Linguaggio e comunicazione politica: quale impatto?

 

Credit: guidapsicologi.it

Guardando ai cambiamenti politici e sociali che hanno contraddistinto la seconda metà del 2018, è palese come l’uso di un particolare linguaggio politico, caratterizzato da toni irruenti, sia ritenuto giustificabile in quanto garante di presunti valori e modelli. Sembrerebbe doveroso, dunque, tentare di comprendere quali siano gli elementi che costituiscono questo tipo di propaganda e come essa si caratterizzi.

D’importanza non secondaria è poi l’analisi sul significato che un ruolo educativo consapevole potrebbe assumere all’interno di un simile scenario.

Quali sono le caratteristiche di questa nuova forma di propaganda?

Toni accesi, incitazione all’aggressività, post su internet e slogan sono gli elementi principali che costituiscono l’attuale modo di fare politica.  Si fa ciò per rendere tutto superficiale e immediato, per poter “troncare sul nascere ogni processualità, le basi stesse dell’elaborazione discorsiva e del confronto dialogico” (Revelli, 2015, p.30), in modo da non dover approfondire gli argomenti proposti. Si utilizza una simile strategia poiché una soluzione diversa rischierebbe una messa in discussione di sé o di quanto affermato (Revelli, 2015).

Scegliere di non approfondire quanto letto o ascoltato può risultare, in questo senso, pericoloso. L’essere umano infatti tende a considerare come veritiero ciò che percepisce nell’immediatezza del messaggio, poiché non è in grado di attivare all’istante un procedimento di natura critica e ponderata sui contenuti proposti dalla propaganda.

Che cosa è cambiato nel panorama politico e sociale attuale?

Con la globalizzazione le distanze sono sempre più sottili dal punto di vista economico, politico, culturale, ma allo stesso tempo fanno sì che si affievolisca l’idea di comunità, creando innumerevoli disuguaglianze tra le varie parti del mondo, dividendo fortemente coloro che sono stati investiti da questo fenomeno globale e da chi rimane “locale”. Dal momento in cui il fenomeno migratorio è aumentato in modo esponenziale negli ultimi anni, ha messo in crisi il sistema di accoglienza di molte nazioni; in questo scenario mondiale quando incontriamo chi è “diverso” possiamo far nascere opportunità di scambio oppure evitarlo aggravando l’ostilità e l’emarginazione che inevitabilmente accrescono fenomeni di violenza, verbale o fisica.

Come si svolge la propaganda politica in questo clima di violenza?

Secondo Weedon, Nuland & Stamos (2017), le azioni dei governi che mirano a distorcere le opinioni e il «sentire politico» in patria o in paesi stranieri, sono operazioni che utilizzano combinazioni di notizie false (fake news), disinformazione o reti organizzate di account fasulli, che come fine hanno la manipolazione dell’opinione pubblica. In tal senso ci si riferisce soprattutto alle false news, ovvero  articoli di giornale che ci appaiono informativi e veritieri ma che in realtà contengono errori di interpretazioni intenzionali che mirano a scaturire risposte emozionali. Tutto parte da account falsi che servono per manipolare la propaganda politica e mirano a rendere stabili dei modi di pesare presenti nell’opinione pubblica. In tal senso i mass media sono veicolo di opportunità ma anche di conflittualità (Roberto Trinchero, 2018).

Chi è più vulnerabile davanti a questa manipolazione mediatica e politica?

Cade maggiormente nella trappola delle fake news chi «vuole» crederci, poiché vi trova una conferma alle proprie idee, opinioni e credenze. Infatti queste notizie fuorvianti inducono le persone ad utilizzarle per giustificare le proprie mancanze e sconfitte (Guido Gili, Giovanni Maddalena, 2018). Così, davanti ad uno stato che non garantisce sicurezza, lavoro, opportunità ai propri cittadini, la nascita di un capro espiatorio (in questo caso l’immigrato), è la via più semplice per rimarcare sui propri sentimenti negativi, accrescendo linguaggi e atteggiamenti violenti verso chi consideriamo causa dei nostri problemi. Gli effetti di questi conflitti sono evidenti e di grande importanza, poiché nelle democrazie, la costruzione dell’opinione pubblica può spostare voti preziosi per far vincere o far perdere le elezioni all’una o all’altra parte politica.

Che ruolo hanno i social in questo tipo di scenario, e quali sono le conseguenze?

Si fa politica su Facebook, Instagram, cercando di arrivare a una fetta quanto più vasta possibile di popolazione attraverso l’uso scorretto di questi mezzi, visti come spazi in cui diffondere messaggi e post a impatto immediato.  Ciò che ne viene fuori è qualcosa di temporaneo, “transitorio” (Revelli, 2015), perché privo di basi di partenza e contenuti veri.  Imparare veramente qualcosa, per poterla conoscere a fondo, significa ricercare, fare un “esercizio di attenzione e di analisi” (Nosari, 2013, p.72), per poter mettere in discussione l’ipotesi iniziale, verificandola.

Verificare la realtà e veridicità dei fatti non vuol dire certo basarsi su informazioni costruite a tavolino, bensì sulla loro analisi e contestualizzazione . Da un punto di vista pedagogico, l’acquisizione di capacità critica porta a una crescita intellettuale e personale, a rendersi consapevoli ripensando quanto appreso sotto nuovi punti di vista (Nosari,2013).

Quale spazio assume l’educazione, in direzione di un cambiamento positivo e reale?

Un cambiamento, specie se radicale, deve partire da basi consapevoli. Educare significa ricercare e proporre alternative valide, tenendo però presenti modelli di partenza riconosciuti (Nosari, 2013). Molto più semplice è invece criticare, non sforzandosi di capire meglio o di informarsi diversamente. Atteggiamenti, questi, che lavorano in direzione di emarginazione e conflitto. Diventa indispensabile allora dare uno spazio nuovo alle risorse educative. Occorre lavorare sulla capacità di ognuno di porsi domande e di mettersi in discussione, considerando che, per utilizzare le parole di Reboul: “La società non è né semplice né statica; e l’educazione deve preparare il bambino alla sua complessità e alla sua evoluzione” (Reboul, 1997, pp. 22-24).

Possiamo concludere, a questo punto, sottolineando la responsabilità e il dovere intellettuale a cui sono chiamati a rispondere, in un simile contesto, insegnanti e professionisti dell’educazione. Risulta fondamentale a tal proposito ripensare ad una diversa idea di confronto e condivisione, basata sul dialogo e sulla reciprocità; tutti noi siamo infatti chiamati a tener presente che acquisire competenze interculturali non sia un processo intrinseco dell’uomo, ma che le medesime debbano costituirsi con metodi e strategie differenti, in base ai diversi contesti e destinatari.  Del resto, occorre sottolineare come il fare educazione, in modo particolare, sia un processo a cui guardare non solo attraverso un’ottica professionale. Per una buona pratica, che costituisca una reale alternativa pedagogica, occorre procedere verso un “nuovo umanesimo” (Nosari, 2010), cambiando il nostro modo di essere uomini e donne prima che formatori o insegnanti.

Concludiamo con una frase di Maria Montessori, che ci ricorda l’importanza dell’educazione come strumento efficace per preparare le menti ad essere portatrici di pace e dialogo : “Coloro che vogliono la guerra preparano la gioventù alla guerra; ma coloro che vogliono la pace hanno trascurato l’infanzia e la giovinezza, giacché non hanno saputo organizzarle per la pace.”(Montessori, 2004)

 

Veronica Bocchio

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Valentina Viarengo

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Bibliografia

Montessori, M. (2004), Educazione e pace, Roma, OPERA NAZIONALE MONTESSORI EDIZIONI

Nosari. S. (2013), Capire l’educazione. Lessico, contesti e scenari, Milano, MONDADORI EDUCATION edizioni

Nosari. S. (2010), Confini della Creatività, Roma, ARACNE edizioni

Reboul O. (trad.it. 1997)  La Filosofia dell’educazione, Roma, ARMANDO edizioni

Revelli M. (2015), Dentro e contro. Quando il populismo è di governo, Bari, LATERZA edizioni

Santerini M. (2017), Da stranieri a cittadini, Milano, MONDADORI EDUCATION edizioni

Sitografia

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