“Benché gli oggetti fossero considerati dei regali, si aspettavano di ricevere qualche cosa di pari valore e si indispettivano se il regalo dato in cambio non corrispondeva all’aspettativa” – A. R. Radcliffe-Brown
Durante il periodo natalizio le luminarie brillano sospese lungo i corsi delle città, le vetrine dei negozi vengono addobbate così come gli alberi nei salotti e qualche Babbo Natale si presta ad ascoltare le richieste dei bambini all’interno dei centri commerciali. All’interno di questo contesto tradizionalmente fondato su valori cristiani che spingono all’altruismo e alla generosità spicca senza alcun dubbio l’aspetto materiale dei regali, i quali innescano meccanismi competitivi tra parenti e amici arrivando a ridisegnare le gerarchie. Queste dinamiche di scambio sono state e sono tuttora studiate dalle scienze sociali e si è riscontrato un elemento costante in ogni contesto socioculturale: quello della reciprocità.
Malinowski fu uno dei primi ad osservare come questo principio economico fosse uno dei tratti più rilevanti, non solo nelle dinamiche trobriandesi1, ma anche in quelle di tutte le società “primitive” [cfr. Malinowski, 1972]; infatti, esso è un «principio d’ordine […] in grado di svolgere una funzione strutturante» delle società [Fabietti, 1979:100]. Questo tema è stato successivamente ripreso da Mauss il quale nel Saggio sul dono riqualifica questa forma di scambio non tanto come una semplice forma economica di baratto, ma come un vero e proprio fatto sociale totale2 pervaso da ciascun aspetto della vita degli individui. Lo scambio diventa a tutti gli effetti una complessa forma cerimoniale fondata sia sulla reciprocità che su tre obblighi: quello di donare, di ricevere e di ricambiare [cfr. Mauss, 2002].
Un notevole contributo allo studio sulla reciprocità venne fornito anche da Franz Boas, il quale riscontrò questo aspetto all’interno delle pratiche rituali del potlatch tra le popolazioni della Columbia Britannica. Il potlatch consisteva in una vera e propria competizione sociale che prevedeva l’organizzazione da parte di un capo di un banchetto imbandito e offerto ad un avversario e al suo seguito. All’interno di questi rituali oltre alle abbondanti pietanze offerte venivano distrutti dei beni di grande valore (non solo economico) per ostentare il proprio prestigio economico. Il raccogliere il guanto di sfida e l’accettare l’invito a questa celebrazione comportava il vincolo di organizzare, a sua volta, una contro-festa. Così, gli avversari si fronteggiavano a colpi di sprechi fino a quando uno dei contendenti non riconosceva la superiorità dell’altro finendo per ridisegnare o mantenere le gerarchie sociali [cfr. Boas, 2001].
L’ostentazione e la distruzione rituale delle ricchezze e risorse accumulate da questi popoli è poi stata accostata da Lévi-Strauss ne Le strutture elementari della parentela allo scambio dei doni di Natale, arrivando ad affermare come questo evento occidentale altro non sia che un gigantesco potlatch. Infatti, questo rituale è in grado di coinvolgere milioni di individui i quali mettono in gioco non solo i propri fondi, ma anche il proprio status sociale [cfr. Lévi-Strauss, 2003]. Questo confronto tra culture lontane nello spazio e nel tempo svela come i principi occidentali non sono tanto diversi da quegli stessi principi di ostentazione e “distruzione” di quei popoli considerati per secoli “primitivi”.
Questi presupposti sembrerebbero così essere rispettati anche all’interno del contesto natalizio, infatti, oltre alle grandi abbuffate offerte da un anfitrione sono previsti una serie di aspetti affini a quelli del potlatch. Innanzitutto, c’è sempre qualcuno che riceve più di quanto dona [cfr. Moschetti, 1979]: tra questi rientrano senza alcun dubbio i bambini, la cui posizione di esclusivi riceventi è legittimata dai racconti su Babbo Natale che porta i doni solo a chi è stato buono, dalle struggenti storie di Dickens o dalle vivaci avventure del Grinch; le attese create da queste narrazioni vengono a loro volta ripagate con i ricchi bottini.
Un altro elemento chiave è il valore degli oggetti offerti che non sempre viene determinato dal suo valore di mercato, ma dalla percezione del ricevente [cfr. Aime, 2002]. Infatti, la valutazione dell’impegno può costituire un possibile indice non economico per la valorizzazione del dono; per esempio, anche se non alla moda o elegante può essere più apprezzata una sciarpa fatta a mano di una comprata online e questo perché il tempo impiegato per confezionarla è di gran lunga superiore ad una ricerca su internet.
Anche se il regalo non è gradito non può essere rifiutato a meno che non si voglia spezzare un certo legame. Infatti, con il rifiuto verrebbe a mancare quell’obbligo di ricevere solitamente previsto dalla reciprocità. Per questo motivo il gesto di ricevere spesso viene accompagnato dalle tradizionali frasi di rito come “è il pensiero che conta” o “ci sono cose che non hanno prezzo” proprio per via del rispetto per i rapporti con il donatore da un lato, ma anche per non mettere in discussione dall’altro lato l’asimmetria richiesta dallo scambio. Infatti, «il dono ha orrore dell’eguaglianza; [esso] ricerca l’ineguaglianza alterna3» [Godbout, 1998:46] ed è proprio in seno a questa ineguaglianza che è possibile definire il dono come «ogni prestazione di beni o servizi effettuata, senza garanzia di restituzione, al fine di creare, alimentare o ricreare il legame sociale tra le persone» [Godbout, 1993:30]. Il dono rappresenta così quella pratica “primitiva” che ancora oggi è capace di svincolarsi da tutte quelle rigide logiche economiche e commerciali che costringono il mondo dietro dei paletti legati alla finanza, agli affari e a quel sistema economico che imbriglia e sovverte i rapporti, offrendoci la possibilità ripristinare quei rapporti che possono essere minati dal sistema economico che muove una parte del mondo [cfr. Godbout, 2008].
1 I trobriandesi sono una popolazione della Papua Nuova Guinea e vivono nell’arcipelago delle isole Trobriand. La fama di questa popolazione è riconducibile alle ricerche dell’antropologo Bronisław Malinowski (1914-18) e alla sua monumentale opera intitolata Argonauti del Pacifico Occidentale (1922).
2 Un fatto sociale totale è un evento in grado di coinvolgere gran parte delle dinamiche della comunità. Il rito del dono rientra in questa categoria in quanto richiede la partecipazione, all’interno di una certa comunità, di una molteplicità di fenomeni unendo gli aspetti pratici ed economici a quelli mitici, affettivi, e religiosi.
3 L’ineguaglianza alterna è una parte fondamentale per le dinamiche del dono in quanto ci dev’essere sempre qualcuno che dà e qualcuno che riceve che, a sua volta, andrà a contraccambiare con un dono. Questo rapporto circolare non è mai in equilibrio, ma è un oscillare continuo tra ruoli.
Bibliografia
Aime, M., “Da Mauss al MAUSS”, in Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, Einaudi, Torino, 2002
Boas, F., L’organizzazione sociale e le società segrete degli indiani Kwakiutl, CISU, Roma, 2001
Fabietti, U., Antropologia. Un percorso, Zanichelli, Bologna, 1979
Godbout, J., Lo spirito del dono, Bollati Boringhieri, Torino, 1993
Godbout, J., Il linguaggio del dono, Bollati Boringhieri, Torino, 1998
Godbout, J., Quello che circola tra noi. Dare, ricevere, ricambiare, Vita e Pensiero, Milano, 2008
Lévi-Strauss, C., Le strutture elementari della parentela, Feltrinelli, Milano, 2003
Malinowski, B., Diritto e costume nella società primitiva, Newton Compton, Roma, 1972
Mauss, M., Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, Einaudi, Torino, 2002
Moschetti, G., “The Christmas Potlatch: A Refinement on the Sociological Interpretation of Gift Exchange”. In Sociological Focus, Vol. 12, n. 1, 1979