Il sangue umano gode di un’ambiguità: è posseduto da miliardi di persone che lo riproducono giornalmente ma, allo stesso tempo, si tratta di un bene raro ed estremamente richiesto; è per questo che la donazione del sangue è stata considerata come l’esempio forse più puro di comportamento altruistico [cfr. Elster in Healy, 2008]. Ad esempio in Italia l’A.V.I.S. (Associazione Volontari Italiani del Sangue) si è posta negli ultimi anni il problema di sensibilizzare gli immigrati alla donazione, facendo dell’atto di donazione un potente strumento di integrazione.
Nell’ottica delle associazioni «donare il sangue appare il più ovvio nucleo di una solidarietà generalizzata che va al di là di ogni differenza etnica o culturale», il sangue dunque viene presentato come «simbolo di una comune umanità» [Dei, 2008:19]. Non è però un discorso semplice: le associazioni di volontari partono da una cultura della donazione incentrata su determinati valori di solidarietà associabili al ruolo virtuoso del donatore, che viene riconosciuto come “cittadino modello” e inserito a sua volta in una società democratica ed egualitaria.
Affinché poi questo senso di solidarietà venga incorporato nella donazione occorre presupporre una piena fiducia nei saperi e nell’autorevolezza della biomedicina. Questi concetti tuttavia non sono necessariamente condivisi anche dai migranti che introducono una doppia difficoltà, ossia la provenienza da una diversa cultura dove non si avverta il senso della reciprocità legato al senso del dono e il fatto di vivere in nicchie sociali spesso marginali e non perfettamente integrate all’interno delle quali la richiesta di donazione può essere percepita come forma di sfruttamento [Ibidem].
Richard Titmuss, già nel 1970, mettendo a confronto il sistema di raccolta americano, basato su trasfusioni a pagamento, con quello inglese, volontario, dimostrò come la disponibilità delle scorte di sangue fosse maggiormente garantita (e anche più sicura) nel secondo, il quale faceva presa sulla responsabilità e non sul profitto, innescando così un circolo virtuoso di valori solidali che si oppongono all’egoismo possessivo del mercato [cfr. Mancini, 2007].
Titmuss identifica una classificazione dei donatori:
- pagato: offre sangue dietro pagamento;
- professionale: offre sangue dietro pagamento sistematicamente (al pari di un lavoro part-time);
- volontario ma spinto dal pagamento: riceve del denaro ma non considera tale scambio il motivo principale del suo gesto riconoscendo l’effettivo bisogno di sangue della comunità;
- per tassa di responsabilità: riceve del sangue in ospedale e si impegna a “restituirlo” una volta guarito;
- per credito familiare: dona per garantire un sorta di “assicurazione” per eventuali necessità future per sé o per i suoi familiari;
- volontario ma costretto: dona perché ricopre un ruolo, anche sociale, che lo vede costretto a farlo, pena vergogna, derisione o impedimenti di carriera;
- volontario ma attratto da benefici marginali: dona perché interessato ad esempio alla possibilità di assentarsi dal lavoro o al ricevere diagnosi mediche;
- volontario per la comunità: dona consapevole dell’assenza di ricompense tangibili o immediate.
Donare il sangue si configura come un’innovazione sociale della modernità che prende distanze dal dono “arcaico” studiato da Marcel Mauss:
- si tratterebbe di una pratica che non costruirebbe legami sociali comunitari. Affinché il sangue circoli non è necessario che donatore e ricevente si conoscano, anzi questo è preferibile proprio perché, come indica proprio Titmuss, in tal modo si evita l’emergere di barriere e impedimenti di tipo etnico, politico, ideologico o religioso, «è l’artificio dell’ignoranza che rende possibile la circolazione» [Godbout, in Aria, 2008:199];
- è assente dalla pratica la restituzione diretta. Il fatto che si tratti di un dono unilaterale apre un diverso spazio interpretativo rispetto alle teorie sulla reciprocità elaborate da antropologi del calibro di Malinowski, Sahlins e Hyde. Secondo gli assunti “classici” i doni privi di restituzione circolerebbero in presenza di legami molto stretti, in questo caso invece si dona ad un estraneo;
- chi riceve non percepisce automaticamente il segue come un dono, piuttosto come una cura, quindi un prodotto, del quale si ha diritto in quanto cittadini. La percezione di averne diritto non favorirebbe lo scaturire di sentimenti di gratitudine o riconoscenza;
- sono presenti e necessari intermediari tra chi dona e chi riceve. come fa notare Fabio Dei il sangue «può costituire un dono solo se viene correttamente trattato, trasformato e utilizzato all’interno di complessi processi di medicalizzazione sia tecnico scientifica che amministrativa» [Dei, in Aria, 2008:206].
L’analisi del fenomeno della donazione del sangue permette di mettere in discussione i concetti universalistici di coloro che contemplano l’esistenza di un unico modello di altruismo o di un’unica forma di scambio di doni, spostando l’attenzione sull’importanza dei contesti storici, sociali e culturali i quali favoriscono la comprensione della pluralità delle forme e dei significati del dono ai giorni d’oggi. I significati e le risonanze etiche di cui si carica l’atto di donare il sangue nei diversi contesti non sono sempre coincidenti, il problema diviene allora non soltanto capire quali siano le condizioni di un comportamento altruista, ma soprattutto che cosa significhino, in un determinato contesto i concetti stessi di altruismo, solidarietà e volontariato [cfr. Aria, 2008].
Bibliografia
Aria, M., “Le aporie della donazione del sangue: un dono che non fa amici” in Dei, F., Aria, M., Mancini, L., (a cura di), Il dono del sangue. Per un’antropologia dell’altruismo, Pacini Editore, Pisa, 2008
Dei, F., “Dono, corpo, cittadinanza. implicazioni culturali della donazione del sangue presso comunità di immigrati stranieri in Toscana”, In Dei, F., (a cura di), Il sangue degli altri:culture della donazione tra gli immigrati stranieri in Italia, AVIS, Firenze, 2007
Dei, F., “Il dono del sangue”, in La ricerca folklorica, n° 58, 2008
Dei, F., “Il dono del sangue tra realtà biomedica, contesti culturali e sistemi di cittadinanza”, in Dei, F., Aria, M., Mancini, L., (a cura di), Il dono del sangue. Per un’antropologia dell’altruismo, Pacini Editore, Pisa, 2008
Healy, K., “Altruismo istituzionale: i sistemi di raccolta del sangue e la popolazione di donatori nell’unione europea”, in Dei, F., Aria, M., Mancini, L., (a cura di), Il dono del sangue. Per un’antropologia dell’altruismo, Pacini Editore, Pisa, 2008
Mancini, L., “Donare il sangue: Richard Titmuss e The Gift Relationship rivisitati. Saggio bibliografico”, In Dei, F., (a cura di), Il sangue degli altri:culture della donazione tra gli immigrati stranieri in Italia, AVIS, Firenze, 2007
Pavanello, M., “Il dono del sangue”, in Dei, F., (a cura di), Il sangue degli altri: culture della donazione tra gli immigrati stranieri in Italia, AVIS, Firenze, 2007
Steiner, P., “Il dono del sangue e degli organi: il mercato e le merci fittizie”, in Dei, F., Aria, M., Mancini, L., (a cura di), Il dono del sangue. Per un’antropologia dell’altruismo, Pacini Editore, Pisa, 2008
Titmuss, R.M.,The Gift Relationship. From Human Blood to Social Policy, The New Press, New York, 1997