, 1º gennaio 1989
Czyzselska J., 2013, Lesbophobia is homophobia with a side-order of sexism, in The Guardian, 9 luglio 2013
Fingerhut, A.W , Peplau, L. A., Gable, S. L., (2010) Identity, minority stress and psychological well-being among gay men and lesbians, Psychology & Sexuality, 1:2
Golberg, A. E., Smith, J. Z., (2011) , Stigma, Social Context, and Mental Healt: Lesbian and Gay Couples Accross the Transition To Adoptive Parenthood, J. Couns. Psychol. January, 58
Lingiardi, V., Nardelli, N., (2014), Linee guida per la consulenza psicologica e la psicoterapia con persone lesbiche gay bisessuali, Raffaello Cortina Editore, Milano
Marshal M. P., Dietz, L. J., Friedman M. S., Stall, R., Smith, H. A., McGinley, J., Thoma, B. C., Murray, P.J., D’Augelli, A. R. Brent, D. A, (2011), Suicidality and Depression Disparities Between Sexal Minority and Heterosexual Yourh: a Meta-analytic Review, in Journal of Adolescent Health 49
Marshal M. P., Sucato, G., Stepp, S. D., Hipwell, A., Smith, H. A. Friedman, M. S., Chung, T., Markovic, N., (2012), Substance use and mental health disparities among sexual minority girls: results from the pittsburgh Girl Study, J. Pediatr. Adolesc, in Gynecol. 25(1)
Wittgenstein, L., (1953), Ricerche filosofiche, Giulio Einaudi Editore
Sitografia
Traduzione in italiano dell’articolo di Czyzselska J., 2013 su questo sito: http://www.gionata.org/index.phpoption=com_content&view=article&id=5035:la-lesbo