Nei primi mesi del 2019, in tutte le piazze italiane si sono succedute manifestazioni e proteste con obiettivi differenti, non sempre allineati, alcune volte contraddittori, di stampo politico, sociale, culturale e ambientale. L’aumento del numero delle manifestazioni di piazza è interessante perché racconta un modo nuovo, ed antico allo stesso tempo, di affermare i propri ideali.
Una manifestazione è l’affermazione di un’opinione che accumuna un gruppo di persone.
Si tratta di una forma di attivismo e di partecipazione molto forte dato che l’opinione che si intende manifestare assume pregnanza laddove vi siano radunate persone che dimostrino vivamente e visivamente di essere d’accordo [Della Porta D., 1995].
Le manifestazioni si differenziano in diversi modi grazie ad elementi ben precisi:
- la marcia, o corteo, vede riunito un gruppo di persone che cammina e si snoda lungo le vie delle città;
- l’occupazione vede a sua volta un presidio o raduno fatto con l’intenzione di occupare una determinata zona;
- il discorso, prevalentemente da un palco e di natura strettamente politica, vede poi persone radunate ad ascoltare ciò che una persona o un gruppo politico ha da dire.
Le manifestazioni si presentano come eventi corali in cui la protesta si intreccia all’espressione pubblica di rumore e suono che allinea tutta la città (come il cacerolazo o la murga) [Ibidem].
In Italia lo stile delle proteste e delle manifestazioni politiche è cambiato molto nel corso del secolo scorso ed è possibile identificare cinque grandi periodi storici di mutamento: i repressivi anni Cinquanta, gli anni Sessanta ed il centro sinistra, la strategia della tensione nella prima metà degli anni Settanta, il periodo dell’emergenza nella seconda metà degli anni Settanta ed i moderati anni Ottanta [Della Porta D., 1995]. Ora, in un periodo storico in cui pare che ogni decisione politica avvenga quasi esclusivamente in forma massmediatica, e proprio lì abbia la sua massima legittimazione, la riappropriazione delle piazze da parte dei manifestanti sembra essere un fenomeno peculiare e rappresentativo delle istanze sociali.
Stiamo assistendo ad una proliferazione di manifestazioni e proteste lungo tutto lo stivale che partono sì dal web, dai social media come punto online di incontro, ma che proseguono nei comitati di quartiere, nei centri sociali, nelle scuole e che si ritrovano poi in piazza a manifestare [Piazza G., et al., 2003].
Come sottolineato da Vincenzo Matera di fronte ad un contesto politico sempre più indebolito e ad un modello economico progressivamente rivolto all’incessante crescita come unico indicatore utile per valutare e migliorare le condizioni di vita dei cittadini «riacquistare la propria identità nei movimenti collettivi e sociali diviene un’esigenza fortissima»[Matera, 2015:17]. Da questa esigenza di identificazione emergono sempre più spinte sociali dal basso che cercano di ridefinire all’interno della propria narrazione socio-politica la dimensione identitaria [Piazza G., et al., 2003].
Per comprendere la complessità della dimensione identitaria decodificata all’interno delle dinamiche narrative dei movimenti sociali, appare utile citare il lavoro di Ulf Hannerz che colloca questi ultimi tra quattro cornici che contribuiscono a produrre e riprodurre i significati culturali: lo stato, il mercato, le forme di vita ed i movimenti.
Lo stato e il mercato solitamente sono posizionati lungo il versante della produzione di significati egemonici: in particolare negli ultimi decenni, quasi tutti gli stati nazione hanno sposato il credo dello sviluppo, del progresso, della crescita incessante, nuclei ideologici del complesso culturale neoliberale, la cui matrice è la convinzione che il mercato possa fungere da perno, da modello per tutte le relazioni sociali. In questo senso anche lo Stato e la politica sono modellati dalle leggi di mercato.
Le forme di vita sono intese, invece, come quelle produzioni locali di significati culturali da cui nascono i movimenti [Matera, 2015]. Questi ultimi hanno la tendenza a modificare i significati prodotti in modo centralizzato dal mercato e dallo stato, mentre privilegiano la relazione con le forme di vita da cui solitamente tendono ad emergere: «le persone avvertono disagio, insoddisfazione, si sentono minacciate dalle condizioni esistenti, dettate dalle due cornici dominanti, quelle del potere politico e economico, e anche mediatico, almeno in parte e in quanto proiezione dei primi due, e cercano modi per esprimere tale disagio, insoddisfazione, malessere, finanche disperazione» [Ivi, p.17].
I movimenti sociali e le loro manifestazioni più tangibili, come le proteste di piazza, incanalano e esprimono dunque un flusso di significato finalizzato, esplicito o implicito che sia, orientato in direzione di un cambiamento, sebbene siano al contempo altamente instabili a causa del loro stesso carattere fondativo: i movimenti sono difatti decentralizzati, instabili e formati da una moltitudine di persone che sono in un continuo movimento [Hannerz, 1998]. In questo senso i movimenti sociali producono ed esprimono significati culturali alternativi, di contestazione, di protesta rispetto ai poli di produzione di significati culturali egemonici e creano nuove dinamiche identitarie che necessitano la messa in pratica di azioni collettive e socialmente condivise come le manifestazioni di piazza.
Bibliografia
Hannerz, U., 1998, La complessità culturale, Il Mulino, Bologna
Matera, V., 2015, “Leggere la protesta. Per un’antropologia dei movimenti sociali”, in Archivio Antropologico Mediterraneo, anno XVIII n. 17 (1),
Piazza, G., et al., 2003, “Protestare e argomentare: le campagne dei comitati di cittadini contro il traffico in quattro città italiane”, in Rivista Italiana di Politiche Pubbliche, N. 1, 2003, pp 65-99, Carocci Editore, Roma
Della Porta, D., 1995, Social movements, political violence, and the State. A comparative analysis of Italy and Germany, Cambridge University Press, Cambridge