Fra il mese di febbraio e quello marzo si iniziano ad intravedere nelle panetterie e nelle pasticcerie una gran quantità di chiacchiere, bugie, frittelle, fritòle, zeppole e altri dolci ancora. I comuni italiani si preparano per le sfilate di carri e i vari eventi dedicati a questo speciale periodo dell’anno con addobbi e festoni. Il Carnevale è alle porte, ma non si presenta ovunque nello stesso modo e negli stessi giorni.
I festeggiamenti maggiori si svolgono fra il Giovedì Grasso ed il Martedì Grasso, cioè l’ultimo giovedì e l’ultimo martedì prima della Quaresima, che secondo il calendario romano inizia proprio con il Mercoledì delle Ceneri. Come sottolineato da Bernardi «nel contrasto fra Carnevale e Quaresima si fa evidente la radicale tensione tra due opposte concezioni antropologiche presenti nella vita occidentale, l’una di ispirazione pagana, in cui il carnevalesco è la concezione intramondana gioiosa, naturale e materiale-corporea dell’esistenza; l’altra, quaresimale, in cui prevale la visione cristiana, spirituale ed ascetica, di rinuncia al mondo e di attesa della futura liberazione» [Bernardi, 1995:11].
La complessa relazione simbolica fra Carnevale e Quaresima si evidenzia in modo più netto a Milano.
Nel capoluogo meneghino l’arcivescovo Carlo Borromeo, poco dopo il Concilio di Trento (che durò dal 1545 al 1563), portò avanti un progetto di disciplinamento sociale, da un lato, attuando un’opera di repressione dei comportamenti ritenuti scorretti mentre, dall’altro, proponendo una nuova lettura del mondo dei riti collettivi, delle forme devozionali e drammatiche e delle immagini [cfr. Bernardi, 1995]. Avvenne, dunque, in questa epoca la «conversione della mentalità festiva e popolare» [ivi:12] attuata in diversi modi a partire dalla Riforma e della Controriforma, che portò al “miracolo individuale”, ossia lo sviluppo dell’etica personale in epoca moderna [cfr. Bossy, 1985] e che si manifestò nella ventennale lotta al Carnevale portata avanti da Carlo Borromeo. L’arcivescovo difatti, nutriva una certa avversione per il Carnevale in quanto periodo di tempo durante il quale si concentravano i comportamenti, i simboli e le celebrazioni della mentalità popolare [cfr. Bernardi, 1995]; attaccando duramente questa festività Carlo Borromeo intendeva demolire quella concezione magica del rito collettivo, considerato irrazionale e sovversivo, per lasciare spazio all’uomo nuovo, cristiano convinto e disciplinato voluto dai riformatori quaresimali [cfr. Bernardi, 1995].
Dopo varie peripezie e scontri fra il potere civile della società milanese e l’arcivescovado, la disputa fu risolta da papa Gregorio XIII che impose la santificazione delle feste e l’osservanza della prima Domenica della Quaresima. Questa particolare condizione si affermò solo nella città di Milano, in quanto papa Gregorio XIII temeva che sarebbe stato tacciato di troppa rigidità morale e si sarebbe dovuto battere in altri territori per l’affermazione del principio meneghino [cfr. Bernardi, 1995]. Successivamente Carlo Borromeo riuscì anche a delimitare i festeggiamenti nella sola Piazza del Duomo, a causa della peste di San Carlo che nel 1576 tenne in scacco la città. Qualche anno dopo anche le maschere vennero proibite e si accentuò ulteriormente l’insofferenza dei cittadini per queste restrizioni; il culmine venne raggiunto nel 1658 quando vennero aboliti i festeggiamenti per sei anni in risposta a delitti commessi da bande armate mascherate per la città [cfr. Bagnoli, 1983].
Da questa vicenda emerge in maniera evidente il rapporto fra sacro e profano e come questo si rifletta nelle decisioni politiche portate avanti da Carlo Borromeo: la mancanza di chiara distinzione fra ciò che appartiene alla sfera del sacro e cioè che invece rientra in quella del profano rende complessa la lettura della realtà sociale.
La “lotta” fra Carnevale e Quaresima può esprimere un punto di vista generale sull’ordine sociale per il quale la contaminazione fra pagano/cristiano o profano/sacro è portatrice di pericoli. Come sottolineato da Douglas «le idee di separazione, purificazione, demarcazione e punizioni delle trasgressioni svolgono come funzione principale quella di sistematizzare un’esperienza di per sé disordinata» [Douglas, 1975: 35]. Di conseguenza l’urgenza di Carlo Borromeo di definire nettamente il periodo di inizio e di fine del Carnevale e della Quaresima serviva, da un lato, a portare ordine nelle celebrazioni locali pagane e cristiane evitando la contaminazione, dall’altro ad affermare la purezza e superiorità delle celebrazioni quaresimali [cfr. Bernardi, 1995]. Il carnevale ambrosiano appare ancora oggi caratterizzato dall’influenza di Carlo Borromeo sia dal punto di vista temporale che dal punto di vista spaziale. Difatti, a Milano, il Carnevale si festeggia con una settimana di differenza rispetto al calendario romano. Il giorno della grande celebrazione e delle sfilate principali è il sabato dopo il Mercoledì delle Ceneri (detto anche Sabato Grasso) quando nel resto di Italia si è già in Quaresima da tre giorni. Questo non solo per l’influenza storica dell’arcivescovo Carlo Borromeo ma anche per la più antica tradizione del rito ambrosiano che non ha mai festeggiato il “Mercoledì delle Ceneri”. Inoltre, la sfilata principale, il cosiddetto “carnevalone”, si snoda per le vie centrali del capoluogo lombardo concentrandosi in particolar modo fra la Piazza del Duomo e il Castello Sforzesco [cfr. Bagnoli, 1983].
La sfilata è il passaggio fondamentale dell’inversione di potere posta in essere dal carnevale stesso. Come sostiene Bachtin [1979] «il momento celebrativo del rito, in questo caso la sfilata ed il mascheramento, si ricollega agli scopi superiori dell’esistenza umana: la rinascita, il cambiamento, il rinnovamento e la rigenerazione. In questo senso il carnevale diviene un momento in cui il popolo penetra all’interno di un universo simbolico di libertà, uguaglianza e abbondanza che dissacra la fissità dell’ordinamento esistente». Per realizzare questa inversione di potere, questa dissacrazione dell’esistente, l’utilizzo di maschere è fondamentale. I mascheramenti tipici del carnevalone meneghino riprendono personaggi storici come Ludovico Il Moro o Leonardo Da Vinci, personaggi manzoniani come Renzo e Lucia oppure figure caricaturali come i menestrelli, i “bauscia de Milan”, i buffoni, i giocolieri, i cortigiani, i banditori, gli alfieri, i bosin (i cantastorie lombardi che giravano fra le campagne milanesi) ed altri ancora. Figure di spicco sono sicuramente il Meneghino, la Cecca e il Beltrame: un servo che si occupa dell’acconciatura delle signore altolocate, svolge funzioni di maggiordomo e si fa beffa dei vizi dell’aristocrazia, la moglie del Meneghino sempre addobbata con fronzoli e decorazioni ma che con spirito e sacrificio riesce a far quadrare i conti in casa ed infine “il Beltramm de Gaggian”, ossia una persona non troppo sveglia [cfr. Bagnoli, 1983].
Concludendo il carnevale meneghino (ma non solo) può apparire come il culmine di un «rito di passaggio» [Van Gennep, 1909] che collega un periodo pre-liminale di tranquillità e di preparazione al goliardico festeggiamento ad un periodo post-liminale che introduce i credenti alla Quaresima e successivamente alle celebrazioni pasquali. Nel caso del carnevalone ambrosiano questo culmine è ancora più accentuato se lo si ricollega alle vicende storiche, sociali e religiose che, durante l’arcivescovato di Carlo Borromeo, hanno delineato la peculiarità territoriale e diocesana di questa festa.
Bibliografia
Bachtin M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi, Torino, 1979
Bagnoli R., Il carnevale ambrosiano, Libreria Meravigli editrice, Milano, 1983
Bernardi C., Carnevale, Quaresima, Pasqua. Rito e dramma nell’età moderna (1500–1900), EURESIS Edizioni, Milano, 1995
Bossy J., L’Occidente cristiano 1400-1700, Einaudi, Milano, 1985
Douglas M., Purezza e pericolo, Il Mulino, Bologna, 1975
Van Gennep A., I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino, 2012